foto06

Madame Colette

Sedotta dalla bellezza dell’isola la scrittrice francese acquistò una casa ad Anacapri 
per trascorrere lunghi periodi con i suoi inseparabili gatti

di Giuseppe Mazzella

 

 

 

 

Nel 1910, quando si recò per la prima volta in Italia, Colette aveva 37 anni. Era ancora una scrittrice sconosciuta, nonostante avesse già pubblicato con successo alcuni libri. La sua notorietà, infatti, era da anni soffocata perché le sue opere portavano tutte la firma del marito e mentore Willy. Questo non impedì, però, a qualche critico più attento, di affermare: «Willy hanno talento». Il breve viaggio che la porterà a Roma e a Napoli e che durerà solo poche settimane, le cambierà la vita, trasformandola da scrittrice fantasma in autrice famosa e apprezzata per la scrittura impeccabile e per le storie umane e divertenti, con le quali illuminerà la scena letteraria francese della prima metà del Novecento.
Nata a Saint-Sauveur-en-Puisaye il 28 gennaio 1873, Sidonie-Gabrielle Colette erediterà dal padre, il capitano a riposo Jules-Joseph l’ambizione mai realizzata di diventare scrittore. Sempre immerso nei testi della sua ben fornita biblioteca, conservava sulla scrivania con ordine maniacale risme e risme di carta, che alla sua morte si scoprirono assolutamente bianche. Forse fu questa dolorosa scoperta a spingere Colette a dedicarsi alla letteratura. Dalla madre Sido assorbì l’amore per la natura e gli animali, specie per i gatti, in compagnia dei quali, assieme a due sorelle e a un fratello maggiore, visse un’infanzia dorata nella casa immersa nella verde campagna della Borgogna, della quale conserverà per tutta la vita l’accento «grasso e succoso».
Quegli anni felici finirono quando, a vent’anni, conobbe e sposò Henri Gauthier Villars, detto Willy, «dongiovanni e scrittore, amatore di donne, di liquori esteri e di giochi di parole», come lui stesso amava descriversi; più prosaicamente un abile imprenditore che faceva lavorare per sé dei “negri” che scrivevano libri che poi lui firmava e pubblicava. Colette, sposandolo, cominciò subito a far parte della sua “scuderia”, creando un personaggio originale e molto apprezzato dal pubblico e dalla critica: Claudine.
Colette fece così il suo ingresso nel bel mondo parigino, all’inizio con timidezza e con un atteggiamento remissivo nei confronti del marito anche se, scriverà in seguito Jean Cocteau, sempre pronta con «la sua zampa di velluto a mostrare fulmineamente i suoi artigli». Passarono lunghi e faticosi anni di apprendistato in cui la futura scrittrice fortificò la sua vocazione. Nello stesso tempo i rapporti con Willy si erano logorati, non solo a causa dei suoi continui tradimenti, ai quali lei rispondeva con i suoi amori anche omosessuali, ma perché era come se “Claudine”, diventata adulta, sentisse il bisogno d’indipendenza e di una nuova vita. Nel 1905 decisero, quindi, di separarsi, dando l’avvio alla causa di divorzio.
Colette, inserita nella Parigi mondana, decise di allacciare nuove amicizie. Lo fece, subito, alla sua maniera, legandosi con Mathilde de Morny, detta Missy, marchesa di Belbeuef, più anziana di lei di dieci anni, con la quale non si vergognava di mostrarsi in pubblico. L’amante, molto ricca, le regalò una bellissima dimora, a Rozven, presso Saint Malo, dove lei trasferì la sua residenza, i suoi libri, i pochi mobili e tanti gatti. Anni dopo scriverà nei suoi Souvenirs Elisabeth de Gramont: «Colette è una donna che vive davanti al focolare: i gatti, la luce, il calore e l’uomo ». E le donne, possiamo aggiungere che, dopo la fine della relazione con Missy, si alternarono agli amori maschili nella sua vita. Perduta l’amica e dovendo far fronte alle esigenze quotidiane, Colette decise di dedicarsi alla carriera artistica, calcando i palcoscenici dei maggiori teatri di Parigi, come ballerina e come mima, esibendosi assieme all’allora già famosa Polaire.
Erano gli anni in cui consolidava il suo mito di donna libera che si divideva tra numerosi amanti, convinta che «i sensi sono un inesorabile fascio di forze annidati nel corpo umano», che lei metteva scandalosamente in mostra, compreso il seno nudo, vivendo «tutte le avventure impossibili». Il suo viaggio in Italia nel 1910 coincise con uno snodo cruciale della sua vita e l’inizio di una nuova stagione. Il tour le era stato regalato da Auguste Heriot, figlio di una ricchissima famiglia parigina, proprietaria dei grandi magazzini del Louvre. Heriot la corteggiava, invitandola nei migliori ristoranti di Parigi e colmandola di regali. Il giovane amante sperava con il generoso invito in Italia di conquistarla definitivamente. Erano appena arrivati in Italia, verso la metà di luglio, che Colette fu raggiunta dalla notizia della sentenza di divorzio. Finalmente, dopo anni di immeritato oblio, era libera di rivelarsi non solo come autrice della serie di “Claudine”, ma di firmare con il proprio nome Le Vagabonde, il romanzo che sarà pubblicato a puntate sulla rivista La Vie Parisienne. La sosta romana la annoia. La città sembra deserta e troppo silenziosa. Dedica interi pomeriggi a portare a passeggio i suoi cani a Villa Borghese o sui declivi deserti del Palatino. La città le appare addormentata, anche se carica di colori e di atmosfere. Decide allora di scendere al sud. Heriot la segue senza entusiasmo. A novembre raggiungono Napoli e la costiera amalfitana, da dove lei invia brevi notizie alla madre preoccupata, per rassicurarla: «Mia cara mamma, noi facciamo colazione a Positano, in un paese troppo bello perché creda sia vero». E il giorno dopo: «Io sono arrivata e sono rimasta abbagliata. Questa baia di Napoli, lo confesso, non ha affatto rubato la sua reputazione». Il viaggio per la verità la stanca ed è pieno di scomodità, ma le continue scoperte, la luce, gli odori e la natura incontaminata catturano i suoi sensi e la sua mente. Stende poche note, scrive brevi notizie alla madre e “sopporta” la corte malinconica del compagno di viaggio. La verità è che il giovane e inesperto spasimante la annoia, confidando al suo amico Léon Hamel: «Io non arriverò mai a scrivere una lettera. Oggi: battello, vettura, battello, tempesta». Insomma un tour de force e un amico che non la diverte. Nonostante il tempo incerto, la pioggia e il mare mosso, decide di spingersi fino a Capri. Il viaggio non è confortevole, a causa del dondolio che le procura la nausea. Costeggiando Procida, però, dimentica tutto e si esalta alla visione dei giardini «così vecchi, ornati di rose e di aranceti». Al largo il mare si ingrossa e ricominciano i fastidi. Finalmente Capri. Colette resta incantata da tanta bellezza.
Le prende come una frenesia e in pochi giorni la percorre tutta, su e giù senza sosta. Vuol vedere ogni cosa, immergersi nell’atmosfera dell’isola, conoscerne la storia, la gente. Sempre più eccitata, visita uno dei luoghi ormai entrati nella leggenda: «Vado alla Grotta Azzurra, dove si entra per una piccola entrata e dove è tutto illuminato dal blu fosforescente e indimenticabile», scrive come rapita. è definitivamente conquistata dall’isola azzurra.
Colette fa poi lunghe passeggiate per le vie solitarie e poco frequentate. Ed è ad Anacapri che scopre la “sua” nuova casa. In quella che si chiama oggi via Timpone, adocchia alcuni vecchi fabbricati settecenteschi, del complesso monastico di San Michele. Colette se ne innamora a prima vista, ma non esprime a nessuno il suo intimo desiderio, neanche al compagno che la segue sempre più infelice e disperato. La permanenza a Capri si chiude, poco dopo, con la fine della storia d’amore con Heriot, che per la verità non era mai iniziata, e il cui carattere lei descrive con parole profetiche al suo confidente Hamel: «Il mio piccolo compagno vi invia il suo saluto. Egli è molto gentile quando è solo con me, ma non sarà mai felice, perché è come costruito su un fondo di tristezza».
Tornata a Parigi, a dicembre, fa la conoscenza di Henry de Jouvenel, condirettore al giornale Le Matin, e suo futuro marito, che sposerà nel luglio del 1913, tre mesi dopo la morte dell’amatissima madre Sido. Da quell’unione nascerà una bambina, alla quale verrà dato lo stesso nome della madre. Colette sta diventando ormai la primadonna della letteratura parigina. I suoi libri, della serie di “Claudine” e le nuove opere come Ces Plaisirs… e Chéri raggiungono diverse migliaia di copie, mentre i suoi servizi giornalistici sono attesi da sempre più numerosi ammiratori entusiasti. Nel luglio del 1915 torna in Italia, questa volta come inviata speciale del giornale Le Matin. Da Lugano raggiunge Venezia e successivamente Roma. Come nella sua prima visita, continua ad annoiarsi. Trova la città stranamente ferma nel tempo e lontana, anche allora che si era in tempo di guerra. Decide, allora, di ritornare a Capri. Qui raggiunge Anacapri e va direttamente a via Timpone, dove contratta l’acquisto della casa scoperta cinque anni prima. In poche settimane i vecchi muri dalle volte a vela riprendono vita. Colette adesso è ricca ed è tra i più grandi scrittori di Francia. Un gruppo di muratori è impegnato a realizzare il suo sogno caprese, restaurando e tinteggiando a calce l’intero fabbricato e realizzando un giardino chiuso, simile a quello della casa dell’infanzia in Borgogna, protetto da alti muri, scandito da colonne e percorso da vialetti. Uno spazio dove sostare, passeggiare e giocare con i gatti che adesso, quasi a un misterioso richiamo, arrivano da tutto il vicinato.
La scrittrice è felice e si occupa di arredare personalmente gli interni. Si fa costruire in camera da letto un’ampia vetrata che dà su un giardino di agrumi, e sceglie pavimenti in ceramica con disegni geometrici e floreali. Alle pareti dello studio appende alcune stampe francesi. Alle grate delle finestre fa mettere il monogramma intrecciato “Colette de Jouvenel”. Colette sarà a Capri ancora nel 1917 e nel 1918 e ogni volta che la sua vita avventurosa glielo concederà. Elisabeth de Gramont ricorda come Colette, amante della cucina e della casa, si trasformasse quando era nella sua nuova casa: «Nell’estate mediterranea trascina una tavola sotto la pergola, distende in pieno sole i suoi potenti muscoli ricoperti di una pelle fine e dorata e dà al braciere il colpo adatto a farne scaturire la fiamma alta e chiara che cocerà all’istante il pesce ai ferri». La sua vita avventurosa la porterà ancora per lunghi anni a vivere amori e successi, lontana dalla sua casa caprese. Divorziata dal secondo marito, troverà finalmente la felicità nel 1925, sposando Maurice Goudeket, entrerà nell’Olimpo della letteratura francese all’Accademie Goncourt e sarà nominata nel 1953 anche Grand Officier de la Legion d’Honneur.
Colette continuerà a scrivere e ad amare, sempre tesa a leggere il cuore degli uomini con i suoi occhi acuti e implacabili, «gli occhi più belli del mondo, di un azzurro profondo, come certi zaffiri, come il Mediterraneo d’inverno, quando è tormentato dal Mistral, e picchiettati d’oro ». Prima di spegnersi dolcemente nella sua ultima casa di Port Royal il 3 agosto del 1954. La dimora caprese, dopo la sua scomparsa, passò alla figlia e poi all’architetto Biagio Accolti Gil e da questi alla sorella Dinella, attuale proprietaria, che ha voluto preservare il ricordo dell’illustre ospite, conservandone ove possibile il carattere originario.

Tweet about this on TwitterShare on Google+Share on LinkedInPin on Pinterest
Torna a sommario di Capri review | 22