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Ogni anno al Quisisana

Da diciannove anni si rinnova a Capri l’incontro dei Giovani industriali.
 Uno specchio dell’Italia che cambia

di Bruno Manfellotto

 

 

 

 

In principio, a esser sinceri, fu Santa Margherita Ligure. Prima di Capri tra i Sessanta e i Settanta. Erano anni in cui la Confindustria vestiva di grigio o di nero e nell’immaginario collettivo non era altro che il “sindacato dei padroni”. I quali se ne stavano nei loro opifici al nord (ma qualcuno anche al sud) o nelle grandi masserie del sud (ma qualcuno anche al nord) per sbarcare di tanto in tanto a Roma dove una potente struttura burocratica di funzionari e dirigenti trattava con sindacati e governi, ministri e parlamentari. Un pachiderma sonnacchioso che si risvegliava a ogni stagione contrattuale. O che dava rassicuranti segni di vitalità quando i suoi economisti analizzavano bilanci, studiavano nuovi mercati, disegnavano scenari: allora le porte del santuario si aprivano per dare un’occhiata fuori. Un po’ lobby, un po’ ufficio studi. Rigorosamente in doppiopetto.
Ma quella era anche la stagione in cui, se non altro per ragioni anagrafiche, si facevano avanti i giovani, i figli della ricostruzione e del boom, i ragazzi vogliosi di imparare, di succedere ai loro padri, di dire la loro. Che alla fine, pur di farsi sentire e vedere, si fecero, per così dire, una loro Confindustria. Con tanto di presidente, vice presidente e comitati regionali sparsi per l’Italia intera. Tutti giovani imprenditori under 40.
Andavano, quei giovanotti, a scuola di Confindustria e vivevano un loro Sessantotto nel solo modo in cui potevano: cercando un dialogo con i sindacalisti (che allora era come contestare un professore in un’aula di università), ragionando con l’opposizione (che era come portare Il Capitale a casa) e andando a esplorare campi e tematiche altrimenti ignorate o sottovalutate. Qualcuno pensava che le stanze dell’Eur fossero infestate dai diavoli.
Colui che tentò di fare dei giovani imprenditori se non un soggetto politico certamente un protagonista del dibattito politico ed economico, fu Piero Pozzoli, un ragazzone genovese vitale e intelligente che non nascondeva le sue idee radicali, nel senso di Marco Pannella.
Fu lui il primo ad aprire le finestre confindustriali e a far entrare un po’ d’aria fresca. Ma solo in senso figurato, perché il palazzone dell’Eur era stato attrezzato dal progettista con circolazione forzata dell’aria d’estate e d’inverno tale da sconsigliare balconi e terrazze. Una volta, addirittura, a metà degli anni Settanta, Guido Carli paragonò i contestatori a fastidiose mosche penetrate nel bunker nonostante i vetri sigillati… Pozzoli sentiva anche l’esigenza di un appuntamento fisso sotto forma di convegno che fosse dai giovani organizzato, convocato, animato. La parola d’ordine era “autonomia”; l’ispirazione di fondo la critica all’establishment confindustriale. La sede prescelta fu Santa Margherita Ligure, a giugno.
Il successo arrivò subito, l’autonomia un po’ meno. Si racconta di “padri” che volessero essere informati dei temi in discussione, e controllare la lista degli ospiti (si gridò allo scandalo quando per la prima volta fu invitato il segretario della Uil Giorgio Benvenuto), e perfino leggere in anticipo le comunicazioni dei relatori.
Più che arginare il fenomeno, il clima di censura preventiva e di preoccupazione mal celata finì per dare all’appuntamento un’aria di fronda e di contestazione, ma anche per cementare il gruppo dandogli una connotazione forte. Più di quanto, in fondo, esso stesso meritasse. Resta il fatto, però, che da allora, a maggio d’ogni anno si celebra nell’auditorium dell’Eur la messa cantata degli industriali e della loro organizzazione, e un mese dopo un gruppo di discoli giovanotti si diverte a intonare il controcanto.
Poi, da una volta l’anno si passò a due. E da Santa Margherita a Capri. Per volontà di Antonio D’Amato, imprenditore napoletano con villa sull’isola, quando vent’anni fa conquistò la leadership dei Giovani, volle che all’appuntamento di primavera se ne aggiungesse un altro, a fine estate, alla ripresa, quando si comincia a pensare ai programmi per l’anno che verrà. Certo, la scelta si spiega da sola. Ma non fu solo un rigurgito di campanile a portare gli industriali juniores in Piazzetta e ai Faraglioni. Il fatto è che tesi, relazioni e contenuti del convegno di Santa Margherita venivano tradizionalmente elaborati dalle delegazioni di Liguria, Lombardia e Piemonte, il vecchio triangolo industriale protagonista della ricostruzione e del boom boom. Ma il mondo era cambiato, anche il centro sud dava segni di risveglio mentre ora era il nord est a macinare record di crescita (e più tardi proprio l’insolita alleanza tra mezzogiorno e nuovo nord porterà lo stesso D’Amato alla presidenza della Confindustria degli adulti) ed era opportuno trovare un luogo dove sancire il riequilibrio territoriale e di culture. E fu Capri, appunto.
Piena tra l’altro di forti suggestioni per i più giovani. Per l’isola, infatti, d’estate passavano prima o poi tutti i grandi: almeno una volta l’anno si faceva vedere Gianni Agnelli; e Leopoldo Pirelli o Giorgio Falck incrociavano al largo in regata o per diletto; e qui arrivò Gardini per far vedere a tutti il suo “Moro di Venezia”; e a pranzo da Luigi ai Faraglioni o alla Canzone del Mare scendevano Ford e Rockfeller, Rizzoli e Mondadori. Oggi le cose non sono cambiate e se in porto è sempre ancorata una delle barche di Diego della Valle e se Luca Cordero di Montezemolo (un altro giovane che ha scalato la Confindustria dei grandi) è di casa, anche Bill Gates cerca casa a Capri…
 L’evento quindi non ha fatto fatica a imporsi. Anche perché industriali e ospiti regalano all’isola un ultimo scampolo d’estate. Sbarcati qui tra la fine di settembre e i primi di ottobre, vivono questo week-end di svago e lavoro come scissi, seguendo una sceneggiatura rigorosamente divisa in due parti: alla mattina cravatta e doppiopetto, aula gremita e talk-show, scenari e polemiche al vetriolo; alla sera camicia aperta sul petto e tutti da Guido Lembo a cantare Reginella. Quasi la metafora di un Paese eternamente sospeso tra un presente da cicala e un futuro da formica, tra consumi e tagli, sacrifici e privilegi. Riflessivo e vitale. Celebrando dunque l’appuntamento caprese numero diciannove, sia consentito un auspicio: che i giovani, ormai diventati adulti, e smentendo i loro maestri e predecessori, riescano a trasformare le due Italie – nord e sud, cicale e formiche – in una sola prendendo il meglio dell’una e dell’altra. Intanto si vivano quest’isola che, tutto sommato, è già riuscita nell’impresa.

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