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Il mare nel pennello

Coste, spiagge, onde, faraglioni. Le distese marine sono sempre state fonte di ispirazione per i maestri della pittura

di Ludovico Pratesi

 

 

 

 

In un paese come l’Italia, una penisola circondata dall’acqua, non c’è da stupirsi che numerosi artisti abbiano celebrato la presenza del mare come elemento principale del paesaggio. Così, fin dal Rinascimento le distese marine sono protagoniste della pittura già a cominciare dalla prima veduta della città di Napoli, la misteriosa Tavola Strozzi, un dipinto eseguito a fil di pennello da un artista napoletano intorno alla metà del Quattrocento che ritrae la città partenopea affacciata sul golfo. E non è un caso che nelle luminose vedute realizzate durante il secolo del Grand Tour, artisti come Gaspar Van Wittel, Salvator Rosa, Antonio Joli e Jakob Philipp Hackert abbiano interpretato in maniera intensa e suggestiva la luminosità delle acque del golfo, dalle quali emergono le isole di Ischia, Procida e Capri. Scogli, coste, spiagge e faraglioni che si impongono come straordinarie fonti di ispirazione per i pittori del XIX secolo, impegnati ad interpretare la bellezza popolare del paesaggio napoletano. Così, se tra la riviera di Chiaia e San Martino lavorano i maestri della Scuola di Posillipo come Filippo Palizzi e Giacinto Gigante, alcuni loro colleghi si dedicano espressamente alla magia di Capri, come il pittore siciliano Antonino Leto (1844-1913) che si trasferisce definitivamente sull’isola nel 1882, per dipingerne gli angoli più suggestivi. Un altro grande fan dei faraglioni è Giuseppe Garelli (1858-1921), interessato soprattutto alla qualità della luce mediterranea, che trasferisce sulla tela con una pittura sfrangiata e pastosa, simile a quella del suo collega napoletano Carmine Giardiello (1871-1916), affascinato dalla vita quotidiana dei pescatori, rappresentata con una pennellata vibrante e nervosa, quasi impressionista. Una tecnica che lo accomuna a Fausto Pratella (1888-1964), autore di una piacevole veduta del porto di Capri, rallegrato dalle onde di un mare leggermente mosso. Più selvaggia e romantica è l’isola vista dal tedesco Karl Wilhelm Diefenbach (1851-1913), che visse tredici anni a Capri come un eremita, in una grotta tra gli scogli. «Capri mi basterà per tutta la vita con queste aspre rupi che adoro, con questo mare tremendo e bellissimo» scrisse l’artista che ha amato più di ogni altro l’isola, insieme al suo mare dai riflessi azzurrini.

 

VERSO NORD


Ma nei flutti che si infrangono contro i Faraglioni manca il colore giallo paglierino dei mari più a nord, colti dal pennello inquieto di Vincent Van Gogh o da quello più morbido di Paul Gauguin, che osserva divertito i gesti delle donne che si bagnano le gambe tra un’onda e l’altra. A proposito di onde, non dimentichiamo che i grandi artisti dell’Ottocento si allontanano dalle baie lambite da acque tranquille per lasciarsi avvolgere dal fascino impetuoso di marosi e cavalloni, che un grande artista giapponese come Hokusai aveva celebrato con il suo Tsunami, autentica esaltazione della violenza del mare in tempesta. Una violenza che travolge maestri come Turner, che dedica una serie di quadri a naufragi e tempeste, senza dimenticare Gericault, autore di una Zattera della Medusa che potrebbe scomparire in un attimo travolta dai marosi. Gli impressionisti invece preferiscono la vita sulle spiagge, dove le coppie si fermano a contemplare l’orizzonte, le signore passeggiano in crinolina ed ombrellino parasole mentre sciami di bambini vestiti alla marinara giocano sotto lo sguardo attento di balie e cameriere. Questo è il mare di Monet, Renoir e Manet, mentre sulle coste toscane, tra la Versilia e il Cinquale, Giovanni Fattori e i macchiaioli giocano con luci ed ombre per riportare sulla tela quella sensazione di immobilità tipica dell’estate italiana, ubriaca di sole.
Nell’anno 1900 inizia un nuovo secolo, e la pittura si stacca dalla realtà per diventare, direbbe Leonardo da Vinci, “cosa mentale”. Ed è Picasso il pioniere di una nuova visione del mare, senza onde né tempeste. Piatto e uniforme, diventa lo sfondo immobile di tanti capolavori come Le Bagnanti o la Joie de Vivre, espressioni di una natura artificiale e assoluta. La stessa che troviamo nelle opere metafisiche di Carlo Carrà, dai Nuotatori al celebre Pino sul mare, che l’artista dipinge in Liguria o in Toscana, sui lidi di Forte dei Marmi. «Sebbene in natura io non sia un navigatore desideroso di vivere continuamente in paesi marini, tuttavia il mare ha sempre esercitato sul mio spirito una potente attrattiva» dichiara l’artista, forse il cantore più significativo del mare italiano del Novecento insieme al suo maestro e sodale Giorgio de Chirico, autore di una serie di dipinti dedicati al mito della classicità filtrata attraverso i suoi ricordi d’infanzia trascorsa nelle isole greche. I suoi cavalli in riva al mare rappresentano l’estremo tentativo di interpretare il mare Mediterraneo come la culla della civiltà, un mondo incantato dove i cavalli corrono liberi sulla spiaggia con le criniere al vento, domati da ragazzi nudi, più simili a giovani dei che agli esseri umani.

 

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