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Generazione X

Guardano al futuro consapevoli di misurarsi con un passato autorevole. Sono i giovani isolani alla guida di realtà imprenditoriali con antiche radici

di Antonello De Nicola

 

 

 

 

Ogni giorno devono dimostrare di essere all’altezza delle aspettative. A volte si portano il lavoro a casa, spesso sono i primi ad essere bacchettati e gli ultimi ad essere premiati. Strano destino quello dei giovani isolani alla guida delle aziende di famiglia, costretti a misurarsi con un passato autorevole e, allo stesso tempo, a guardare al futuro con l’ambizione e l’entusiasmo della nuova generazione. Il viaggio nel mondo della nuova generazione di imprenditori, inizia sfogliando l’album di famiglia di Ilaria, Chiara e Mario Iacono.

La giornata comincia di buon’ora alla Certosella, l’albergo in cui vive la famiglia Iacono. Ilaria ha 34 anni e si occupa della Canzone del mare e del ristorante, Chiara (27) lavora da Luigi ai Faraglioni, lo stabilimento balneare gestito da generazioni, Mario (25) si definisce un “beach manager” e segue il settore mare per entrambi gli stabilimenti, con particolare attenzione a spiaggia, manutenzione delle piscine e organizzazione del lavoro.

«Papà ha creato dal niente un impero negli angoli più belli di Capri. Nessuno di noi ha mai pensato per un attimo di fare un altro mestiere, nonostante non ci abbia mai imposto nulla. Ma quando nasci e cresci in qualcosa di così bello, ce l’hai nel sangue e ti viene naturale dare il tuo contributo fino a farlo diventare il tuo obiettivo di vita». Fortunati eredi che, rispetto ai loro coetanei, sono stati costretti a rinunciare a momenti di vita quotidiana, come si percepisce dalle parole di Ilaria. «Da bambina odiavo il lavoro di papà perché me lo portava via. Non siamo mai andati al mare insieme perché non esistevano le vacanze estive. Ma poi cresci e il tempo ti fa capire che tutti quei sacrifici li ha fatti per noi. Ereditare un patrimonio costruito con tanti sacrifici è una responsabilità, soprattutto quando si prova ad innovare. Ecco, noi non abbiamo cambiato nulla, anzi molte volte quando c’è una decisione da prendere ci chiediamo cosa farebbe papà in questa situazione. Ma i nostri genitori sono sempre presenti, anche se non fisicamente. Papà negli ultimi anni ha avuto problemi di salute e nostra madre è sempre il nostro punto di riferimento e la rendiamo partecipe di tutte le nostre iniziative. Nel caso di Diva, il piccolo complesso di suite alla Canzone del mare, nato in un momento molto difficile per la nostra famiglia, ci siamo uniti in un progetto comune che ci ha dato la forza di andare avanti e credere in noi tre. Quel periodo ci è servito a crescere ancora di più».

Guardare al futuro, rispettando i metodi tradizionali di produzione e adeguandosi alle innovazioni, è la mission aziendale di Carthusia. I fratelli Virginia e Riccardo Ruocco seguono lo sviluppo dei nuovi prodotti, sia dal punto di vista grafico che tecnologico. A 28 anni, Virginia ha una laurea in Lingue e civiltà orientali e una passione per la cultura giapponese e gli sport in generale. In azienda, ha introdotto una visione nel packaging rivolta ad un target più giovanile e ha realizzato un book formativo sui profumi. «Lavorare in un’azienda di famiglia significa essere sempre sotto osservazione. Restare uniti e in armonia è il nostro traguardo più importante. E quando dopo mille sacrifici riesco a realizzare un nuovo prodotto e a vederlo nelle vetrine o ad immaginarlo nelle case, è la soddisfazione più grande». Riccardo (24), dopo aver maturato una significativa esperienza negli Stati Uniti, sta progettando la realizzazione dello store on-line che permetterà di ordinare e acquistare sul sito di Carthusia in tempo reale. Da tre anni si occupa del web marketing e del customer care. «Il primo riscontro che ho avuto è di aver contribuito ad abbassare il nostro target di riferimento. Nostro padre ha fatto tanti sacrifici per noi e mi ha trasmesso la passione per la nostra azienda. Da parte mia, cerco di rispecchiare i suoi insegnamenti e di seguire la tradizione di famiglia. Ma in ufficio non veniamo trattati come figli ma alla pari degli altri dipendenti, e questo ci aiuta a crescere ». Realtà diverse, unite fra loro da un unico comune denominatore: i valori di famiglia vengono sempre prima delle più comuni regole di marketing.

Una regola d’oro anche per Roberta Federico, che insieme al fratello Marcello accoglie i clienti della Campanina, la gioielleria che quest’anno celebra il sessantesimo anniversario dell’attività avviata dai nonni Alberto e Lina. «Lavorare in un’azienda di famiglia ci permette di partire da una realtà già consolidata, conosciuta e apprezzata. Siamo molto orgogliosi di portare avanti questa tradizione e di aver accettato questa sfida, visto che le aspettative sono molto alte data la grande storia che ci precede». Roberta, 33 anni, dopo gli studi a New York al Gemological Institute of America e al Fashion Institute of Technology, si è specializzata nelle relazioni con la clientela e nella comunicazione aziendale, cercando di stare al passo con la tecnologia e di introdurre materiali nuovi e parti- 73 colari come il titanio. «Sin da piccoli abbiamo sempre visto la nostra famiglia vivere il lavoro in modo gioioso e spensierato. Basti pensare che la tradizionale festa del 4 luglio a Capri è nata nei primi anni Settanta proprio con lo stesso spirito di accoglienza verso la clientela affezionata. Ricordo di una volta ad una festa a New York quando presentandomi dissi a una signora che venivo da Capri e lei mi rispose con nostalgia: “Ah Capri, the home of Lina!”. Il suo viso si illuminò quando seppe che quella Lina era proprio mia nonna e mi mostrò con gioia l’anello che portava al dito avuto in regalo dal marito durante un soggiorno a Capri».

Pagine indimenticabili che, attraverso le singolari vicende di una famiglia, finiscono inevitabilmente per raccontare la storia di tutti, come nel caso di Vincenzo Sorrentino e dei volumi editi da La Conchiglia. «Mi piace definire La Conchiglia più che un’azienda, una appassionante, impegnativa e gratificante avventura. Lavorare in un’azienda di famiglia significa innanzitutto grande responsabilità ma anche grande passione condivisa con chi “ama il tuo stesso amore” che, dopo avertelo trasmesso, lavora con te affinché questo amore sia condiviso sempre di più dagli altri. Nel cammino che giorno per giorno percorriamo insieme non esistono ruoli prestabiliti o compiti esclusivi. Sembrerà strano, ma non ricordo da quanto lavoro nell’azienda di famiglia. Sono nato e cresciuto in questa realtà, la libreria è stata il mio luogo di gioco così come ora è il mio luogo di lavoro. Amo profondamente i libri, la loro consistenza, il loro profumo; poterli curare e soprattutto pubblicare lo considero un privilegio pressoché unico, il diventare parte attiva non solo nella loro diffusione, ma nella loro realizzazione è una sensazione straordinaria; lo scovare un quadro, lo spulciare alla ricerca dell’autore, l’analizzare ogni suo piccolo particolare è invece una cosa molto più intima, unica». Vincenzo segue il settore dell’antiquariato, curando in particolare lo spazio espositivo di opere dell’Ottocento nella libreria di via Camerelle. «Ero il bambino che leggeva seduto sullo scalino della piccola libreria di via Parroco Canale e che Roger Peyrefitte salutava prima di entrare. Ero il bambino che raccontava alla figlia di Amedeo Maiuri di come aveva scoperto all’interno della Villa Jovis la valletta delle farfalle, senza sapere che quell’amabile signora era la figlia di chi Villa Jovis l’aveva scoperta. Ero il bimbo di tanti e sono orgoglioso di esserlo ancora per qualcuno».

Tra gli isolani che hanno scelto di seguire le orme dei genitori, continuando a gestire le aziende di famiglia nel segno della continuità ci sono anche Francesco e Renata De Angelis, che già da molto si occupano del ristorante e dell’enoteca La Capannina Più, dedicandosi con passione alla ricerca di prodotti di qualità. «Lavorare in un’azienda di famiglia in attività dai primi del Novecento, è gratificante in quanto si trova una strada già tracciata, ma è anche un impegno di grande responsabilità sia per la tradizione da portare avanti, che per il sacrificio quotidiano. I valori che abbiamo ereditato sono la serietà, la disponibilità e la cura del cliente, il tutto basato sull’educazione ricevuta, la passione e la professionalità. Io e mia sorella siamo praticamente nati tra i tavoli del ristorante, e in casa anche con i nonni Francesco, Teresa, Renato e Flora già si respirava aria di ristorazione e di commercio. Più che cambiare cerchiamo di mantenerci sempre informati per poter crescere sia professionalmente sia come azienda».

Il mito dell’isola nasce proprio dall’arte dell’accoglienza, capace di coccolare turisti e personaggi famosi, facendoli sentire in famiglia. Con i suoi 26 anni, Costantino Esposito rappresenta la terza generazione che lavora al Gatto Bianco, l’albergo fondato dal nonno con i fratelli nel 1952. «Lavorare in famiglia è un dono prezioso. L’insegnamento più grande che mi è stato dato da mio nonno, e successivamente da mio padre, è l’arte dell’accoglienza. è una vocazione della nostra famiglia fin dai primi del Novecento, quando la capostipite della famiglia “Carmela di Tragara” gestiva una famosa locanda». Costantino oggi si occupa del ricevimento e della portineria dell’albergo e, nel tempo libero, organizza serate in discoteca ed eventi, oltre ad avere una grande passione per la fotografia. «Gli unici aspetti negativi in un’azienda di famiglia sono di non avere orari di lavoro ma di essere sempre a disposizione e di avere più responsabilità di un semplice dipendente. Comunque, mi ritengo un ragazzo fortunato perché ho la possibilità di svolgere un lavoro che mi piace e che mi dá soddisfazioni, nel posto più bello del mondo. La nostra isola meriterebbe più amore e rispetto da parte di tutti e credo che solo con un impegno costante da parte di noi giovani si possa invertire questa tendenza».

Ragazzi predestinati che hanno mosso i primi passi in ambienti frequentati da adulti indossando un cognome importante. Gianluigi Lembo, figlio trentatreenne dello chansonnier Guido, ha ereditato la passione per il by night. «Papà mi ha insegnato l’umiltà ed il coraggio, e la voglia di sorridere sempre gestendo con serenità anche i momenti più difficili. Mi ha trasmesso dei valori che mi sono utili anche nel lavoro, come il rispetto per i clienti e per le persone meno fortunate, ma soprattutto l’importanza della famiglia che viene sempre prima del lavoro». Gianluigi gestisce i locali Anema e Core, Bye Bye Baby e da quest’anno anche il night Le Clochard. «La cosa che amo del mio lavoro è non avere orari e stare a contatto con la gente. Ma lavorare in un’azienda di famiglia significa soprattutto confrontarsi di continuo con quanto realizzato in passato. Se devo trovare un aspetto negativo, è proprio la collegialità delle decisioni». «Ho iniziato a lavorare come cameriere a 16 anni, con il grande Ciro “il quartino” e Franco Schiano che mi dissero: “visto che i clienti possono sfuggirti, fatti pagare subito!”. E appesero al muro un cartellone con la scritta: Gianluigi “piezz’ ‘e sapone”. Un esempio del clima sereno e goliardico in cui ci si sente in famiglia. Anche perché da piccolo, rispetto ai miei coetanei, quando vedevo mio padre lavorare pensavo sempre che si divertisse tanto!». Una vera e propria scuola di imprenditori, cresciuti a pane e bilanci, seguendo gli insegnamenti dei padri e qualche volta dei nonni.

L’anacaprese Mirko Brunetti, prima di conseguire la specializzazione in Enologia, ha trascorso gran parte della sua adolescenza fra le vigne e l’azienda vinicola di famiglia, fondata nel 1909. «Sin da piccolo ho avuto il piacere di poter affiancare nel lavoro mio nonno e mio padre, prima per gioco e poi per passione. Ricordo con affetto le giornate trascorse in azienda: anche una vendemmia o un semplice imbottigliamento erano una festa. Lavorare con mio nonno e mio padre è stato determinante per la mia formazione e mi ha permesso di dare più valore alla vita e al lavoro stesso, curando il rapporto con la gente e dando un valore ai soldi. Non c’è cosa più bella di avere genitori in gamba che sappiano motivare e trasmettere il giusto insegnamento sia dal punto di vista etico-sociale che lavorativo. Grazie alla mia passione, sono riuscito a produrre un vino di qualità nella mia stupenda isola, pur cosciente che sarebbe stato difficile confrontarsi con la realtà locale. Sull’isola, i contadini, non avendo confronto con la penisola, sono rimasti ancora ad una forma di viticoltura antica che, salvo alcuni casi, non porta ad ottenere un’uva di qualità». Mirko, pur conservando le tradizionali tecniche di produzione della sua famiglia, è riuscito ad investire in creatività e professionalità grazie alle esperienze maturate in diverse realtà vitivinicole italiane. «Ho frequentato uno stage in un’azienda di spumanti astigiana che mi ha permesso di affinare le tecniche del metodo classico per la produzione dello spumante. Ma non potevo immaginare all’epoca che questa esperienza mi sarebbe stata utile per lanciare un nuovo prodotto, fuori dai consueti canoni di produzione: la birra artigianale di Capri. Le prime produzioni sono nate per passione e per il piacere di rallegrare le feste fra amici. Poi, grazie all’aiuto dei miei fratelli Paolo e Fabrizio, il prodotto si è evoluto fino ad arrivare nelle location più esclusive dell’isola e d’Italia». Gli album di famiglia non possono che chiudersi con un brindisi dedicato anche a tutti gli altri giovani isolani che ogni giorno, con passione e responsabilità, contribuiscono a griffare le proprie aziende semplicemente con un sorriso. Inimitabile logo dei prodotti made in Capri da almeno tre generazioni.

 

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