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A ritmo di Tarantella

Dalla bella Carmelina al gruppo degli Scialapopolo. 
La storia di una danza antica che ancora appassiona capresi e turisti

di Daniele Autieri

 

 

 

 

È una storia di miti e di leggende, di naufraghi e sirene, di feste di corte e di folklore popolare. è la storia della Tarantella, il ballo affascinante e misterioso che ha percorso i secoli senza perdersi nel tempo. Le sue origini sono, a molti, ignote; i suoi passi e i suoi ritmi, coinvolgenti. Secondo alcuni i primi a ballare la tarantella sul suolo italiano sarebbero stati gli antichi Greci, una volta approdati sulle coste di Capri. Intorno alle allegre strofe di Cicerenella e Lu guarracino, i capresi interpretano il ballo con una passione unica e uno stile scevro da leziosismi e manierismo. Che sia figlia d’Ulisse o di Enea, che tragga origine dagli spagnoli o dai mori, la danza stessa si è fatta leggenda e mito, interpretando le emozioni del tempo.
Secondo la tradizione, primogenito della tarantella, sarebbe stato il ballo di “Sfessania”, la danza preferita dai napoletani già nel Cinquecento. Il suo nome ha, probabilmente, una radice onomatopeica perché i ballerini, al termine dell’esibizione, si ritrovavano sfessati, stanchi, distrutti. La frenesia e il coinvolgimento del ballo lo rendeva più simile a un ritmo tribale piuttosto che a una danza di corte, ma non per questo meno affascinante. Gli ammiratori della tarantella sarebbero arrivati da tutto il mondo: poeti, pittori, letterati affascinati dalla sua umanità e da quello spirito ribelle e trasgressivo che sembrava irrompere in ogni passo. Già nella prima metà del Seicento il pittore di Nancy, Jacques Callot, la ritrasse nelle sue tele. «Una danza piena di grazia e originalità», la definì Madame de Staël, durante la sua permanenza in Italia.
Proprio a Napoli questo ballo fu tanto amato, sia tra il popolo che tra gli ambienti nobiliari. Di fronte al mare, sulla spiaggia di Posillipo, quando non si temevano le incursioni dei turchi, le giovani coppie si incontravano per ballare insieme quel ritmo travolgente. Lo stesso facevano i giovani nobili, quando, ai primi del Settecento, l’amore era perlopiù platonico e i matrimoni erano organizzati dalle famiglie.
Tutte le feste finivano con un mandolino e un tamburello e il ballo diveniva l’unico modo per guardarsi negli occhi e sussurrarsi una parola. Neanche l’isola di Capri riuscì a sfuggire al fascino della Tarantella ma, anzine divenne una delle roccaforti. La prima ballerina professionista dell’isola che la storia ricordi risale al 1903. Era la quattordicenne Carmelina, una bellissima contadina capace di incantare i turisti solo con un tamburello tra le mani e la danza nel sangue. Il ballo avrebbe poi preso il nome proprio da quel tamburello, chiamato Tarascone.
La prima banda, cosiddetta Puti Pù, fu fondata nel 1920 dal maestro Pasquale De Rosa, nonno di Peppino di Capri. Il maestro, apprezzando le capacità artistiche di Costanzo Spataro, gli donò gli strumenti tipici, la sua esperienza e l’onore di non far disperdere una tradizione più che centenaria. Da lì, nel 1933, sarebbero nati gli Scialapopolo, il gruppo folkloristico tutto caprese che ancora oggi appassiona e coinvolge gli abitanti e i turisti dell’isola. Il gruppo mantiene viva la tradizione avvalendosi della collaborazione di figli e nipoti del fondatore. Isabella, nipote, cantante e ballerina del gruppo, attualmente insegna la Tarantella alle ragazze e ai ragazzi capresi, oltre ad interpretare alcune delle più belle danze che questo ballo abbia prodotto. Tra le più caratteristiche, la famosa Tammurriata Nera che, in un’estasi di suoni e di ritmi travolgenti, coinvolge tutti gli astanti ed esprime il vero carattere e la genuina personalità dei capresi. Oltre tre ore di spettacolo e un organico tra le 18 e le 40 persone, tra cui ballerini, musicisti e cantanti. Sono questi i numeri delle esibizioni degli Scialapopolo che, insieme alle più classiche canzoni del repertorio napoletano, interpretano musiche italiane e straniere, prima di finire con le tarantelle. La partecipazione, l’allegria, il trasporto, sono tutti elementi e sensazioni irrinunciabili che il ballo comunica e favorisce. Il ritmo incalza, la musica sale, la Tarantella diventa la colonna sonora dell’isola.
Tanto trasporto per una melodia semplice ed essenziale. Gli strumenti principali sono solo quattro: il ìtammurriello”, un piccolo tamburo munito di sonagli che emette un tintinnìo e un suono frammisto quando viene colpito con la mano. Il “triccaballacche”, uno strumento composto di due martelletti di legno muniti di dischetti di latta che scorrono su un asse e colpiscono un martelletto centrale e fisso. Il “putipù”, un tamburo rudimentale perforato al centro da una cannuccia, che viene spinta a scatti provocando suoni striduli o laceranti. Lo “scetavaiasse”, un asse di legno che si appoggia alla spalla come un violino e un canna dentata, munita di dischetti di latta, che percorrendo l’asse emette un suono composito provocato dall’urto della dentellatura sul legno e dal tintinnìo dei dischetti.
Sono strumenti poveri, privi di un suono melodico e di una musicalità, ma dotati di un forte impatto evocativo e di un fascino indiscusso. Strumenti capaci di imporre ritmi e cadenze. La Tarantella, così come il ballo di Sfessania suo progenitore, non è altro che questo: una serie di cadenze ritmiche e coinvolgenti su cui si innestano figure di danza. è l’immagine del popolo e dei suoi costumi, delle sue imperfezioni e delle sue passioni, del suo passato e del suo presente. Un ballo che vive della sua sacralità e delle sue tradizioni, come quella che considera il tamburello, per la sua forma e la sua qualità, il simbolo del genitale femminile. Motivo per cui lo strumento è suonato solo da donne e bambini e mai da uomini. Tradizioni che affondano le loro radici nel tempo, che nascono nella leggenda, rivivono nei racconti e vengono tramandate fino ad oggi. La Tarantella del Ventesimo secolo non sarà mai come quella ballata dai greci o dai capresi sotto la dominazione spagnola. è un ballo che il tempo ha ingentilito, che si è fatto folklore e bene culturale. Ma nonostante ciò preserva, ancora oggi, il fascino di un tempo e quell’insolito richiamo all’istinto e alla natura, troppo umano per essere rinnegato.

 

 

Scialapopolo: anima della tarantella

Il gruppo degli Scialapopolo viene fondato nel 1933 da Costanzo Spadaro. Tramandato al nipote Costanzo, ancora oggi mantiene viva la tradizione popolare con la musica e uno spettacolo travolgente. Partiti da Capri, dove il gruppo ha avuto le sue origini e la sua maggiore fortuna, ballerini e musicisti hanno portato le loro melodie in giro per il mondo. Dalle piroette di Ingrid Bergman alle serate di beneficenza per l’Unicef, gli spettacoli degli Scialapopolo hanno affascinato anche oltreoceano. Un giro del mondo virtuale che mantiene in Capri il suo cuore pulsante, dove il gruppo si esibisce in spettacoli coinvolgenti che possono durare fino a 3 ore e a cui partecipano tra i 20 e i 40 ballerini. Il repertorio classico napoletano si alterna con canzoni italiane e straniere, fino alle attesissime tarantelle. Ascoltare gli Scialapopolo a Capri equivale a respirare l’anima più intima dell’isola, apprezzarne i ritmi e riviverne le tradizioni. 

 

 

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