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Dizionario isolano

Neologismi, modi di dire, espressioni dialettali. Scopriamo un fantastico vocabolario in perenne evoluzione

di Renato Esposito

 

 

 

Il fascino e la bellezza del dialetto caprese sono sopravvissuti nel tempo anche grazie alla profonda influenza che le lingue straniere hanno esercitato nella sua originalissima formazione. Quest’incredibile Capri-fusion di suoni, espressioni, parole è simile all’evoluzione geologica dell’isola dove in milioni di anni gli eventi carsici, la forza del mare e dei venti hanno modellato quell’utopistico capolavoro della natura, la Zauberinsel, Capri, l’isola fantastica.

Alla fine dell’Ottocento lo scrittore toscano Renato Fucini, in arte Neri Tanfucio, annota come gli uomini e in particolar modo le donne capresi e anacapresi nei loro modi “garbati” e nella lingua sono profondamente diversi da tutte le popolazioni del Sud d’Italia. Cerchiamo, senza pretese accademiche, di far emergere dal fondo della nostra memoria parole capresi che sono entrate a far parte del dizionario turistico isolano.

Vodovascio e vodocoppa sono due antichissimi toponimi. È curioso che ancora adesso molti napoletani dicono «scendo a Capri» e «salgo a Napoli». Per il caprese doc vodovascio indica uno spostamento da Capri alle terre di sotto, cioè a Marina Grande; vodocoppa dalle Marine al paese.

La piazza (‘a chiazza) con i suoi personaggi è fonte perenne di nuove espressioni. I chiazzeri sono quei capresi, d’estate fino alle otto del mattino, che passano ore fermi in Piazzetta a parlare, ‘nciuciare e sforbiciare su tutti gli eventi isolani. Ma il re dei chiazzeri è l’incasavasolo che ha il suo centro di gravità permanente esattamente in mezzo alla Piazzetta.

Sta tanto tempo fermo a parlare che rischia con il suo peso di far sprofondare il vasolo centrale (la pietra lavica) della piazza.

Il fantasmagorico e fisiognomico mondo del Salotto del Mondo ha coniato anche pesciformi vocaboli, forse ispirati dalla famosa canzone napoletana Lo Guarracino.

Sparaglione: cliente schivo, dalla manina corta, “stitico” a pagare. Palammate: cliente furbo, scaltro, sempre pronto a inventarsi un pretesto per sfuggire dal conto. Cazz ‘e re: frivolo, ciarliero, ma essenzialmente stupido. Tracena invece è il re o la regina del cliente malapaga e con il suo veleno può causare seri danni. Pescecane caprese: fu Edwin Cerio per primo a tratteggiare questa mostruosa specie; è il faccendiere senza srupoli che, giorno e notte, s’aggira per la piazza, famelico, con i suoi occhi iniettati di metroquadripatite, pronto ad azzannare con i suoi denti speculari chiunque, dovunque.

Anche Anacapri ha avuto una sua particolarità legata al campanile della piazza. Per decenni, nella lingua ciamurra, il tempo scandito dal suono delle campane della chiesa di Santa Sofia si indicava in ‘ndinn, le ore, magliuocchi, i quarti. Per esempio le sei meno un quarto si traducevano nel gergo popolare in “cinque ‘ndinn e tre magliuocchi”. Ancora adesso il suono che indica le ore ad Anacapri è più flebile rispetto a quello più roccioso dei quarti (magliuocco da maglio della campana).

Ma il piombo, u chiummo, è entrato a far parte anche del dizionario gastronomico caprese. La domenica le nostre mamme per premiarci ci cucinavano spaghetti alla chiummezzana. La chiummezza è una salsa di quei pomodorini capresi che si appendevano con il chiummo sotto i pergolati o nelle cucine isolane. È strano come la logica del “nemoprofetaininsula” sia notoriamente diffusa nella terminologia culinaria caprese. Capri è l’unico luogo al mondo dove la torta caprese si chiama “torta di mandorle” e l’insalata caprese si indica con “mozzarella e pomodoro”. Anche mio padre riteneva il limoncello un liquore di Massa Lubrense e sulla sua tavola a Pasqua e a Natale non mancava mai il nocillo, distillato di noci che già la mia quadrisavola Carmela di Tragara centellinava ai clienti più affezionati nella sua trattoria con vista sui Faraglioni. Perfino il pane ha il suo codice segreto. Se a Capri si desidera quel pezzo di pane piccolo e tondo si deve dire: «voglio nu Barros». Raccontava Enrico Serena, storico fornaio caprese, che un suo cliente una mattina d’inverno ridendo gli disse: «Enrì, stu piezz ‘e pane che hai fatto è tale e quale a Barros». Rui Barros, storico giocatore juventino negli anni Ottanta, si è trasformato nell’isola delle sirene (Ovidio sorriderebbe…) in una piccola e fragrante pagnotta.

La Grotta Azzurra (azzurra solo in Italia, in tutto il mondo blu) è un altro laboratorio linguistico. I barcaioli dal 1826 hanno ascoltato e rielaborato, di fatto capresizzandoli, gli idiomi di tutto il mondo. Quando il mare è in burrasca e la Grotta non si può visitare noi capresi diciamo sorridendo: «’U mare s’agitè, ‘u purtus s’appilè e non se pò entrè».

Per non parlare dei tanti germanismi. Scarpariello è quel turista tedesco che gira l’isola in lungo e in largo, a zufuso, a piedi, dal termine tedesco zu Füss. Ancora adesso a Marina Grande, località sempre molto sensibile al richiamo della Dea Pecunia, si sente gridare sui moli: «u Bezahlung» dal termine tedesco bezahlen per indicare un metodo di pagamento preferibilmente cash.

A partire dal secondo dopoguerra il connubio tra la lingua inglese (con i suoi americanismi) ha ulteriormente allargato questo vocabolario fantastico. Se si digita su Google Capri Pants, ovvero i pantaloni alla pescatore detti anche pinocchietti, resi famosi dalle dive hollywoodiane anni Cinquanta, si otterranno 6.460.000 risultati. Il Capri-window-shopping è la passeggiata per via Camerelle per chi s’accontenta di vedere le vetrine non potendo – ohibò – spendere.

Anche il vocabolario giapponese si sta capresizzando. Secondo una guida nipponica Capri gelato è per i suoi connazionali quel cono al limone o al gelso che si mangia solo sull’isola. Speriamo per i prossimi anni nella lingua cinese, per arricchire questa Capri-Babele.

Arriviamo a quei neologismi che mediaticamente stanno diventando d’uso comune. Ricordando “capricentrismo” (Capri è il velo di Maya attraverso il quale si vede il mondo), “capritudine” (è uno stato d’animo, una via di mezzo caprese tra solitudine e beatitudine) e Capri-Diem (vivere ogni giorno a Capri come fosse l’ultimo della tua vita, con gioia, alla ricerca della bellezza), c’è da sottolineare una nuova espressione: “incapriato”. Il significato di tale termine, che potremmo far derivare dal verbo “incapriarsi”, è quel senso d’insofferenza, d’indolenza, un’accidia caprese, la percezione di una dipendenza insulare.

Ma è il variegato linguaggio della rete, dei social network e dei bloggers, che segna la nuova frontiera. Due esempi per tutti.

Selfie-Capri-Kiss: condividere l’autoscatto mentre si bacia la persona amata con uno sfondo caprese. Capri-Vipgram: è il fai da te del vip in vacanza. Questa razza, in via d’estinzione oramai, si autogestisce; si autoscatta per annunciare al mondo amori, tradimenti e tableau vivant osè sotto il cielo di Capri. È l’evoluzione digitale del CapriVipwatching. Il Capri-Vipgram è particolarmente odiato dai vecchi e cari paparazzi nostrani, che affannosamente ancora ricercano giorno e notte il Capri-Scoop, la fotografia che gli cambierà la vita.

 

 

La piazza di Laetitia

La guardava spesso dall’alto, da quel terrazzo di Palazzo Cerio dove si affacciava il suo studio. Ed è vista dall’alto che l’ha tratteggiata in uno dei suoi disegni forse più famosi che oggi danno vita ad alcuni degli oggetti firmati Eco Capri che si trovano nella boutique proprio in fondo alla Galleria Laetitia Cerio. Ma quella piazza e i suoi habitué Laetitia Cerio doveva averli osservati molto bene anche da vicino. È con grazia e tanta ironia che l’ha infatti raffigurata costellata dai tavolini dei bar dove, tra gli avventori, si avvicendano figure che prendono alternativamente sembianze umane e animali.

 

Baibai

«Baibai – dicette u’ ‘Nglese». È un’espressione che nel dizionario caprese significa rimandare una decisione a tempo indeterminato. Ha origine dalle rocambolesche vicende isolane di Sir Nathaniel Thorold, baronetto del Lincolnshire, che nel 1748 costruì il famoso Palazzo Inglese, più conosciuto come Palazzo Canale.

Arrivò a Capri, come ci racconta Edwin Cerio nel libro Il miracolo del baccalà, insieme alla famiglia di Antonino Canale. In verità il nobile protestante inglese, che era diventato ricco per essere stato il primo a importare il baccalà in Italia, arrivò a Capri anche con i cinque figli (ufficialmente avevano il cognome Canale) che aveva concepito con la di cui moglie Anna Della Noce.

Avvicinandosi alla morte il suo giaciglio fu il continuo pellegrinaggio del vescovo di Capri, monsignor Gallo che lo voleva convertire al cattolicesimo… e convincere a fare testamento. Ma ad ogni sua visita egli rispondeva (come ci ricorda lo storico Carlo Knight) «By and by» che in inglese significa «più avanti, tra un po’ di tempo».

Capresizzando il tutto è nato il famoso detto «bye bye (baibai) dicette (disse) u’ ‘Nglese (l’inglese)».

 

 

 Capri Selfie

 

Una volta c’era l’autoscatto, oggi impera il selfie. Quello che cambia è la diffusione che con Internet è immediata e senza confini. Braccio allungato, volti rinserrati, un bel sorriso e via di social… Ci si fotografa e si condivide. Lo psicanalista Massimo Recalcati ha parlato di «certificazione di un’esistenza che dubita di se stessa». Tant’è. La nuova moda contagia tutti. Così capita che se ne scattino i leader mondiali, le star della musica, i campioni olimpici o i vincitori degli Oscar in diretta televisiva. Ecco allora una carrellata di selfie anche dall’isola azzurra. Li trovate anche nel gruppo Facebook “Capri selfie”. Non vi resta che scattare e… condividere.

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