50 sfumature di Capri

50 sfumature di Capri

Dal turchese al pervinca passando per l’indaco, il ciano e l’oltremare. Sono i colori che regala l’isola azzurra

di Simona Schettino

 

In una stanza azzurra il cuore batte più lentamente. Forse è per questo che quando si vede sbucare quell’angolo di terra dal finestrino dell’aliscafo, tutto diventa più tranquillo. Siamo arrivati.
Capri, rispetto a Ischia e Procida, è figlia di una terra diversa. Non nasce dalla rossa rabbia del Vesuvio, ma dal delicato candore della pietra carsica. Il bianco, insieme di tutti i colori e assenza di tutti i pigmenti, dimora la “regina della roccia” che avvolta dal cielo e dal mare non può che tingersi d’azzurro.
Percorrendo la banchina del porto questo colore, come forza di gravità, spinge e solleva, riempie gli occhi, alleggerisce la mente.
Fluttuanti ci si lascia trasportare dal pendio della collina che collega Marina Grande al centro della città e, prima di raggiungere quel mucchietto di case cautamente posate sul fianco sinuoso dell’isola, ecco il numero 31 di via Don Giobbe Ruocco: una timida casetta color carta da zucchero abilmente posizionata dove l’alba può guardarla meglio e la luna le può parlare.
L’arrivo in Piazzetta è sempre scandito dal battito atemporale del campanile perché a Capri il tempo si ferma e il suono di quelle campane altro non è che un singhiozzo superficiale, la cornice di un breve eterno momento anche stavolta dal cuore azzurro. Basta alzare lo sguardo e nell’intersezione delle due lancette ecco un cuscino lucido di piastrelle pavone che abbraccia un ghirigoro bianco latte sul quale riposano indisturbate fino all’arrivo dell’inverno; quando finalmente c’è il silenzio e le campane possono cantare.
Mentre il nome del Gran Caffè spicca nella sua tonalità di blu più scura, l’eccitazione tentenna sulle scale che invitano a salire. Gli infissi azzurro egiziano di Palazzo Cerio riposano sereni sulla storica facciata, il profumo d’iris dai giaggioli cobalto accarezza le narici e superato il fioraio, due ristoranti e qualche casetta ecco il portone color ciano di via Li Campi 24: un inno alle gradazioni di questo colore nascosto nello spazio concavo di un muro antico e adornato da un altero e superbo pomello di metallo ramato.
Con le pupille ricolme di tinta azzurrina, decliniamo quel verbo che tanto si adatta alle forme di questa schiena rocciosa, il “vagare”.
Via Vittorio Emanuele, via Sella Orta, vico San Tommaso, via Le Botteghe, via Fuorlovado… Nella quinta curva di via Padre Reginaldo Giuliani tre strade si intrecciano in una delicata macchia di azzurro fiordaliso, un plumbago. Del tutto estraneo all’arroganza, questo fiore dall’aria indecisa sembra essersi rassegnato alla tranquilla perpendicolarità delle strade per non scegliere tra l’una e l’altra.
Posto un rametto all’altezza del cuore, dolcemente l’ultima curva conduce davanti al numero 4 di via Tragara incorniciato, come tradizione vuole, alla maniera caprese con i raggi del sole, le verdi colline e le onde del mare smaltato di azzurro oltremare. È tra quelle imponenti colonne che il cancello blu di Prussia di Villa Discopoli rimanda al colore degli abissi che il suono del nome della stradina sottostante, via Occhio Marino, fa affiorare alla memoria. Magari immaginando lo storico capodoglio blu notte della Grotta Azzurra, quello che tutte le nonne citano nelle loro storie, vivo nel passato e leggenda nel presente.
Ma la strada trascina giù, scende fino alla costa e, oltre gli ombrelloni blu reale della Fontelina, placida dondola una barchetta di legno color uova di pettirosso che, camaleontica, si confonde con l’orizzonte del mezzogiorno e a bordo della quale si può raggiungere quella Capri che si trova “su” ed è amica del cielo, Anacapri.
Sbarcati tra le insenature frastagliate della costa del Faro e superati i dettagli blu marino dello stabilimento, ci si trova immersi nella flora mediterranea. Tutte le sfumature del ciano, dal blu cadetto al pervinca passando per il foglia di tè, si mescolano ai profumi freschi e selvaggi e accompagnano fin su al paesino. Raggiunto l’incrocio tra via Catena e via Giuseppe Orlandi, poco prima di piazza Edwin Cerio, una variopinta panchina dipinta dall’artista Sergio Rubino dà il benvenuto e mostra, fiera, i suoi scugnizzi ballerini dai calzoni turchesi.
Arrivati nella piazza principale, basta alzare gli occhi e mettere a fuoco il secondo quadrante posto sul campanile e nascosto dietro la chiesa. L’azzurro centrale illumina i severi numeri romani e accompagna la tranquillità di quello spazio incontaminato. Poco più sotto, l’antica insegna celeste “Vini e Bibite” riporta alla semplicità delle cose e trascina nei vicoli luminosi e stretti.
Continuando su via Giuseppe Orlandi imbocchiamo la terza sulla sinistra, via Timpone, ed esattamente dopo 100 passi eccoci davanti a sette scalini perfettamente allineati e adorni di splendide maioliche color zaffiro, coordinate al portone soprastante. Quell’angolo di timida bellezza è uno dei tanti immersi nel paese perché il bello non vuole attenzione e spinti da questa curiosità, raggiungiamo piazza Boffe dove le tende a strisce bianco e blu del negozietto senza età accentuano la presenza assente nella silenziosa piazzetta. Lasciandosi andare ai ghirigori di strada si raggiunge via La Vigna e, sorpassati i cerulei comignoli di Villa Eva con l’indaco nell’anima, si arriva a destinazione: la Grotta Azzurra, la cui magia non risiede nel colore dell’acqua e neanche nel riflesso turchino sulla roccia, ma nell’azzurro che vediamo sulla nostra mano quando, immersa in quella pozione salata, cerchiamo la prova di quella realtà, della certezza di quella bellezza. Ed ecco sulla nostra pelle l’incontro degli azzurri più belli: l’azzurro del cielo e l’azzurro del mare.

 

50 shades of Capri

From turquoise to periwinkle blue through indigo, cyan and ultramarine. These are the colours the blue island gives us

by Simona Schettino

 

In a light blue room one’s heart beats more slowly. Maybe that is why everything becomes calmer when we catch sight of that fragment of land from the hydrofoil window. We’ve arrived.
Capri, compared to Ischia and Procida, is the daughter of a different land. Capri was not born from the red anger of Vesuvius, but from the delicate candour of the karst rock. White, mix of all colours and absence of all pigments, is home to the “queen of the rocks” who enveloped by sky and sea can’t but tinge herself with blue.
Walking along the quay in the port, this colour, like the force of gravity, pushes and lifts, fills the eyes, lightens the mind.
We float down the slope of the hill that connects Marina Grande to the town and, before reaching that little heap of buildings cautiously placed on the winding side of the island, there is 31 via Don Giobbe Ruocco: a shy, little, baby-blue cleverly positioned house that greets the sun each day and speaks to the moon every night.
Arrival in Piazzetta is always accompanied by the timeless chime of the bell tower – for time stops in Capri and the sound of those bells is nothing but a superficial sound, the setting for a brief, blue-tinted moment of eternity. Just by glancing up, we see at the intersection of the two hands of the clock a shiny cushion of peacock-blue tiles that embrace a milk white pattern on which they rest undisturbed until the arrival of winter; when at last there’s silence and the bells can sing.
While the name of the Gran Caffè stands out in its darker blue tone, excitement hesitates on the steps that invite us to climb them. The Egyptian blue window frames of Palazzo Cerio rest peacefully on the historic facade, the scent of the cobalt blue irises caresses our nostrils, and once past the florist, two restaurants and a few houses, there’s the cyan front door of 24 via Li Campi: an anthem to the shades of this colour hidden in the concave space of an ancient wall and embellished with a superb haughty copper metal door knob. With our eyes overflowing with all these hues, the verb that is so fitting to the shape of this rocky island – to wander – comes to mind.
Via Vittorio Emanuele, via Sella Orta, vico San Tommaso, via Le Botteghe, via Fuorlovado… At the fifth curve of via Padre Reginaldo Giuliani, three roads intertwine in a delicate cornflower blue patch, a plumbago plant. Completely devoid of arrogance, this flower, with its air of uncertainty, can linger, resigned to the peaceful verticality of the roads.
Placing a flower stem on the heart, the last curve leads gently to number 4 via Tragara framed, as tradition requires, in Capri style with the sun’s rays, the green hills and the waves of the sea enamelled in ultramarine.
It is between those imposing columns that the Prussian blue gate of Villa Discopoli reminds us of the colours of the abyss that the sound of the name of the tiny street below, via Occhio Marino, brings to mind. Maybe imagining the famous midnight blue sperm whale of the Blue Grotto, the one all the grandmothers tell stories about, alive in the past and legend in the present.
But the road drags down as far as the coast and, beyond the royal blue umbrellas of Fontelina, a robin egg blue wooden boat placidly rocks, blending like a chameleon in with the midday horizon, a boat that can take us up to the sky’s friend, Anacapri.
Going ashore between the jagged bays along the light house coast beyond the navy blue details of the structure, we find ourselves immersed in the Mediterranean flora. Every shade of cyan, from cadet blue to periwinkle through teal, blend with the fresh wild perfumes and accompany us up to the village. At the crossroads between via Catena and via Giuseppe Orlandi, just before piazza Edwin Cerio, a colourful bench painted by the artist Sergio Rubino welcomes us and proudly shows off its dancing scugnizzi in turquoise trousers.
Once in the main piazza, we need only to look up and focus on the second clock dial on the bell tower hidden behind the church. The light blue centre illuminates the austere Roman numerals and harmonises with the tranquillity of that untouched spot. A little way below, the ancient sky blue sign “Vini e Bibite” brings us back to the simplicity of things, drawing us into the bright narrow alleys.
Carrying on along via Giuseppe Orlandi we take the third turning on the left, via Timpone, and after exactly 100 steps we find ourselves in front of seven perfectly aligned steps decorated with splendid sapphire majolica ceramics matching the door above. That shyly beautiful corner is one of the hidden beauties of the town, because that which is beautiful does not want to be noticed. Driven by this curiosity, we reach piazza Boffe where the blue and white striped curtains of the small ageless shop emphasise the absent presence in the silent square.
Abandoning ourselves to the winding roads we reach via La Vigna and, passing the cerulean blue chimneys of Villa Eva with indigo in its soul, we arrive at our destination: the Blue Grotto, whose magic is not to be found in the colour of the water nor in the turquoise reflection on the rock, but in the blue we see on our hand when, immersed in that salty potion, we look for proof of that reality, the certainty of that beauty. And there, on our skin, the most beautiful blues meet: the blue of the sky and the blue of the sea.

 

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