degregorio

Luogo dell’anima

di don Vincenzo De Gregorio

 

Chi vive la capresità dal di dentro, sa che il parlare degli isolani ha le sue sfumature, tali da permettere immediatamente di coglierne la provenienza – attraverso vocali, coniugazione di tempi dei verbi – se da Capri o da Anacapri. È stata sufficiente la montagna, non troppo alta in verità, ma abbastanza ardua da varcare, nei tempi nei quali erano i sentieri e le erte del Passetiello e i gradini ripidi e rompicosce della cosiddetta Scala Fenicia, a creare una separazione vera tra le due comunità. I due accessi, faticosi, offrivano una sosta ai viandanti sfiancati, nel nome dell’amore di Dio e della misericordia dei compaesani: sulla Fenicia, a mezzaria, la chiesetta di S. Antonio (di notte anche tenue luce del lumino per i pescatori in mare) e sul Passetiello, l’eremo di Santa Maria a Cetrella. È, questa, la tipica costruzione francescana dei frati che perseguivano la linea austera e penitente del loro Ordine.

Altra versione del francescanesimo aveva scelto di costruire conventi monumentali nel centro dei grandi insediamenti urbani, ma loro no: conventi lontani, dai quali uscire per la questua di qualche frutto della terra e della pesca. Forse dal convento di San Francesco sul versante di Marina Grande, dove è vissuto nientedimeno che un frate beatificato, il beato Bonaventura da Potenza, i cui resti sono a Ravello, un piccolo distaccamento scelse il ciglio della montagna a Cetrella per il conventino. Le alterne vicende ne fecero probabilmente anche insediamento di frati domenicani.

Un prete anacaprese, dopo la soppressione dell’Ordine dei Frati Minimi di San Francesco di Paola al quale apparteneva, fu l’ultimo a dare vita religiosa stabile e continuità di presenza a Cetrella.

Nel frattempo, dal 1870, la nuova strada tra i due centri riduceva drasticamente la funzione degli antichi sentieri. Cetrella comincia a diventare il luogo del ristoro dell’anima. Il panorama di Capri, della collina di Tiberio e del Castiglione, di Tuoro, dei Faraglioni e di Marina Piccola, raffrontato con le prime foto da un secolo a questa parte, è oggi più verde, l’insieme è come rivestito di un manto trasbordante da ogni ciglio e pendio, di alberi ed arbusti spuntati pervicacemente anche sulla più piccola sporgenza di roccia; ma è anche un panorama affollato, addossato, affogato di case, casoni e casermoni.

Stando sull’isola, la fuga da tutto ciò è rappresentata dalle facili passeggiate che in pochi minuti portano molto lontano: questa è una delle prerogative e delle ricchezze, tra le tante. Ma Cetrella, non è soltanto questo. A Cetrella si ritrova l’anima perché si ritrova se stessi. Lo sguardo spazia sugli immensi orizzonti e fruga con impertinente curiosità tra strade, finestre, perfino persone, laggiù, in basso. La posizione alta crea una sottile ma percepita coscienza. Apparteniamo a quel mondo, ma per quanta parte e fino a quando? Gli occhi inevitabilmente puntano alle montagne lontane della divina Costiera, possono dare finanche nome alle scogliere di Punta Licosa, tra la Campania e la Lucania, ma il cielo senza confine confonde le certezze del vivere quotidiano e inevitabilmente richiama pensieri di nostalgia.

Non si viene via da Cetrella felici, ma sereni. Sereni perché almeno per qualche istante si è vissuta la verità della vita, la sua caducità ma anche la sua inevitabilità: devo vivere, e devo vivere lì, tra quelle strade e tra quella gente, ma non è tutto. Gli occhi un po’ strabici dell’immagine della Madonna guardano fissi altrove e noi, nel recitare guardandola, il nostro saluto angelico sussurrando in cuore quell’Ave Maria che ha l’odore delle nostre mamme, siamo spinti da quelle pupille lì dove esse si sono fissate: l’eternità ed il suo mistero profondo.

Lasciando la chiesetta, dalla quale si è passati nella sacrestia più bella del mondo, con la finestrella-cornice che inquadra i Faraglioni e il golfo di Salerno, il vialetto passa lungo due riquadri di terra orlati di pini. Sono il confine a strapiombo sul mare. Lì, da qualche parte, riposano i frati che forse hanno eretto l’eremo, pietra su pietra, con sagome un po’ rozze e simmetrie rimaste solo nelle intenzioni. Il cimiterino del convento. Difficilmente un altro luogo come questo potrebbe dire altrettanta verità: restituire il corpo alla terra ed essere al confine con il cielo. Cetrella: il luogo dell’anima, la chiesetta “di nuvole e di cielo”, il pozzo dal quale attingere acqua di ristoro per la stanchezza del vivere, lo scenario della verità della vita, il confine tra il tempo e l’eternità, i colori che danno luce al dolore stemperandolo in serena nostalgia di bene e di bello.

 

 

Cetrella e i suoi angeli

Ottavio e Carmine. Sono i due fratelli Russo che conservano gelosamente le chiavi del piccolo eremo e di questo si occupano dal 1971. È grazie a loro se, da maggio a settembre, un paio di volte alla settimana si può visitare quest’angolo di pace. La piccola chiesa è consacrata e durante l’anno vi si svolgono celebrazioni. Nel mese di settembre, poi, si festeggia la natività della Vergine e per tutte le domeniche del mese c’è una messa al mattino presto. Assolutamente no profit, l’Associazione Amici di Cetrella è nata per volontà di un gruppo di isolani che per amore di questo luogo ha deciso di associarsi per preservarne la bellezza e occuparsi della manutenzione degli spazi boschivi dell’intera vallata ai piedi del Monte Solaro. Non è difficile, salendo in un sabato pomeriggio di tempo sereno, trovare i volontari impegnati ognuno in qualche compito. Prima dell’eremo si trova quella che fu la casa dello scrittore Compton Mackenzie, ristrutturata dagli Amici di Cetrella e da questi trasformata in museo della cultura rurale e contadina o centro studi sulla flora e la fauna locali. Prima di salire a Cetrella, se si va per visitare l’eremo, è però consigliabile informarsi sugli orari e le giornate di apertura.

Info: cetrella.it – tel.: 081.837.1157

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