04La festa del corallo

Una storia antica che a Capri diventa tradizione artigianale

di Salvatore Borà

 

 

 

 

 

La pesca del corallo a Capri fu praticata fin dall’antichità anche se le cronache ne segnalano la sua intensità estrattiva agli inizi del 1800.
Esistevano molti giacimenti intorno all’isola. Il più importante si trovava nelle “Bocche”, cioè in quel tratto di mare compreso tra la punta di Tiberio e quella della Campanella, a Vitareta a poco più di 200 metri dalla costa, a Gradola vicino la Grotta Azzurra, tra Matermania e Punta del Secco, a 400 metri dai Faraglioni, a Punta Carena vicino al Faro e alle Grotte a varie profondità.

La pesca nel 1277 fu così copiosa che gli Angioini furono costretti a stabilire, a beneficio della Corona, una sola gabella sul quantitativo del corallo pescato che gli enti doganali, allora, imponevano variamente a loro arbitrio.

La regina Giovanna I d’Angiò manifestò sempre grande simpatia per i corallini, perché indossò gioie di corallo per tutta la vita e fin da bambina le sue piccole vesti erano decorate con il prezioso elemento.
Con la costruzione della Certosa di S.Giacomo voluta dal conte Giacomo Arcucci nel 1371, la regina Giovanna II d’Angiò dotò il monastero di molte rendite ed oltre all’esazione della decima sul pesce pescato nel mare pertinente la Certosa, concesse anche la decima sul corallo suscitando, nel tempo, una sequela di rancori e controversie tra il Clero, il Vescovado e l’Università per il fatto che in alcune annate i corallini versavano ai monaci, sui diritti della pesca del corallo, migliaia di ducati.

I “banchi” presso la Maddalena in Sardegna e quelli nelle Bocche di Bonifacio, furono un’altra grande risorsa per i pescatori capresi alcuni dei quali, col tempo, si stabilirono definitivamente su quell’isola.

 

LA SECCA DELLE VEDOVE

Racconta Eugenio Aprea, che alcuni di essi, alla fine del Settecento si erano imbattuti, fra la Sicilia e Capri, in una “secca” inesauribile di corallo e di pesci di tutte le specie intorno alla quale tutti i pescatori del Golfo di Napoli ed altri provenienti da mari lontani si recavano attratti dalla prospettiva di grandi guadagni.

In quella pesca lontana dalla propria isola, con tutti i rischi derivanti dallo scatenarsi di improvvise tempeste in mare aperto, vi era quel senso di avventura insito nell’impresa. Una notte, infatti, mentre tutto faceva prevedere una copiosa pesca, un grande fortunale estivo, di quelli che non si preannunciano, s’abbattè sulla zona sorprendendo e travolgendo tutti i gozzi che sostavano intorno alla famosa secca.

Nessuno degli occupanti delle decine e decine di barche scampò alla morte. Non era la prima volta che il mare mieteva il lutto in qualche famiglia di pescatori, ma questa volta le onde, di un’altezza e di una furia paurose, avevano provocato una strage. Le vedove di quei poveri pescatori non smisero mai più di indossare l’abito nero ed il luogo di quella immane sciagura è ancora oggi ricordato come la “Secca delle Vedove”. Il pittore John Benner si ispirò a questo triste episodio quando riprodusse in un bel dipinto ad olio, le donne disperate e piangenti su uno scoglio.

 

I CORALLINI DI TORRE

Nel XVI secolo si verificò un certo esaurimento dei banchi di corallo intorno all’isola, allora i pescatori capresi si imbarcarono a servizio degli armatori di Torre del Greco, facendo vela versa la Sicilia e la Tunisia.
Da aprile ad ottobre la loro vita diventava un lungo ed ingrato lavoro. Passavano le giornate stipati in una barca senza ponte con solo biscotti da mangiare e acqua da bere spesso fetida, toccando terra raramente, senza dormire per giorni di seguito e con un compenso estremamente inadeguato alla fatica e alla sofferenza che sopportavano. Ciò non scoraggiava i migliori ad intraprendere questa vita perché per i circa duecento giovani che ogni anno si imbarcavano, era l’unico modo per risparmiare di anno in anno una somma sufficiente per potersi sposare ed iniziare una nuova vita. Non li spaventava nemmeno il pericolo di essere fatti prigionieri dagli avventurieri o dai pirati che allora infestavano il Mediterraneo con le loro scorrerie.

Per cautelarsi, i marinai aprirono una sottoscrizione per dar vita ad una Congregazione di Carità o Monte, sia a Capri che ad Anacapri, con il compito di sostenere le ragazze povere che non potevano accasarsi per mancanza di mezzi, ma soprattutto per avere a disposizione una somma per «…il riscatto di qualcheduno degli aggregati che nol permetta Dio, andasse schiavo in mano ai Turchi… e che se accorresse tale disgrazia s’abbia da impiegare tutto quello denaro che si trovava fruttato da detto capitale; …e non potendo poi soddisfare a tanti, s’impiegassero docati cinquanta per ciascheduno comunicando dal primo che fusse fatto schiavo e se fussero fatti schiavi tutti insieme sopra una barca, s’abbiano a bussolare chi ha da essere il primo, secondo, terzo, quarto, così man mano… ».

I Monti avevano sede nei due comuni, nelle piccole chiese dedicate a Santa Maria di Costantinopoli. è tradizione che l’immagine di questa Madonna, chiamata anche “Schiavona”, fosse stata ritrovata nella stiva di una nave pirata assalita e distrutta da un vascello di corallini di Torre del Greco al largo della Sardegna. Essa era anche venerata dai Turchi a Costantinopoli fin dai tempi dell’Imperatore Costantino ed ora era diventata il sacro simbolo dei pescatori torresi che l’avevano eletta a loro protettrice.

Anche quelli di Capri nutrivano una particolare devozione verso la Vergine Maria e non intraprendevano nessun viaggio per mare senza recarsi prima a rendere omaggio a S. Maria del Soccorso nella chiesetta di Monte Tiberio, già S. Leonardo, patrono degli schiavi, o in quella di S. Maria a Cetrella sul Monte Solaro. Oggi gli abitanti del borgo marinaro di Marina Grande celebrano, nella seconda domenica di settembre, la loro più importante festività dell’anno dedicata alla Madonna della Libera così invocata, già nella cappella del Castello di Capri, perché liberasse i pescatori fatti prigionieri dai Turchi.

 

PESCATORI IN FESTA

Nella seconda metà dell’Ottocento ne veniva celebrata un’altra nel centro di Capri della quale si è però perduta la memoria e la tradizione. Lo scrittore inglese John Richard Green nel 1876 così scriveva descrivendola: «…l’unica vera pausa nella monotonia dell’inverno caprese è la Festa dei Pescatori di Corallo che si celebra ogni anno l’ultima domenica di gennaio.

Molto prima dell’alba un forte scoppio di mortaretti desta l’isola dal sonno e la messa solenne è quasi finita quando una pittoresca ed insolita processione si riversa fuori dalla chiesa nella luce del giorno. Alla testa vi sono le Figlie di Maria, delle bambine e della sedicenni, tutte vestite di bianco con ghirlande di fiori sui veli e cinture rosse ed azzurre. Seguono i canonici in rigide cappe e dietro i pescatori, giovani marinai unitamente ad altri più grandi, rossi e brizzolati che portano le candele come le ragazze davanti a loro. Segue, poi, la Confraternita del Villaggio, anche loro pescatori, ma vestiti con strani indumenti grigi, con cappucci neri che coprono il volto e dai quali il solo sguardo bonario indica che sotto questa sepolcrale immagine vi sia quel Giovanni o quel Peppino che ieri raccontava storielle che venivano riecheggiate dalla Grotta Azzurra.

Poi sotto un grande baldacchino sorretto da quattro pescatori più anziani dell’isola, vestiti con meravigliose mistiche tuniche di sciamito – un po’ simili alla toga di un dottore in musica della nostra prosaica terra – viene la Madonna. La Madonna del Carmelo, con una corona d’oro in testa e un pesce d’argento che penzola tra le dita. è la Madonna del Carmelo che si contende con San Costanzo, il Santo della chiesa madre di sotto, il dominio spirituale di Capri. Se egli è il Protettore dell’isola, lei è la Protettrice. Tutte le ragazze vanno d’accordo con i pescatori per il loro amore per la Madonna. “Ah sì, signore – sorride una ragazza il cui viso greco avrebbe potuto fungere da modello per Fidia – San Costanzo è il nostro protettore ma è vecchio e la Madonna è giovane, così giovane e così graziosa, signore, ed è la mia protettrice”.

Lentamente la processione si snoda attraverso la cittadina, ora allungandosi in una fila di ceri luccicanti mentre passa per le strette viuzze, ora allargandosi sui pendii delle colline dove i fazzoletti da testa color arancio ed i monili d’argento delle donne capresi brillano e risplendono nel sole su uno stupendo sfondo di colori. Poi arriva la sera, la benedizione ed i fuochi d’artificio senza i quali la processione non sarebbe tenuta in nessun conto; le girandole piroettano nella Piazza ed i petardi scoppiano tra un coro di graziose grida di piacere e di terrore».

 

 

L’ARTE DEL CORALLO

La parola corallo deriva molto probabilmente dal greco korallion cioè “scheletro duro”. Altri fanno invece derivare il nome dall’ebraico goral termine con il quale venivano indicate le pietre utilizzate per gli oracoli in Asia Minore e nel Mediterraneo, tra le quali un ruolo preponderante era appunto quello svolto dai coralli. Secondo i Greci e i Romani il corallo era “il miglior frutto del mare” e Ovidio nelle Metamorfosi scrive: «è come erba molle che nasce non sulla terra ma nel mare, la cui salsedine fa marcire la pianticella quindi le foglie si staccano e la spuma del mare la porta a riva. L’aria la indurisce e chi la tocca direbbe che è pietra ciò che poco prima era erba».

È ai piedi del Vesuvio, nell’antico borgo marinaio di Torre del Greco che si è scritta gran parte delle lunga storia di questo prezioso gioiello del mare. La pesca del corallo effettuata dai marinai di Torre del Greco è infatti documentata fin dal XV secolo e nel 1790 viene costituita la Reale compagnia del corallo. Il 22 dicembre 1798 Ferdinando IV di Borbone promulga poi il Codice corallino con l’intento di regolamentarne la pesca.

Durante la seconda metà dell’Ottocento le coralline che salpavano da Torre del Greco erano circa 290 all’anno e nel 1878 viene fondata la Scuola per la lavorazione del corallo presso la quale, nel 1993, è stato realizzato il Museo del corallo. Quello che era un piccolo borgo di pescatori si trasforma così poco alla volta nell’epicentro della lavorazione dell’oro rosso. Oggi, a Torre del Greco non viene più praticata la pesca del corallo ma la città è tuttora il più importante centro mondiale per la sua lavorazione.

 

CORALLI, CHE PASSIONE!

Costanzo, Alfonso, Costanzo. è di generazione in generazione che gli Alberino a Capri si occupano di coralli. Con la stessa, profonda passione. Una passione che nel 1946 porta Alfonso ad aprire La Fiorente, una piccola bottega di coralli e cammei. Negli anni Ottanta ai gioielli in “oro rosso” si affiancano zaffiri, smeraldi, rubini e un trionfo di perle scelti personalmente dal figlio Costanzo, e l’antica bottega di coralli si trasforma sempre più in gioielleria. Ma la passione per il corallo è sempre lì e nasce così il Don Alfonso, negozio specializzato dove fanno bella mostra coralli e cammei di tutte le fogge e per tutte le tasche.

 

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