foto08Un viaggio fantastico

Le atmosfere, i costumi, i luoghi dell’isola raccontati dalle opere dei pittori che amarono Capri

di Antonella Basilico

 

 

 

 

«Chi non visita l’Italia avrà sempre l’idea di essere inferiore per non aver visto ciò che avrebbe dovuto vedere», così scriveva, nel Settecento, lo scrittore inglese Samuel Johnson. Era proprio nel Settecento, e poi nei primi decenni dell’Ottocento, che i giovani aristocratici d’oltralpe usavano completare la propria formazione con un lungo viaggio in Europa, il Grand Tour, in cui attraverso la conoscenza delle antichità, delle diverse culture e dei diversi costumi, si arricchivano di una visione cosmopolita. Tappa fondamentale di questo lungo itinerario, che durava anche anni, era l’Italia, considerata “il più grande museo del mondo” con le sue città d’arte, ma anche le località ricche di tradizione e di antiche testimonianze, luoghi mitici come l’isola di Capri, la cui storia risale ai tempi dell’imperatore Tiberio. Capri fu scoperta molto tardi dagli intellettuali poiché era considerata una meta disagevole e difficile da raggiungere. Anche da un punto di vista pittorico, nel Settecento l’isola era poco rappresentata, la sua immagine, infatti, era presente unicamente in alcune vedute più ampie del Golfo di Napoli. Il primo artista che sbarcò a Capri, nel 1792, fu il vedutista Philipp Hackert che realizzò dal vero la Veduta del Monte Solaro, un’esatta rappresentazione del centro abitato e del Palazzo Canale, della Scala Fenicia con il Monte Solaro sullo sfondo. Da questo momento cambia il volto dell’isola che diventa meta di intellettuali, artisti e pittori di varie nazionalità che trovano a Capri un ambiente ideale per lavorare in armonia con il loro essere e con le proprie inclinazioni artistiche. Si sviluppa, allora, una ricca produzione pittorica che illustra le immagini di questa natura straordinaria, dei suoi panorami sublimi, dei suoi scorci suggestivi, delle sue vie strette e tortuose e delle usanze locali. Non solo gli oli ma anche i disegni, gli schizzi veloci e le gouaches divennero i ricordi che i viaggiatori portavano via con sé, perché, una volta tornati in patria, rendessero vive le emozioni del viaggio. Furono soprattutto le guaches il genere preferito dai turisti, sia per il loro formato ridotto, sia per la freschezza e l’immediatezza che la raffinata tecnica del guazzo rendeva. Accanto a una produzione di grande qualità come quella di Saverio Della Gatta e di Gioacchino La Pira, la guache divenne presto una raffigurazione banale, un souvenir di scarso valore artistico a causa di una richiesta sempre meno sofisticata. Dal secondo decennio dell’Ottocento è rilevante la presenza sull’isola dei “posillipisti”, quegli artisti, cioè, che facevano parte della cosiddetta Scuola di Posillipo, con Anton Sminck Pitloo, Giacinto Gigante, Salvatore e Francesco Fergola, Raffaele Carelli con i figli, Achille Vianelli e Teodoro Duclère. Nei loro dipinti sono sempre rappresentati gli scorci tradizionali, ma compaiono anche spunti innovativi come alcune testimonianze del nuovo sviluppo urbano, che si espande attorno all’antico borgo medioevale o scene di genere e di costume che aggiungevano notazioni utili per conoscere gli aspetti della vita del luogo, come è stato recentemente testimoniato dalla mostra “Viaggio nell’isola” organizzata a Capri e da poco conclusa. In questo periodo furono attivi sull’isola anche alcuni pittori appartenenti alla Scuola di Resina, come Marco De Gregorio, Giuseppe De Nittis e Antonino Leto, che interpretarono il paesaggio con un linguaggio essenziale, senza alcuna formula sentimentalistica. Negli ultimi decenni del secolo Capri fu del tutto “scoperta”, il mito della Grotta Azzurra, le sue bellezze naturali, unitamente alla maggiore recettività alberghiera (erano ben 24 le pensioni nel 1899) e i più facili collegamenti con la terraferma creano un forte flusso turistico. Certamente non è ancora un turismo di massa, poiché coloro che vi giungono sono in prevalenza intellettuali, scrittori, pittori, insomma “forestieri” speciali che ammaliati dai luoghi mitici, dal clima salubre e dall’esaltante luce mediterranea, trascorrono lunghi periodi sull’isola o decidono di rimanervi stabilmente, sposando anche donne del posto come accadde, tra gli altri, a Talmage White, ad Andrea Cherubini e ad Augusto Lovatti. In quegli anni vi era sull’isola una forte presenza di artisti americani che si riunivano, nei giorni festivi, dalle stravaganti signorine Wolcott-Perry a Villa Torricella, sulla strada di Marina Grande. La loro dimora divenne un punto d’incontro interessante per artisti come Charles Coleman, noto per la sua produzione pittorica di grande raffinatezza e per la sua vita eccentrica, Elihu Vedder, John Sargent, l’originale pittrice Romaine Brook e personaggi come il conte Fersen e lo scrittore Norman Douglas. I luoghi mitici dell’isola furono, alla fine dell’Ottocento, ripresi in modo irreale e fantastico da Karl Wilhelm Diefenbach, esponente del tardo romanticismo tedesco che si stabilì a Capri affascinato dalla natura dell’isola, così forte e misteriosa. Qui l’artista realizzò le sue opere: grandi tele drammatiche in cui la forte luce mediterranea cede il posto a rappresentazioni buie e angosciose e le tematiche, languide figure femminili, sirene e sfingi cariche di valenze simboliche, creano nello spettatore un senso di profondo disagio.

 

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