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Tutti i colori possibili

Accendono i tessuti delle creazioni firmate Livio de Simone, la storica griffe guidata dalla figlia dello stlista-pittore. Che racconta i ricordi più belli vissuti sull’isola

incontro con Benedetta de Simone di Antonia Matarrese

 

 

 

In famiglia siamo sempre stati abili nell’impataccarci: di colori, di gelato, di pomodoro per la pizza, di impronte di cani». Sorride e gesticola, con quella teatralità charmant che solo i napoletani veri hanno, Benedetta de Simone: alta, sottile, la pelle abbronzata dal sole, ordina un caffè nel salottino della sua boutique-nido di via Morelli, il cuore pulsante di Napoli. Suo padre, Livio de Simone, la inaugurò nel 1973. Ma la storia di questo eccentrico designer di moda, il cui nome sta a Napoli come quello di Emilio Pucci sta a Firenze, affonda le sue radici ben più lontano, nel 1958. «La sede dell’azienda era in una vecchia masseria del ‘600, ora tornata in mio possesso, nella zona di Chiaiano. è proprio lì che rivivono i miei ricordi d’infanzia più belli», racconta Benedetta, sposata, tre figli pre adolescenti, studi di marketing e moda negli States e a Milano. «Ero una bambina piuttosto solitaria, come molti figli unici, giocavo nel giardino di ciliegi e passavo ore ed ore in stamperia, il mio regno. Fino ai dieci anni, la stamperia è stata la mia scuola di vita: lì si lavorava, si creavano i nuovi modelli, si sceglievano quelli che poi sarebbero stati i colori de Simone. I miei preferiti? Tutte le sfumature del rosa e del fucsia, quelle che mi donano di più».

Per la stagione p/e 2010, la stilista ha puntato invece su melanzana, avio, pervinca, blu e viola. Pezzo must del guardaroba firmato de Simone, la camicia, che rappresenta un po’ il cambio generazionale all’interno di questo storico marchio: «Le nuove idee prendono spesso spunto da pezzi d’archivio che rielaboro con il mio team creativo. Fermo restando che le due tipologie di stampa, a mano e a quadro di stampa, sono le stesse usate da mio padre e dallo stampatore Geppino, che ancora lavora con me. Per questa estate abbiamo riscoperto il logo a L, che risale alla metà degli anni Sessanta«. Gli anni Sessanta, appunto, quelli del boom economico e dei paparazzi che inseguivano le dive e le protagoniste del jet set internazionale: Audrey Hepburn, Lucia Bosè, Lana Turner, Ingrid Bergman, Elsa Martinelli, Jackie Kennedy Onassis. Donne eleganti e bellissime che Livio de Simone vestiva nella Capri mondana di 40 anni fa. Già, perché proprio in questa isola magica, nel 1951, lui ed Emilio Pucci inventarono la prima sfilata di moda nel parco del Quisisana. Gli abiti, leggeri e coloratissimi, portavano i nomi di luoghi isolani: Grotta Verde, Damecuta, Cala del Rio, Grotta di Matromania. Fu un successo annunciato. Da quella idea, molti anni dopo, prese il via la manifestazione “Moda Mare Capri”. «Il legame fra Capri e la mia famiglia è sempre stato molto intenso: passavo sull’isola almeno tre mesi l’anno», racconta Benedetta. «La nostra prima casa era a Palazzo Cerio, accanto al ristorante Gemma, ma poi ci trasferimmo in via le Botteghe e successivamente a Tragara. Erano gli anni Settanta. Quando mio padre arrivava in Piazzetta, suonava il fischietto d’oro che portava sempre appeso al collo insieme a una croce e a un corno di elefante: era il suo segnale di fumo, un po’ caciarone, per dire a tutti che era a Capri. Mi vergognavo un po’ ma, questo tipo di protagonismo, lo ha sempre contraddistinto, era un po’ divo da rotocalco. Al mare, andavo a Torre Saracena con la tata, il pomeriggio ai Giardini di Augusto. Ma papà mi portava spesso in motoscafo, a tutta velocità. Cosa dire? Che sono viva per miracolo. Facevamo delle mini crociere che toccavano Li Galli, Nerano, Positano dove si prendeva la granita col Bacardi e, una volta l’anno, lui organizzava una grande festa all’Hotel San Pietro. La sera, si rientrava a Capri».

I ricordi di Benedetta vanno alle serate divertentissime organizzate alla Canzone del Mare cui partecipavano tanti amici dei genitori: i Pignatelli, i Sirignano, Guido e Liliana Amoruso, Carla Lazzara, Graziella Buontempo Lonardi ma anche Marcello Mastroianni e Vittorio De Sica. «Le mie uscite da adolescente erano invece legate ai motorini, uno fra tutti il Boxer rosso della Piaggio che papà mi regalò quando avevo 13 anni, e a discoteche come lo SGU, che oggi si chiama Gatto Bianco o il Papilio, lungo la strada che porta ai Due Golfi. Negli anni Ottanta era in voga l’Off Shore, ora Anema e Core: avevo 16 anni ed ero stata rimandata in latino e greco. Dovevo uscire di nascosto. Poi è arrivato il Number Two, di fronte al Quisisana, dove hanno ancora appesa una foto mia con papà: il buttafuori si chiamava Franco ed era severissimo con noi ragazzi. Oggi è il proprietario del ristorante Villa Verde. Tanti amici di allora, Benedetta li ha ritrovati in quella “piazza virtuale” che è Facebook. Ma ora, a Capri, conduce una vita più defilata: «Abitiamo in via Dentecala, faccio la spesa alla Croce, vado in gommone, dopo il mare prendo il gelato da Buonocore, rigorosamente brioche con pan fragola e panna oppure coppetta di cialda con caprice, la crema a base di nutella e mandorle. A proposito di patacche, i miei figli hanno sempre mangiato il cono per strada». Quando non cucina, cena da Aurora (per affetto) e, da buona stilista, acquista i sandali tipici capresi in via le Botteghe: «Ne ho almeno 15 paia, nei modelli a ragno o a due listini con treccine», precisa. Il suo “luogo del cuore” rimane Punta Tragara ma, nell’isola dei Faraglioni, Benedetta ha una figura di riferimento a cui è molto legata: «È Adriana Settanni, la titolare della boutique La Parisienne che è stata il primo cliente del marchio de Simone e vende ancora oggi le nostre collezioni. Mi ha insegnato molto, nella vita e sul lavoro. In fondo, ero una ragazzina viziata».

 

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