foto02Piccoli Eden

Grandi alberi, piante aromatiche, colonne bianche e sedili di marmo. Negli antichi giardini capresi la natura trova la sua casa ideale

di Tullia G. Rizzotti

 

 

 

 

Capri è facile lasciarsi incantare dagli odierni miraggi esotici offerti da giardini solari, aperti allo sguardo e debordanti di varietà tropicali, di carnose piante grasse, di avvolgenti rampicanti dagli squillanti colori. I giardini più tipici, più fedeli all’anima dell’isola, sono però quelli segreti, racchiusi tra alte mura di vecchie proprietà, che a malincuore svelano dalle inferriate di un cancello scorci verdi strappati alla penombra di grandi alberi, filari di colonne bianche ed evanescenti come un sogno. L’essenza più autentica è sobria, dipinta di varie tonalità di verde piuttosto che di colori, ereditata prima dal riposante mistero della foresta spontanea, poi dalla classica eleganza del viridarium delle ville nobiliari Romane. Il giardino ricrea ed ingentilisce la selva, impreziosendola di essenze più eleganti e pregiate, spesso dalla foglia profumata.

 

IL MANTO VERDE DELL’ISOLA

Creare fresche oasi di rifugio dall’assedio della calura, riposare l’occhio accecato dal sole tramite tinte tenui è il vero intento alla base della progettazione dei grandi parchi di fine Ottocento-inizio del Novecento. Foto d’epoca mostrano l’isola spoglia e rupestre, intagliata da terrazzamenti per i coltivi sino al piede delle pareti rocciose.
Per tutto l’Ottocento si era disboscato ferocemente, cancellando il manto vegetale, ancora fittissimo alla fine del Settecento, per tradurlo in legname da carpenteria navale, torce resinose, legna da ardere. Lo scrittore Norman Douglas promuove il rimboschimento, indicando le specie più adatte, subito dopo la pubblicazione nel 1904 di una monografia sul tema, The Forestal Conditions of Capri. Lo affianca una schiera di intellettuali innamorati dell’isola al punto di risiedervi, e sparge a piene mani nelle ampie e brulle proprietà acquistate, e dovunque fosse possibile, ombrosi pini d’Aleppo, snelli cipressi, essenze sempreverdi della macchia mediterranea.
In gran parte a loro è dovuto il piacevole aspetto di selva gentile, con le abitazioni seminascoste ed affogate nel verde, che vediamo oggi. La dinastia dei Cerio ricopre di verde la collina di Tragara, fino al Belvedere, e vi costruisce le sue ville: Villa Genny, Villa Ada, Villa Elena, Lo Studio, La Gentilina, dove soggiornerà Neruda.
Axel Munthe conquista e rinverdisce il Monte Barbarossa, ai cui piedi già aveva inserito in un’oasi ombrosa la sua Villa San Michele. Lady Blanche Algernon Lennox trasforma il Monte San Michele in un raffinato parco.
Molto più tardi, a partire dal 1945, il banchiere Mario Astarita ridona un diadema arboreo al ciglio da vertigine del Monte Tiberio, spogliato dagli scavi archeologici di Amedeo Maiuri per riportare alla luce Villa Jovis, dimora dell’imperatore romano Tiberio. Una parte del parco privato è ora aperta al pubblico (Parco Astarita), per lascito testamentario del banchiere alla Soprintendenza Archeologica Italiana.

 

MIMÌ, IL GIARDINIERE DI CAPRI

Un altro scrittore, lo scozzese Compton Mackenzie, impianterà personalmente alberi, ma si farà anche progettare giardini per le varie dimore capresi tra cui si spostò, inquieto, avvalendosi della competenza del floricoltore caprese Mimì Ruggiero, attrezzato di vivaio e di negozio di rivendita. Mimì Ruggiero iniziò a progettare giardini nel 1901, cimentandosi col parco panoramico che Alfred F. Krupp, il “re dei cannoni“, volle donare all’isola: i Giardini di Augusto, affacciati sulla splendida Via Krupp. Venne poi chiamato ad ingrandire l’area verde del Grand Hotel Quisisana. Per soddisfatto “passaparola” tra quella colonia di stranieri residenti, che contribuì a diffondere in tutto il mondo il nome di Capri, progettò il giardino di Villa Torricella delle eccentriche sorelle americane Kate e Saidee Wolcott-Perry, a Marina Grande: un pendio impreziosito da gradinate e sedili di marmo tra aranci, limoni e grandi alberi.
Il poeta Jaques Fersen, ancora più eccentrico, lo volle per la neoclassica Villa Lysis, costruita ai piedi di Villa Jovis: richiese mirti e allori, tappeti di narcisi, boschetti di mimosa e una serra per le orchidee. La regina Vittoria di Svezia gli affidò il giardino di Casa Caprile ad Anacapri, e così molti altri ospiti illustri dell’isola, a cui Mimì si legò anche di profonda amicizia, come nel caso di Compton Mackenzie. Lo scrittore, dopo aver goduto, come affittuario di Edwin Cerio nel 1914, della profumata bellezza del giardino della Villa Il Rosajo ad Anacapri, (dove scrisse Sinister Street), si spostò per dieci anni in un’altra proprietà di Cerio, Casa la Solitaria al Pizzolungo, a picco sul mare. Con l’aiuto di Mimì fece nascere dal terreno circostante, completamente brullo, l’anfiteatro verde di cipressi e pini d’Aleppo.
L’impresa più notevole venne però realizzata sul Monte Solaro, dove Compton aveva acquistato un villino con due ettari di terreno nella piana di Cetrella e l’intero versante rupestre di Ventroso, con promontori, creste selvagge e una piccola spiaggia. Lo scrittore incaricò Mimì di collegare casa e spiaggia tramite un ardito sentiero, spesso intagliato nella roccia con gradini scalpellati apposta.
Compton e Mimì disseminarono sul versante di Ventroso pini ovunque fosse possibile e, attorno alla casa, tulipani, giacinti, anemoni e iris in un colorato tappeto primaverile. All’inizio del Novecento ad Anacapri era ancora presente il fiammeggiante tulipano selvatico, la Tulipa praecox, poi scomparsa. Le ville, passate col tempo ad altri proprietari, svettano ancora inconfondibili nel paesaggio di Capri. Solo la vertiginosa discesa di Ventroso non ha retto al tempo ed alle intemperie, e i gradini sono miseramente crollati, rendendola impraticabile. L’impronta di Mimì si conserva nei grandi alberi sempre più vetusti.
Domenico e Raffaele, i nipoti di Mimì Ruggiero, continuano il fondamentatale contributo al paesaggio caprese. La ristrutturazione del grande parco privato di Villa la Schiava, in via Tiberio, residenza di fine Ottocento voluta dal pittore francese Célestin Gandais, è opera loro, come quella del bosco di Tamborio. Nel vivaio a Tuoro, oltre ad una collezione di 40 varietà di Bougainvillea e di 50 – 60 di rari Hybiscus, riproducono essenze spontanee isolane, in vendita nel negozio di fiori Capri Flor.

 

L’ARCHITETTO DEI GIARDINI

Nella dinastia dei Cerio Edwin ha lasciato un’impronta profonda nella storia dell’isola. Scrittore (di cose capresi), mecenate dei molti artisti attratti dall’isola, anche sindaco, fondatore del Centro Caprense Ignazio Cerio, soprattutto come architetto si è distinto costruendo molto e bene, da artista raffinato ed equilibrato.
Nelle sue ville vestiva di eleganza gli elementi dell’architettura rustica isolana, ereditati da quelli delle ville imperiali Romane: il colonnato, la pergola, la loggia, il soffitto a volta (come nelle antiche cisterne).
Pur ripetendo questi elementi comuni, personalizzava ogni costruzione al punto di renderla unica come un gioiello. La più imponente, e inserita nel paesaggio con magistrale suggestione, è certo Casa la Solitaria, per un decennio punto d’incontro degli artisti approdati a Capri negli anni Venti, attratti dalla rotonda-belvedere, dei grandi ambienti a volta aperti verso il mare, delle svelte e vertiginose scalette tra le rupi. Il progetto più tenero è il Rosajo, nato da una casa contadina trasformata in studio, poi corredata nei pressi dall’aggiunta di un’abitazione minuscola completa, “il Bocciolo”, e da una più grande e distanziata, “la Rosa”.
Maestro anche di giardini, Edwin collegò i vari nuclei con pergole e architettura vegetale, rampicanti, viti e rose «per avere l’illusione di abitare in un villaggio», gelosamente cinto da mura. Appassionato anche di botanica, sosteneva che «il giardino caprese deve essere caprese» e già negli anni Venti suggeriva che «dobbiamo tentare di coltivarvi le specie spontanee indigene…, minacciate di estinzione». Tra le più adatte indicava il croco, il gladiolo, il narciso, il giglio rosso del Monte Solaro, l’asfodelo, il tulipano “selvaggio”, il cappero, le svariate viole, la campanula delle rupi.

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