03Un cuore azzurro

Da 180 anni la Grotta Azzurra è il simbolo di Capri più famoso nel mondo

di Giorgio Nicastro

 

 

 

 

 

Se le acque del mare potessero parlare e le fenditure della roccia svelare il loro segreto, racconterebbero una storia di un antro insolito, dove l’azzurro combatte l’oscurità fin dalle origini del tempo quando le leggende, più dei fatti, influenzavano la vita degli uomini.

Nel mare infinito dei ricordi quell’antro è stato il regno dei diavoli, che dissuadevano chiunque osasse entrarvi, poi il luogo delle Nereidi e delle Sirene o ancora il rifugio di Glauco che, prima di essere trasformato in pesce, abbandonò lì le sue scaglie accendendo di azzurro le pareti della grotta.

Ma le leggende, per quanto vivide nelle menti degli isolani e dei tanti avventurieri, vennero riposte tra le pagine dei manuali turistici il 17 agosto 1826 quando i pittori tedeschi August Kopisch e Ernst Fries, accompagnati dall’albergatore Giuseppe Pagano e dal barcaiolo Angelo Ferraro, scoprirono o meglio riscoprirono la Grotta Azzurra, scegliendo di chiamarla così per il suo eccezionale colore nato dalla rifrazione della luce attraverso le sue profonde acque.

Da allora il prezioso gioiello caprese avrebbe goduto di una fama internazionale grazie anche allo stesso Kopisch che lo descrisse sia in una nota autografa sul registro degli ospiti dell’hotel Pagano, che nel 1838 nell’annuario Italia, con il titolo “La scoperta della Grotta Azzurra”. Ma le voci dell’affascinante scoperta si erano diffuse già negli anni precedenti, grazie alla descrizione di alcuni scrittori romantici come Wilhelm Waiblinger con la sua Leggenda della Grotta Azzurra (1828); Hans Christian Andersen con il romanzo semiautobiografico Improvvisatoren (1835) e Alessandro Dumas padre, con le impressioni dei suoi viaggi raccolte nel libro Le Speronate (1842).

La fortuna della Grotta è però ancora precedente: i suoi antri bui vengono infatti descritti nella Storia di Napoli del Carpaccio del 1607 e nella Descrizione del Golfo di Napoli del Parrino nel 1727.

Ma se la storia è antica, le origini sono profonde almeno quanto i suoi fondali. Nel 1964 vengono infatti ritrovate al suo interno due statue, un Tritone e un Nettuno, che fanno risalire la sua conoscenza ai tempi di Tiberio, che ne aveva fatto un nifeo marino, probabilmente di una villa sovrastante, oggi chiamata Gradola e ridotta a pochi ruderi.

Per quanto erede di una storia più che millenaria, la scoperta dei due tedeschi e dell’albergatore Pagano mantiene comunque un’importanza storica. è da questo momento, infatti, che la Grotta Azzurra viene liberata da un oblìo secolare e restituita all’isola come uno dei suoi tesori più grandi. Nel giro di pochi anni e insieme ai Faraglioni, è divenuta un’icona di Capri in tutto il mondo, presa d’assalto da folle di turisti che cercano nel suo blu immateriale una momentanea fuga dalla realtà.

E proprio per celebrare questo incredibile successo il 18 agosto scorso l’hotel La Palma, da cui prese il via la celebre spedizione, ha festeggiato i 180 anni del museo acquatico con tanto di dibattiti e ospiti illustri.

Nota in tutto il mondo per la sua grandiosa vastità, per lo splendore argenteo dei suoi fondali e per l’azzurro delle sue acque, la Grotta è in effetti uno spettacolo della natura.

Il suo sistema sotterraneo è costituito da diversi ambienti, alcuni spaziosi, altri inospitali, ma tutti ugualmente affascinanti. Il più noto e insieme il più grande è il Duomo Azzurro, ossia la sala che si apre al visitatore una volta oltrepassato un angusto ingresso largo due metri e alto uno. Il Duomo non è altro che una cavità di erosione lunga circa 60 metri, larga 25, con una profondità che varia dai 22 metri dell’ingresso ai 14 metri della parete meridionale. La volta ha un’altezza media di 7 metri ma raggiunge i 14 metri verso l’interno. L’altezza totale, dal fondo del mare al soffitto è di 35 metri.

 

L’approdo interno

Sull’angolo destro della Grotta si trova un vero e proprio approdo interno, spianato artificialmente dai Romani, che si prolunga per circa 100 metri. Da lì si aprono i tre rami della Galleria dei Pilastri, che dopo 20 metri di cammino tortuoso si raccordano in un unico passaggio che porta direttamente alla Sala dei Nomi (chiamata così per le firme dei visitatori incise sulle sue pareti). La Sala va poi pian piano restringendosi verso il cosiddetto Passaggio della Corrosione, un cunicolo lungo e angusto che sbuca in una caverna pianeggiante, scavata nei banchi rocciosi e piena di detriti, e chiamata la Sala della Corrosione. è questo l’ultimo luogo praticabile della Grotta che da lì si dipana in vicoli tortuosi e inesplorati lungo le spaccature della roccia.

 

Tra il blu e l’argento

La parte più suggestiva rimane sicuramente il Duomo Azzurro, sospeso tra il blu e l’argento grazie allo strano effetto creato dalla luce del giorno che entra attraverso una finestra sottomarina proprio al di sotto del varco di ingresso. Ma la colorazione della Grotta non è un effetto scontato, quanto piuttosto una concessione del mare ai suoi visitatori. Se le acque sono calme, proprio a causa del fenomeno della riflessione totale, la luce non riesce a illuminare l’antro. Mentre quando questo si muove i riflettori si accendono e lo spettacolo va in scena

È questo un sito di straordinaria bellezza il cui stesso nome evoca la statica sacralità della natura unita al mistero dell’ignoto. Lo stesso mistero che nel Settecento attirò due preti nel tentativo di violare il segreto della Grotta, facendo però presto marcia indietro, spaventati dal colore delle acque e da quello strano altare che incuteva paure ataviche e dissuadeva gli avventurieri.

Oggi la Grotta non mette più paura. Fuori dal suo ingresso decine di barche si accalcano facendo la fila prima di passare attraverso il suo stretto pertugio. I visitatori si succedono, aprono le danze all’alba e le chiudono la sera, prima che il museo acquatico si richiuda nella sua oscura solitudine. Il loro è un pellegrinaggio infinito, attraverso il mare e la terra, oltre la storia e la leggenda, in cerca del cuore azzurro dell’isola.

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