foto03Che famiglia!

La storia di una dinastia che ha legato il suo nome a quello di Capri: i Cerio

di Bruno Manfellotto

 

 

 

 

Il nonno, nella cella del carcere di Ponza dove era stato rinchiuso perché di idee liberali, occupava il molto tempo a disposizione progettando stramberie di chimica e di idraulica alla maniera del principe di Sangro e con il pensiero presumibilmente rivolto a Cagliostro. Il padre, per cinquant’anni medico condotto nell’isola di Capri, era preda di improvvisi furori e incontrollabili pulsioni: la pittura, le donne, una certa cura catalogatrice, egli invece difficilmente catalogabile se non come un dilettante onnivoro e geniale. Lo zio Giovan Pietro, colto e ricco, aveva collezionato nel palazzotto di famiglia la meglio pittura d’ogni epoca e paese – Rubens, Parmigianino, Bronzino… – salvo poi allegramente disperderla e dilapidarla per le spese avventate di una vita disordinata.

La zia, invece, era solita ricevere a palazzo il meglio dell’Europa di passaggio a Capri, dallo zar Nicola di tutte le Russie all’imperatore d’Austria Francesco Giuseppe il cui sommo divertimento era spennare vivi gli uccellini che i ragazzi dell’isola catturavano per lui. La figlia, infine, del papà ricorda i grandi slanci, le incontenibili collere e l’infinita dolcezza. E soprattutto che non voleva lo si chiamasse papà, trovandone “antipatici” il suono e l’idea.

In quanto a lui, Edwin Cerio figlio di Ignazio e papà di Laetitia, nume tutelare e coscienza critica dell’isola, fu il degno erede di una tradizione familiare nella quale come s’è visto brillavano genio e sragionevolezza, una comune visione dell’inutilità (Ignazio diceva “disutilità”) dell’umano passaggio terreno, quando con ciò s’intenda una vita non necessariamente dedita a una missione concreta, ma alla multiforme varietà degli interessi culturali, nella quale alla tensione si alterni la riflessione, all’innamoramento la noia. Guidati dalla stella polare dell’ironia e coltivando la difficile arte dell’understatement. Stramberie, enciclopedismo, fantasia. Che famiglia! Sergio Lambiase, che ai Cerio ha dedicato pagine dense, invita a leggere un prezioso libretto di Edwin dedicato a Ignazio – La vita e la figura di un uomo – non come commemorazione in morte del padre, ma come svelamento psicanalitico della natura profonda del figlio. Sfogliamolo insieme: «Ignazio Cerio è, certamente, per Capri, l’eroe nel senso di Carlyle: un condottiero e un modellatore, un campione e un creatore di tutto quanto fu tentato concepito e attuato. Fu un seminatore di pensieri, un originatore di idee: l’anima di mezzo secolo di vita caprense.

La religione di Ignazio Cerio fu Capri. E per questo la sua vita, fervida, operosa, multanime, strana, si identifica e si confonde con la vita fervida, operosa, multanime, strana di Capri». Di chi è questo ritratto, del padre o del figlio? Del padre, certo, e degli spiriti profondi di un’intera famiglia; ma tra le righe s’intravede anche il manifesto di quella che in quel momento è, e che sarà dopo, la vita del figlio. Dedicata all’isola, e a salvaguardare l’idea che dell’isola il padre aveva coltivato, alimentato, salvaguardato.
Forse inutilmente… Edwin si era laureato in ingegneria navale nel 1898, a 23 anni. Brillantemente, s’intende. E nei vent’anni seguenti aveva girato l’Europa e il mondo del capitalismo nascente inseguendo lavori e committenti: Italia, Germania (al servizio dei Krupp), Argentina. Cosa c’è di più fattivamente concreto e produttivo di un ingegnere che progetti navi e cantieri? L’altro Cerio, meno operoso e più creativo, covava però sotto le ceneri. Mentre disegnava chiglie e sistemava putrelle, infatti, il giovane Edwin tutto da solo scriveva, titolava e mandava in stampa in tre lingue – a Capri, naturalmente – una rivista letteraria nella quale poesie e racconti si alternavano a sferzanti cronache pseudo mondane sui frequentatori dell’isola.
La testata rifletteva magnificamente lo spirito che lo animava: Tra il riso e il pianto, ridotta in copertina a un “Tra” in stile liberty alla base del quale spiccavano le iniziali del fondatore, animatore ed editore: E.C.

 

AMORI E NATURA

Come non riconoscere in questo ingegnere dimezzato gli stessi turbamenti paterni? In La vita e la figura di un uomo viene disegnato un Ignazio che dedica cinquant’anni del suo lavoro alla medicina, ma alternando passioni e stranezze nelle quali fa sovente capolino un’involontaria comicità. è sorprendente l’episodio del dottor Cerio deciso ad aprire un sanatorio a Pozzuoli perché convinto delle virtù terapeutiche dei gas della Solfatara per curare la tubercolosi: si farà viva un’unica paziente che però non si lascerà convincere delle qualità medicamentose di zolfo e arsenico…
è perfino tenero l’improvviso innamoramento del dottore per la pittura, o per la beltà della signora inglese che gliene insegnava i primi rudimenti, o forse, non si sa, per le modelle brune e bionde che posavano per lui. Tutto divorava e tutto studiava, Ignazio, amori e natura, vita e arte: «E con gli studi biologici, storici, archeologici, si alternano ricerche in altri campi, attività varie dell’uomo irrequieto, esuberante, vulcanico, che pensa le cose più impensate, tenta e ritenta nuove occupazioni, si profonde in cento opere fra le più disparate: e raccoglie, raccoglie sempre, raccoglie tutto: conchiglie, pesci, stoffe, bronzi, armi, monete, molluschi, quadri, rettili, stampe, uccelli, libri, fossili, mobili antichi. Il cervello d’Ignazio Cerio diventò l’embrione d’una enciclopedia », scrisse di lui il figlio. Inutilità, improduttività, amore per la vita e per la cultura e totale disinteresse per il denaro di un dilettante che volle farsi enciclopedico. Era il 1921 quando Edwin faceva queste riflessioni su di sé e sul padre.
Ed era passato solo un anno da quando, abbandonato il regolo calcolatore e il peregrinare avventuroso per il mondo, era tornato a Capri, dove era nato e vissuto. Da dove non se ne andrà mai più, dove morirà nel 1960.

 

SINDACO DI CAPRI

Forse non è un caso che, appena tornato a casa, e mentre il fascismo s’appresta a marciare su Roma, accetti, lui liberale d’antan, di diventare sindaco di Capri. Lo fa naturalmente a modo suo, in controtendenza, cercando addirittura di fermare il vento del nord, la storia che avanza sotto forma di cemento, e che naturalmente non gli piace affatto. Lo fa con un convegno sul Paesaggio che si trasforma nella più dolente esaltazione dell’isola che non c’è più e nel più crudo atto d’accusa contro l’isola che sta nascendo: i negozi delle “anticaglierie”, gli albergoni, le nuove case dei “pescecani” (li chiama proprio così) che vengono fuori come funghi senza alcuna regolamentazione né freno.
Politico di professione certo non è, si limita a dichiararsi liberale, e sicuramente lo è, soprattutto nell’accezione che allora aveva il termine. Prima d’ogni altra cosa era leale e generoso e, come racconta la figlia, «gli piaceva aiutare chi era in difficoltà, anche a costo di passare sopra le sue proprie idee. Lui non era comunista», scrive Laetitia, «ma si fece in quattro per aiutare Pablo Neruda. Non sopportava gli omosessuali, ma si prodigò per uno scrittore inglese cacciato da Firenze per i suoi “scandali” e addirittura gli fece ottenere la cittadinanza onoraria di Capri». Fedele ai suoi ideali, difensore di un’isola che stava inesorabilmente mutando pelle – lui ne avrebbe fatto volentieri una sorta di Repubblica ideale, o magari un centro internazionale di produzione culturale – dopo due anni lascia la carica di sindaco a un più professionale e coerente Podestà Dusmet.
Nell’abbandonare la politica prende forse atto della sua sconfitta o, come corregge la figlia, «si trattò forse di un’altra infatuazione di cui troppo presto si era annoiato».
Se non un’infatuazione, certamente una parentesi tra l’operosa stagione di ingegnere e la sua nuova vita di Signore di Capri. Nella quale si immergerà con lo stesso spirito del padre e dello zio: un dilettante onnivoro ed enciclopedico, facile alla noia.

 

IL CANTORE DI UN’ISOLA

Finalmente libero da altri impegni, Edwin si dedica alla storia di Capri, alla botanica, all’archeologia con quella mania di rubricare e raccogliere tipica della famiglia. Dell’isola, o meglio, della sua idea di isola, dei suoi personaggi, dei suoi golfi e delle sue piante, diventa il cantore e il difensore: del resto, che cos’è questa fissazione di descrivere, elencare, sistemare se non il tentativo estremo di salvare il salvabile, di riempire quest’arca di Noè prima che il diluvio del cemento, del turismo e della “volgarità pecuniaria” travolga tutto? Sforna volumi su volumi (dallo storico Capri del Seicento a un trionfante Il miracolo del baccalà, fino all’insolito Conserve & Affini), compila anche una guida che diventerà famosa – naturalmente “inutile” – che sembra scritta all’unico scopo di allontanare i turisti e comunque di cogliere di essi e dell’isola che li accoglie solo gli aspetti insopportabili e respingenti: processa la “depressione alberghiera” che coglie l’ospite, denuncia la “dementia vagatoria praecox” e la “autointossicazione estetica” che colpiscono il turista a passeggio senza meta, ne diagnostica infine il “delirium caprensis” in agguato dopo pochi giorni di permanenza.
La sua intenzione è castigare a colpi d’ironia la nuova moda dell’isola per frenarne gli eccessi, e invece, involontariamente, non fa altro che alimentarne il mito. Fedele, sulla scia di famiglia, all’alleggerimento della realtà, si dedica con lo stesso spirito ironicamente demolitorio a ritrarre nei suoi libri gli ospiti più in vista della Capri d’allora: l’ironia è talmente libera e feroce che da questo trattamento i personaggi escono apparentemente elevati su un altare, ma poi rapidamente riportati sulla nuda terra, mitizzati e poi scarnificati, ieri re oggi uomini come tutti gli altri.
Con furore da bibliotecario cataloga uomini, luoghi, mode. E in Flora privata di Capri perfino piante. Con lo stesso spirito caustico e perseguendo la missione di sempre. Scrive nella presentazione del libro il grande archeologo Amedeo Maiuri, per anni direttore degli scavi di Ercolano e Pompei: «Chi ha difeso l’isola dagli esotismi letterari, la difende contro l’esotismo delle piante. Pervertendo le specie, favorendo i più strani ibridismi, introducendo piante esotiche, insidiose, invadenti per un servile adattamento ai volgari gusti della flora turistica internazionale, ci si rende rei di provocazione a delinquere, si compie il più grave attentato contro i segni divini, primordiali del paesaggio dell’isola. E Cerio insorge contro la malavita delle piante; denuncia lo scandalo vegetale. Denuncia le palme bastarde che vengono a infestare anche a Capri di falsa aria tropicale i vestiboli degli alberghi…».
è il 1939 e mentre scrive per lui e per questo libro, Maiuri riferisce a Cerio di un desiderio di Mussolini: il Duce lo vorrebbe tra gli Accademici d’Italia, lui che ha tanto contribuito al mito di Capri e alla sua riconquistata italianità. Cerio non ci pensa più che tanto, e rifiuta. Ma non si tratta di politica: lasciare la sua Capri per la Roma Accademica? Il lino bianco per la grisaglia? Impensabile. Noioso. Forse pure, letteralmente, inutile.

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