foto09Le notti di Peggy

Un marito in preda all’alcool e una cognata tentatrice. Il viaggio di nozze a Capri lasciò in Peggy Guggenheim un amaro ricordo dell’isola

di Giuseppe Mazzella

 

 

 

 

Quando arrivò a Capri per la luna di miele, Peggy Guggenheim aveva appena sposato Laurence Vail, “il re dei bohémiens” parigini, che teneva la sua corte tra il Café de la Rotonde e il Dôme, a Montparnasse. L’incontro fatale era avvenuto qualche mese prima a New York, all’epoca in cui Peggy lavorava in una libreria dalle parti della Grand Central Station e aveva da poco compiuto ventun anni. Laurence, che ne aveva ventotto, l’aveva subito incantata con i suoi «capelli bellissimi, screziati d’oro che ondeggiavano al vento». Per aver trascorso gran parte della vita in Francia, aveva anche uno spiccato accento francese che ne accentuava il fascino, ma era solo uno dei tanti affascinanti frequentatori della libreria e Peggy non ebbe nemmeno il tempo di farsi invitare a cena. Era però solo questione di mesi. Trasferitasi a Parigi per seguire la sua passione per l’arte e il collezionismo, Peggy incontrò nuovamente Laurence, che aveva ripreso la sua vita notturna fatta di serate tra locali bohémienne e caratterizzata da chiassose sbronze ed effimere avventure sentimentali. Peggy strinse amicizia con numerosi scrittori e artisti d’avanguardia, impegnandosi in un’intensa attività di mecenatismo che ne farà una delle più importanti promotrici dell’arte moderna. Per attirare Laurence nella sua orbita esclusiva, dovette però pazientare a lungo, soffrendo terribilmente fino a che le sue numerose ed estemporanee relazioni si esaurissero o almeno si diradassero. Destreggiandosi abilmente tra una cognata morbosamente possessiva, Clotilde, e una suocera che con un misero mensile di cento franchi teneva legato a sé Laurence, Peggy in pochi mesi vinse la sua battaglia, nonostante la tenace opposizione anche della madre. Eludendo ogni controllo, riuscì a “cedere” in un memorabile pomeriggio parigino. A conferma che a decidere fosse lei, anni dopo scriverà nella sua disarmante autobiografia che, possedendo una collezione di foto degli affreschi proibiti di Pompei: «Laurence ebbe il suo daffare perché pretesi tutto quello che avevo veduto in quelle rappresentazioni». Quando, dopo una serie di sofferte decisioni e altrettanto rapidi ripensamenti, la coppia decise finalmente di sposarsi, anche la madre di Peggy si piegò all’inevitabile. Era la primavera inoltrata del 1922 quando giunsero a Capri. Laurence conosceva bene l’isola per esserci stato molte volte, mentre Peggy vi aveva soggiornato solo poche ore qualche anno prima in compagnia della sua amica Valerie. Una gita veloce, nella quale aveva visitato in barca la Grotta Azzurra. La coppia affittò una casa che sorgeva molto in alto, nella zona della Villa di Tiberio. Ogni giorno facevano lunghe passeggiate per raggiungere il mare che amavano moltissimo. Peggy era attratta soprattutto da Marina Piccola, ma a volte scendevano a Marina Grande dove affittavano delle piccole imbarcazioni a remi con cui si spingevano al largo, per andare incontro al vaporetto che arrivava ogni giorno da Napoli. Capri in quel tempo non era ancora meta del turismo di massa, ma molti erano gli stranieri che vi abitavano per lunghi mesi. Nell’isola non vi erano automobili e anche le carrozze erano abbastanza rare. Si andava per lo più a piedi in un silenzio irreale, che stregò Peggy e Laurence. I giorni si succedevano ai giorni, senza che nulla sembrasse modificare quella pace. A volte, seguendo l’ispirazione del momento, si spingevano sino ad Anacapri, dove tutto appariva ancora più fermo nel tempo e da dove potevano contemplare le mareggiate che percuotevano le coste rocciose dell’isola e che la tagliavano fuori dai collegamenti per giorni interi. Valeva la pena, allora, raggiungere la Piazzetta e fermarsi al caffè Morgano, dove era facile fare amicizia con altri avventori. La piazza era anche il luogo ideale per fare pettegolezzi su alcuni personaggi stravaganti come il conte Fersen o una vecchia che vendeva corallo ad un angolo di strada e che “confidava” ai quattro venti di essere stata l’amante della regina di Svezia. L’isola appariva sospesa tra realtà e fantasia, un luogo al di là del tempo, dove «nessuno sentiva il peso della responsabilità e tutta l’atmosfera ricordava quella di un’opera buffa», come scriverà Peggy nella sua autobiografia che così ricorderà ancora quelle settimane intense: «Capri è simile a un’isola incantata: una volta che si è lì, è molto difficile andarsene. Gli abitanti sono spesso eccentrici, ma la bellezza del posto e la sua splendida posizione nella baia azzurra di Napoli sono troppo belle per essere vere. Le passeggiate intorno a Capri sono di straordinaria bellezza e la vegetazione di certe zone ricorda le brughiere della Scozia». L’unico neo di quella luna di miele era costituito dall’alcool al quale Laurence si abbandonava spesso. Peggy si vergognava di accompagnarlo in quello stato, avrebbe voluto scappare lontano e non assistere più a quelle scene. Laurence invece era a proprio agio, amava essere violento e mettersi in mostra. Dopo tre settimane, la situazione divenne ancora più difficile con l’arrivo di Clotilde, la sorella di Laurence, che si era fatta accompagnare da un’amica. La rivalità tra lei e Peggy si riaccese con violenza e finì per rovinare del tutto la luna di miele. Peggy annoterà con acre risentimento che Clotilde, appena arrivata a Capri, «non mi cedette neanche un centimetro di lui e mi faceva sentire sempre come una persona che era entrata per sbaglio in una stanza già occupata ». Quando poi Clotilde, vera mangiatrice d’uomini, si buttava in una nuova avventura amorosa, Laurence gelosissimo, sfogava la sua rabbia contro Peggy. Alla fine dell’estate la coppia e il resto della famiglia lasciarono Capri per Saint Moritz. Ma l’isola era rimasta nel cuore di Peggy. E così, l’autunno dell’anno successivo, Peggy, Laurence, Clotilde, l’amica Mary e il primogenito che aveva pochi mesi, Sindbad, tornarono a Capri. Questa seconda permanenza si trasformò presto in un incubo. Clotilde si era innamorata questa volta di un uomo sposato, un certo capitano Patuni, che per nascondere la sua relazione alla moglie, si inventava ogni volta una battuta di caccia che destava facile ironia fra quanti erano a conoscenza della tresca. La cosa faceva molto soffrire Clotilde che una sera si confidò al fratello che andò su tutte le furie. Già ubriaco, raggiunse il capitano Patuni in un club privato e gli tirò addosso tutto il mazzo di carte con le quali stava giocando. Seguì una colluttazione in cui un poliziotto fu ferito a una mano. Laurence fu ammanettato e trasferito in prigione. Nella storia entrò anche il sindaco dell’isola, Edwin Cerio, che pochi giorni prima Laurence aveva preso in giro. Al sindaco non sembrò vero ricambiare la cortesia, tenendo rinchiuso Laurence dieci giorni prima del processo. Un giudice cieco, un secondino troppo scaltro ed esoso stavano trasformando l’affare in una farsa, se non fosse provvidenzialmente arrivato l’avvocato del Consolato americano, Tirelli, che con un abile giro di testimonianze riuscì a dimostrare che Laurence al momento del fatto era ubriaco e non aveva nessuna intenzione di far del male. Per avvalorare la dichiarazione fu sentito anche il barman del Quisisana che confermò che quella sera Laurence aveva bevuto ben otto aperitivi alcolici e una notevole quantità di champagne. Anche il capitano Patuni fece la sua parte, tacendo opportunamente. Laurence fu liberato quel giorno stesso, ma prima di imbarcarsi sullo yacht di Tirelli che l’avrebbe portato ad Amalfi, volle fare un’ultima passeggiata in piazza, al fianco di sua sorella Clotilde, per dimostrare che non aveva accusato il colpo. Tutto questo aveva finito per incrinare definitivamente l’amore di Peggy per Laurence che abbandonerà pochi anni dopo. Peggy Guggenheim tornerà a Capri solo nel 1948, ma ne resterà delusa. I guasti della guerra e le tensioni politiche del tempo, la convinsero ad allontanarsene definitivamente, tuffandosi nella sua prima partecipazione alla Biennale di Venezia, in cui avrebbe fatto conoscere al mondo la sua splendida collezione di arte moderna alla quale aveva dedicato la vita e ingenti risorse del suo pur vasto patrimonio.

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