untitledCapresi dal mondo

Tra le migliaia di stranieri che ogni anno sbarcano sull’isola c’è chi arriva per lavorare. Sono storie fatte di sacrifici che restano nell’ombra e di qualche successo che rappresenta l’eccezione. Eccone alcune

di Antonello De Nicola

 

 

 

Non li incontri in Piazzetta perché filano sempre nelle stradine laterali. Non li vedi in funicolare perché scalano solo i gradini di servizio. Non li ritrovi negli stabilimenti perché sudano già in cucina.

Eppure, tra armate di turisti, nobili ed artisti stranieri che da secoli arrivano sull’isola, attratti dal mito e sedotti dall’ospitalità dei capresi, ogni anno sbarca anche l’esercito dei lavoratori.

Migliaia di divise, linguaggi e sguardi diversi, arrivati da altri Paesi in cerca di fortuna. Storie di grandi sacrifici che spesso restano nell’ombra, e di qualche successo che rappresenta solo l’eccezione.

La paraguaiana Zully Estigarribia, cuoca internazionale all’hotel Capri Palace, vive sull’isola da undici anni. «Sono arrivata da Barcellona dopo 24 ore di pullman. Non sapevo nemmeno cosa fosse Capri. Avevo il terrore dell’acqua e prima di partire mi sono fermata al porto a piangere. Poi, in due mesi, ho imparato il napoletano e quando ho iniziato a nuotare mi sono detta: ora sei isolana in tutto e per tutto! Mia madre non è mai venuta a trovarmi proprio perché non vuole attraversare il mare. La mia famiglia mi manca, siamo abituati ad accontentarci con poco, mentre qui c’è tutto e ci sembra sempre che manchi qualcosa. Mi trovo bene ma solo quando ho sposato un anacaprese mi sono sentita parte della comunità». Zully cucina ogni giorno per le 260 persone che compongono lo staff del Capri Palace. «Sull’isola c’è tanta tranquillità, non esiste delinquenza e dormiamo ancora con la porta mezza aperta. In Paraguay, invece, tutti vivono dietro alle porte blindate. Il mio lavoro mi piace molto, al Palace siamo come una grande famiglia e mi sento molto gratificata quando mi chiedono come fa una straniera a cucinare il risotto alla pescatora meglio di un’italiana».

Lucia Mitu, responsabile vendite di Carthusia, è arrivata dalla Moldavia nel 2002. «I miei genitori si erano trasferiti a Napoli e, subito dopo la laurea, ho deciso di raggiungerli. Due mesi dopo, ho trovato lavoro a Capri. L’isola mi ha colpito per la tranquillità e per la bellezza. Quando mi sento sotto pressione, mi basta andare al Belvedere della Migliera, a Piazzetta delle Noci o all’Arco Naturale per cambiare subito umore. Lavorare da Carthusia mi ha permesso di riunire l’amore per i profumi e la passione per le lingue. In Moldavia insegnavo inglese e francese, ma parlo anche italiano, spagnolo, rumeno e russo. L’isola ormai è parte di me».

Il rapporto indissolubile che lega Capri a Diana Sorensen, nata a New York da madre romana e padre di Copenaghen, è iniziato all’età di sei anni e non si è più interrotto.

«Ogni estate venivo in vacanza qui con la mia famiglia e conservo ancora ricordi incredibili di quel periodo. A 16 anni ho attraversato un momento delicato ed i miei genitori organizzarono un weekend sull’isola, soggiornammo all’hotel Punta Tragara. Fu un weekend magico e tutti i miei problemi di colpo sparirono: l’isola ha cambiato la mia vita. Questo è l’effetto che Capri ha sempre avuto sulla mia anima. Un’energia fresca, una forza che mi dice che qui tutto è possibile».

Dopo essersi specializzata in relazioni pubbliche ed aver lavorato nel mondo della moda, Diana ha aperto una società di eventi e dal 2008 si è trasferita a Capri con il marito. «Abbiamo iniziato a conoscere l’isola anche in inverno, cercando sempre di coglierne l’anima. Chi viene sull’isola deve scoprirne l’autenticità e la parte più selvaggia. In tutti i luoghi che ho visitato nel mondo, non ho mai trovato un posto così unico ed energetico. È questa l’emozione che provo a trasmettere».

Abeysinghe Ampitiya Rajapakse Gedera, conosciuto da tutti come Alberto, lavora come facchino ai piani all’hotel Gatto Bianco anche se in Sri Lanka è considerato un ambasciatore caprese.

«Sono arrivato nel 1980 e all’epoca i miei connazionali sull’isola erano una decina, mentre attualmente siamo circa trecento. Ho iniziato a lavorare all’hotel Gatto Bianco nel 1994 e, dopo vent’anni, per me è diventata una seconda casa. Nel 1990 lavorava a Capri anche mia moglie ed è nato mio figlio, ma ora vivono nello Sri Lanka».

La famiglia di Alberto vive in un’accogliente villetta, situata nei pressi di un antico tempio buddista, ed ha a disposizione perfino un autista privato. «Il mio cuore è a Capri, dopo 34 anni conosco quasi tutti e so che mi vogliono bene. Amo l’isola e lavoro per il benessere della mia famiglia. I capresi sono persone bravissime e qui sono felice: è un posto meraviglioso, lo stipendio è buono e riesco ad aiutare tanti amici. Ora capisco anche il dialetto, mi manca solo il clima tropicale».

Sollecitato dal Consolato, più volte Alberto è intervenuto per risolvere i problemi logistici e amministrativi dei suoi connazionali che arrivano a Napoli con la speranza di trovare lavoro. «Molti credono che io sia l’ambasciatore caprese, forse perché quando torno a casa porto sempre tanti regali e ogni anno offro un banchetto a tutta la mia comunità. Il ricordo più bello risale al 1983, quando a Capri ho conosciuto il presidente dello Sri Lanka. Nel 1984 ho incontrato Maradona e una volta ho accompagnato la moglie di Giorgio Napolitano, ricevendo dal Presidente anche una bella mancia».

Nicole Renaud, cantante soprano e fisarmonicista, è nata a Parigi e dal 2002 vive tra Capri e New York. «Ogni estate mi fermo sull’isola per almeno quattro mesi e ogni estate mi esibisco al Capri Palace. Apprezzo molto l’ambiente e il progetto del proprietario Tonino Cacace, che insiste molto sull’arte contemporanea. Penso di inserirmi bene in questo contesto perché nel mio lavoro c’è un lato visuale e un lato di avanguardia».

Dopo aver vissuto in Algeria, Francia e Stati Uniti, Nicole ha trovato il luogo dell’anima su questo scoglio incantato. «Nel mio ultimo cd, dedicato a Capri, ho musicato le poesie del barone Fersen e ho appena finito di registrare alcuni brani con il cantante isolano Mario Bindi. Mi piace lavorare nella tranquillità invernale che offre Capri. L’elemento che mi colpisce di più è la luce, bellissima e limpida. I miei ricordi più forti sono legati alla musica e ai concerti all’aperto che in estate si organizzano ad Anacapri».

Tra tanti stranieri anonimi che arrivano sull’isola per la prima volta, c’è anche chi ha la possibilità di tornare. Federico Alvarez de Toledo, nipote dell’illustre caprese Edwin Cerio, ha il mare negli occhi e la stella del predestinato sull’albero genealogico. Dopo aver avuto il privilegio di vivere a Bruxelles, San Paolo, Parigi, New York e Pechino, si è tolto i panni da manager e ha deciso di ricominciare dalla sua Capri. Con una storia di successo alle spalle e tanti progetti innovativi per rilanciare il Centro Caprense Ignazio Cerio. «Ho capito che era arrivato il momento di fermarmi a Capri per semplificare la mia vita. Credo sia l’unico posto al mondo in cui ho vissuto, che abbia conosciuto davvero. Nelle altre città sono sempre rimasto straniero e, perfino nella mia attuale condizione di forestiero, qui mi sento completo. Dobbiamo proteggere lo spirito caprese, evolvendoci senza restare attaccati ad un’isola che non c’è più. Capri è un luogo emozionale e non solo intellettuale. È per questo che vorrei provare a raccontare la storia dell’isola con un linguaggio nuovo, accompagnando i turisti nel lifestyle caprese attraverso le attività del Centro Cerio».

Il “piccolo Cerio” è cresciuto sull’isola con la nonna, considerata la Coco Chanel caprese. Ed è proprio per entrare in armonia con l’isola, che ha chiamato Eco Capri il suo laboratorio, ispirato all’arte di Laetitia Cerio. «Nuotava anche in inverno con uno stile particolarmente elegante e con indosso un cappello, dopo aver immerso nell’acqua il suo termometro d’argento. Un giorno le raccontai di essere andato a Matermania. Lei, mangiando un’insalata caprese, mi rispose: è bellissimo, hai voluto buttarti? Le dissi di sì ed aggiunse: la bellezza estrema fa uscire il fatalismo dentro di noi. Crescendo ho capito il significato profondo delle sue parole: quando trovi la bellezza, desideri far parte di essa per sempre».

Non tutti gli stranieri che lavorano sull’isola hanno una storia a lieto fine da raccontare, ma di certo Capri oggi galleggia anche grazie alle loro braccia.

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