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Dove osano i turisti

Una passeggiata attraverso il Passetiello fino a Santa Maria a Cetrella, 
lontani dalla folla e dalle stradine vocianti.

di Bruno Manfellotto

 

 

 

 

Lo vedi lassù, aggrappato alle rocce a strapiombo sul mare, e ti chiedi come diavolo possa venire in mente a essere umano di tirar su pietre e tetti in un posto come quello. Cerchi di raggiungerlo incamminandoti per un viottolo stretto come una mulattiera, ben attento a dove metti i piedi, e ti domandi perché mai persona vivente scelga di rintanarsi qui, tra la montagna e l’abisso. Be’, poi basta arrivarci, lassù, cioè all’eremo di Santa Maria a Cetrella, per avere la risposta. Basta affacciarsi alla piccola terrazza che s’apre dinanzi a una delle celle dei frati che abitarono il romitorio per abbracciare uno dei panorami più spettacolari del mondo: Marina Piccola, i Faraglioni, lo scoglio del Monacone e, più giù, Punta Campanella, i Galli, la costiera Amalfitana. Come si sa, ci sono molti modi di fare i turisti a Capri. Ed è anche questo che dell’associarende unica quest’isola. C’è per esempio, diffusissimo, il modello “mordi e fuggi”: arrivano a gruppi, a eserciti, mattina-sera, più che vedere sfiorano, più che capire ascoltano, la loro non è una visita, è una testimonianza. Sembrano dire: qui sono passato anch’io. C’è poi il turista da tavolino, quello che scambia la Piazzetta per il palcoscenico di uno straordinario teatro: caffè la mattina, aperitivo la sera, e whisky dopo cena di ritorno da un buon ristorante. è lì per lo spettacolo. C’è naturalmente, tradizionale e immutabile, il modello classico: ore e ore al sole della Canzone del Mare o del Faro, riposo pomeridiano, a cena più tardi che si può e poi tutti in discoteca o in un localino a cantare Reginella. E c’è, infine, l’escursionista zaino e piccozza, sceso dal nord del mondo solo per cercare l’altra Capri, lontana dalla folla e dalle stradine vocianti. Magari quella del Monte Solaro, di Cetrella e del Passetiello. Laici come siamo, lungi da noi scegliere il turista che ci piace di più, ma avanzare un suggerimento si può: trasformatevi, almeno per un giorno in veri escursionisti, spingetevi nel punto più alto e spettacolare dell’isola e scegliete anche il percorso meno facile, ma più suggestivo: non sarà una fatica improba per chi ha portato da casa scarponcini e alpenstock (che però, giuro, proprio non serve); per gli altri sarà un’esperienza davvero indimenticabile, e in fondo sopportabile. Certo, bisogna essere in forma, calzare un buon paio di scarpe chiuse da sport o – meglio ancora – da montagna e capitare nel periodo giusto: i primi di settembre-ottobre, ma anche maggio è stagione indicata. Mettete in conto quattro chilometri di salita a piedi, tre ore buone di camminata impegnativa e – meglio – l’aiuto di una guida (per esempio, una di quelle dell’associa zione culturale Oebalus: per conoscere giorni e orari basta rivolgersi all’Apt). Pronti, adesso? In marcia, allora. Ma con la promessa che alla fine vi sarà proposto anche un più accessibile itinerario alternativo. La scoperta della Capri com’era comincia lì dove si apre la Capri com’è, cioè dal Piazzale dei due Golfi dal quale scendono di qua e di là le strade per Marina Piccola e Marina Grande, parte quella per la Piazzetta e sale, infine, la provinciale per Anacapri. Appena imboccata la strada per Marina Piccola, si prende a destra la più piccola via Torina che comincia a salire alternando l’asfalto ai gradoni. Superata a destra la Villa Torre Quattro Venti – il tetto rosso ne è il segno distintivo – si procede ancora con gli scalini stando ben attenti ad affidarsi alle tracce di vernice rossa poste su alberi e rocce. Il Castiglione sullo sfondo e Villa La Petrara a picco sul mare e sul paese sembrano offrire un primo assaggio di ciò che ci aspetta. Dopo un po’ il sentiero diventa uno strettissimo viottolo di campagna (o di montagna?) che merita fino in fondo il nome popolare di Passetiello, piccolo passo. Ora i segni rossi, sempre più frequenti e vicini, sono verniciati sulla pietra puntuta. Dall’altra parte, la roccia cade a strapiombo: lo spettacolo della vegetazione e del panorama è assolutamente straordinario. Certi angoli di Capri, nonostante il sole e la luce del Golfo di Napoli, ricordavano a Peggy Guggenheim, che ha soggiornato a più riprese sull’isola negli anni Trenta, le brughiere della Scozia; quassù, invece, la vegetazione assomiglia addirittura a quella delle Alpi in un incredibile melange di boschi dolomitici e macchia mediterranea: nel fitto dei lecci e delle felci, dei castagni e delle querce, spuntano agglomerati di corbezzoli e ginestre. Il camminamento si fa stretto: da una parte incombe la fittissima vegetazione, dall’altra la costa precipita verso le case di Capri e il porto di Marina Grande. Ancora più avanti, il tracciato si biforca e bisogna fare attenzione a non scegliere il sentiero più largo e invitante che ci si trova dinanzi, ma girare a sinistra (sempre seguendo i segnali rossi) per una stradicciola in salita sempre più stretta, ostica e completamente chiusa dalle piante. Ecco, siamo arrivati al valico e al doppio cartello: da una parte per Capri, dall’altra continua il Passetiello. Fino alla seconda metà dell’Ottocento fu questa, assieme agli 881 gradini della Scala Fenicia, l’unica via di collegamento tra gli abitati di Capri e di Anacapri. Lungo il Passetiello salivano e scendevano i certosini che trascorrevano la loro vita meditativa nell’eremo di Santa Maria a Cetrella; lo usarono gli Aragonesi per sorprendere gli Angioini e conquistare l’isola; fu la via di fuga degli Inglesi sconfitti nel 1808 dai Francesi di Gioacchino Murat che ebbero l’ardire di attaccare la guarnigione di Sir Hudson Lowe dalla parte più difficile e ardua: quella senza approdi della Grotta Azzurra, sotto Anacapri, e che conduce fino al Castello Barbarossa dov’erano asserragliati i soldati di sua maestà Giorgio III; lungo questo sentiero, però, salivano anche, in pellegrinaggio, i pescatori dell’isola per ricevere la benedizione della Vergine scolpita in legno che si venerava a Cetrella. Oggi vi si avventurano i turisti per una delle passeggiate più belle dell’isola. Continuando, dunque, per il Passetiello e superato il valico, si è ricompensati per tanta fatica: davanti a noi si apre uno stupefacente belvedere naturale che abbraccia quasi tutta l’isola: da una parte Marina Grande e, in alto, le rovine di Villa Jovis; di fronte i muri bianchi dell’abitato di Capri e il Monte Tuoro; dall’altra parte Marina Piccola e i Faraglioni. Se si ha la fortuna di capitare quassù a maggio, il giallo delle ginestre abbaglia. Solo il tempo di fotografare con la memoria uno scorcio irripetibile e di riposare un po’, e l’escursione continua, in salita: in lontananza, le rovine del Castello Barbarossa e la cima del Monte Solaro, il punto più alto dell’isola (589 metri). Seguendo ancora i segni rossi, si svolta leggermente a sinistra e, quasi in piano, si raggiunge finalmente l’eremo di Santa Maria a Cetrella. Il romitorio è delizioso, il posto suggestivo, il panorama indimenticabile. Vi si accede oltrepassando un cancelletto che si apre su uno spettacolare sagratoterrazza a strapiombo sui Faraglioni. La chiesetta, a pianta quadrata, è divisa in due navate che si concludono su due altari. Eretta nel Quattrocento e completamente rifatta nel Seicento, risente del gusto tardo-gotico dei certosini (e infatti la pietra, le volte e le navate ricordano la Certosa di San Giacomo a Capri) che, alternandosi nei secoli ai francescani e ai domenicani, l’abitarono del tutto incuranti delle mode architettoniche e degli orpelli che, in Italia, via via condizionavano e abbellivano chiese e conventi. Dalla cappella, superati pochi gradini, si arriva alle celle dei frati e da queste a un incredibile terrazzino dal quale sembra possibile spiccare il volo su Marina Piccola, i Faraglioni, la costa amalfitana… Cetrella. Alcuni ne fanno risalire il nome all’erba citronella che profuma l’aria tutt’intorno, ma è più ragionevole pensare al tempio di Venere Citerea che qui sorgeva. E non può che essere così: arrivati fin quassù, ci si rende conto che questo è un luogo dell’anima, di pace e di contemplazione. E, per chi sa coglierle, anche di sensazioni forti. Viene a mente che non distante da qui sorse, ai primi del Novecento, Villa Cetrella eletta a dimora dal torrentizio scrittore scozzese Compton Mackenzie. La moglie Faith aveva scelto di vivere appollaiata sui Faraglioni, a Villa la Solitaria; lui, invece, volle un angolo da eremita dove poter scrivere in santa pace. A testimonianza della Capri di allora – eccessi, oppio e stravaganze – ci restano pagine e pagine, ma soprattutto il suo originale e ironico Donne pericolose dedicato alle protagoniste di quel dandysmo femminile che segnò l’isola nei Venti e Trenta. Gli anni della marchesa Casati che viveva chiusa a Villa San Michele con il suo esercito di servi e animali e compariva in Piazzetta al braccio di un giovane efebo, con un leopardo al guinzaglio e seguita da un valletto con tanto di pappagallo sulla spalla; gli anni della sofferta pittrice Romaine Brooks; delle passioni saffiche dell’androgina Mimì Franchetti; della bellissima Renata Borgatti, figlia di un famoso tenore wagneriano, ospite a Villa Solitaria: «Giovane donna con gli occhi di un ragazzo e la voce di un uomo», scrive Mackenzie, «attaccava l’aria di Sigfrido, e i cani nei vigneti vicini si agitavano inquieti…». Stagioni lontane. Oggi, in cima a Santa Maria Cetrella, c’è un altro dilemma da risolvere: arrivati a questo punto, proseguire o tornare a casa? A un centinaio di metri dall’Eremo, alla Crocetta, lì dove sorge un’edicola della Madonna, si può scegliere: a chi è stanco consigliamo di scendere ad Anacapri attraverso la via Monte Solaro fino a via Axel Munthe, e da lì raggiungere la vicina stazione degli autobus per Capri; a chi ha ancora forza nelle gambe suggeriamo invece l’ultimo sforzo per conquistare il Monte Solaro (da dove – lo diciamo solo per i più tenaci – è possibile proseguire fino al Belvedere della Migliara: un’ora e mezzo di cammino per un altro posto d’incanto). Via, ne varrebbe proprio la pena… Continuando il sentiero e passando vicino ai resti del Fortino di Bruto, si raggiunge finalmente la cima del paradiso. Qui, negli anni Cinquanta, in chiaro antagonismo con la famosa Canzone del Mare incastonata negli scogli di Marina Piccola, qualcuno pensò di inventare la Canzone del Cielo, con tanto di bar, piscina e ristorante. Oggi di quel progetto è rimasto solo il bar, ma il panorama che si gode da quassù è sempre quello incomparabile che spazia dalla penisola sorrentina alla Calabria, dagli Appennini al Golfo di Napoli, dalle isole alle due marine di Capri. In basso, l’Eremo di Santa Maria a Cetrella che ci siamo appena lasciati alle spalle. Da togliere il fiato. Ottant’anni fa, scendendo dal belvedere verso Capri, Alberto Savinio scriveva: «Il sole brilla sui campi e scintilla sul mare. Gran silenzio intorno. Ma l’ora non è morta. Un vento misterioso, divino, viaggia, ospite leggero, spiritoso, per questa meridiana pace a tutta l’anima di fresca follia». Verrebbe voglia di non muoversi più… Mentre ci si avvia verso la seggiovia che in 12 minuti ti deposita ad Anacapri (a meno che non ci sia qualcuno che voglia rifare il percorso a ritroso…), si pensa a chi non sopporta pietre, polvere e arbusti: deve forse rinunciare all’Eremo e al Monte Solaro? Nemmeno per idea: offriamo subito due possibili alternative. La prima. Si può arrivare a destinazione partendo da Anacapri, cioè dalla via Axel Munthe, evitando quindi il più ostico Passetiello: passeggiata più abbordabile. O si può decidere di salire al Solaro con la seggiovia e quindi scendere in una ventina di minuti verso l’Eremo; da qui è poi possibile risalire alla seggiovia o percorrere la stradina fino alla via Axel Munthe. Soddisfatti? Prima della scelta finale, però, consigliamo a tutti la lettura dei deliziosi e spiritosissimi appunti di viaggio a Capri dello scrittore e illustratore americano Huck Scarry (Diario napoletano, Mondadori). Davvero illuminanti. «Si raggiunge Anacapri percorrendo una strada stretta e folle», scrive Scarry, «che aderisce magicamente alle scogliere come una striscia di velcro. Prima dell’avvento dell’automobile, l’unico modo per salire fin lì era percorrere una lunga rampa di scale di pietre che partono da Marina Grande: la cosiddetta Scala Fenicia. Senza un porto proprio e con solo queste scale come collegamento col mondo esterno, la vita ad Anacapri deve essere stata sempre molto tranquilla. C’è un secondo stretto passaggio attraverso una fessura nelle montagne, detto il “Passetiello”, in cui decido di avventurarmi. Oggi ho ceduto alla tentazione di fare un sonnellino e ho dormito troppo a lungo. Ormai sono quasi le sei del pomeriggio, la seggiovia chiude tra poco e il cielo è di un grigio che minaccia pioggia; ma metto da parte la prudenza e mi metto in marcia». Coraggio, Scarry: «La salita lungo la parte posteriore del Monte Solaro è piacevole, senza il sole che picchia. Ansimando un po’, mi faccio strada attraverso una densa nebbia che proviene dai boschi. Si pensa che Capri, come le isole di Capraia e Caprera, abbia preso il nome dalla parola “capra”. Se questo è vero, i poveri animali sono stati sostituiti da orde di turisti. Ma qui ne incontro una, probabilmente l’ultima rimasta sull’isola. Mi fermo a farne un piccolo disegno, mentre lei mi osserva con aria perplessa. Non sarebbe saggio da parte mia continuare a procedere con questa nebbia. Ma la fortuna è dalla mia parte e il vento forte apre la coltre di nubi come la tenda di un palcoscenico, rivelando alla vista la baia di Napoli. Oltre la punta delle mie scarpe c’è la città di Capri. «Inizio la discesa. Il sentiero – se così si può chiamare – sale e scende ripido. Grazie al cielo non ho nulla in mano, giacché me ne servono due per aggrapparmi ai rami degli alberi quando scivolo su una pietra sconnessa e inciampo in un groviglio di rampicanti. Fortunatamente, la discesa non dura molto: non è stata affatto divertente. Mi viene da pensare che questa è una di quelle escursioni che è meglio fare da soli: rientra nella categoria di quelle esperienze che metterebbero senz’altro fine a una relazione». E così conclude, il sorprendente Scarry: «La mia famiglia ha riso di me quando mi ha visto partire per Capri indossando degli scarponcini, ma adesso sono io a ridere. è stata un’ottima idea portarli. Il sentiero scosceso su cui sto scendendo è pieno di sassi appuntiti e taglienti. Quassù Capri sembra una vetta delle Alpi gettata nel mare. Sono riconoscente anche ai calzettoni spessi e lunghi che subiscono, al posto delle mie caviglie, i graffi degli aghi appuntiti dei cespugli… Mi chiedo se non ho commesso un errore scegliendo di scendere dal Monte Solaro da questa parte, ma alla fine raggiungo una piccola zona pianeggiante da cui si può ammirare una vista che scende fino alla punta più occidentale di Capri, Punta Carena, col suo faro. A parte le grida dei gabbiani è un silenzio assoluto. Quando comincia a fare buio mi incammino per tornare ad Anacapri. Sono stanco e molto affamato. Graffiato, pieno di lividi e coperto di polvere dalla testa ai piedi, procedo zoppicando…». Ora, però, per piacere, non rinunciate né a Cetrella né al Solaro.

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