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Fuori dal mondo

Per Luca di Montezemolo Capri è l’unico luogo dove il riposo e il silenzio riempiono la vita

di Marco Franzelli

 

 

 

 

L’amore per Capri è pari a quello che ha per la Ferrari. Non potrebbe essere altrimenti. Perché Capri ha un’energia segreta e potente del tutto simile a quella che anima i motori con lo stemma del Cavallino rampante.
Luca di Montezemolo è sbarcato molti anni fa sull’isola sulle rotte estive della famiglia Agnelli, insieme all’Avvocato, a Umberto, a Susanna. A Maranello è entrato giovanissimo, ad appena 26 anni, neo laureato chiamato accanto a sé da Enzo Ferrari in persona perché lo aiutasse a vincere il campionato del mondo, perché seguisse sulle piste le imprese di Lauda e Regazzoni. “Luca”, chiamavano così i capi meccanici quel frenetico direttore sportivo, sempre agitato ai box e fuori. Adesso “Luca” è diventato “Il Presidente”, della Fiat, della Ferrari, della Confindustria.
Soltanto a Capri torna a essere semplicemente “Luca”. Per i capresi non ci sono titoli o incarichi. Smessi quegli abiti, c’è soltanto un uomo che condivide con loro il piacere di frequentare quell’isola che Edwin Cerio, ingegnere, ottimo botanico, collezionista d’antichità e uomo d’affari presentò così nella sua Guida inutile: «Improvvisamente appare un’immagine inverosimile: un’antica stampa, una pittura moderna? A guardarla meglio ci si accorge che è un quadro d’autore: il ritratto di Capri, firmato da Dio».
Un luogo nel quale esiliarsi senza sentirsi in esilio. Ad accoglierlo c’è Roberto Massa, “O’ professore”, figlio di una storica famiglia caprese, con il quale “Luca” divide il tempo dello svago e del mare. C’è il ristorante Paolino, alle spalle di Palazzo a Mare, oppure Aurora, a due passi dalla Piazzetta; c’è la musica coinvolgente dell’Anema e Core di Guido Lembo o il relax nel quale ritemprarsi del Capri Palace di Tonino Cacace. Amici e punti di riferimento. Del resto, parlando di Capri Montezemolo dice: «Capri per me rappresenta un luogo dove rifletto, leggo, mi sento fuori dal mondo, penso, e dove ho un contatto con le cose semplici e con le persone che ci vivono tutto l’anno e a cui voglio molto bene. Quando sono a Capri, non faccio vita mondana. Sto con i miei amici capresi». Così, capita di vederlo in darsena mentre, da vero marinaio, riordina da solo la sua barca, un Itama 60 color rosso amaranto a cui ha dato il nome di Mediterraneo II e che ha sostituito il Mediterraneo I, blu come i riflessi dell’acqua davanti ai Faraglioni. Chi lo conosce bene, dice che è un perfezionista, attento ai dettagli, maniacale anche in quell’operazione di rito al rientro serale. Proprio come lo è dalla sua scrivania a Maranello quando agli uomini della Ferrari ripete, magari dopo un Gran Premio vinto stracciando la concorrenza: «Pancia a terra e pedalare. Dobbiamo fare ancora di più. Todt, mi dica: in che cosa possiamo migliorare?». È capitato spesso che nelle domeniche d’estate Montezemolo seguisse da Capri i gran premi trasmessi in tv. In questo caso, la solitudine è un dovere scaramantico. Si chiude in una stanza, lontano da tutto e da tutti. «E chi per caso è con me, per esempio mio figlio, ha l’obbligo, e lo sa, di non parlare mai».
Era lì in clausura quando Schumacher, il giorno di Ferragosto del 1998, nel decimo anniversario della morte di Enzo Ferrari, vinse a Budapest un indimenticabile Gran Premio di Ungheria. «Era in testa, per poco non mi prese un infarto quando lo vidi perdere il controllo della macchina, finire sul prato e poi rientrare in pista per fortuna senza danni. Stava rischiando e gli andò bene. Alla fine, le barche nel porto di Capri fecero suonare le sirene per festeggiare il trionfo della Ferrari», racconta. O ancora il primo posto di Irvine nel Gran Premio di Germania del 1999, salutato con una cena in trattoria da Aurora assieme ai figli Matteo e Clementina, agli amici Diego Della Valle e Paolo Borgomanero. A Capri ha portato anche Schumacher e Todt, «ricordo che era vestito con dei pantaloncini corti e che indossava dei mocassini molto eleganti», coinvolgendoli in una memorabile partita a calcetto con gli amici capresi. «Avevo messo una sola condizione: parlare il meno possibile di Formula Uno, della Mc Laren, di Hakkinen, di gomme e regolamenti. Doveva essere un fine settimana di relax assoluto prima di rituffarci nella bolgia del campionato del mondo». La scaramanzia, quasi una regola in Formula Uno.
Todt tiene in tasca un pezzettino di legno portafortuna, Schumacher ha guidato e vinto portando con sé la spazzola viola della figlia Gina Maria, Montezemolo ha un corno di corallo rosso regalo di un pescatore di Capri.
Una delegazione caprese, capitanata dai ragazzi del Bar Tiberio, è invece andata a Monza lo scorso dodici settembre quando Barrichello e Schumacher hanno conquistato i primi due posti nel Gran Premio d’Italia. Da qualche mese Montezemolo ha acquistato una nuova casa, ad Anacapri, nella parte più alta e riservata dell’isola, lontana dal frastuono allegro e vociante della Piazzetta. è una villa che apparteneva a un architetto caprese che l’aveva costruita per sé all’inizio del Novecento, in stile napoletano, circondata dalla vegetazione mediterranea e avvolta dai profumi dei fiori che si mescolano creando un’essenza inimitabile, divina e seducente. Quella descritta da Majakovski in una poesia del 1916: «Ma Capri esiste. Con il suo alone di fiori, tutta l’isola è una donna in una cuffia rosa».
La villa è vicina a “Il Rosaio”, che nel 1948 divenne la residenza dello scrittore inglese Graham Greene il quale scelse questo luogo defilato perché sosteneva che Capri, così mirabilmente perfetta, bella e aggressiva, gli impedisse la concentrazione necessaria per scrivere. Nel suo ruolo di presidente della Confindustria, Montezemolo ha detto: «Se c’è un potenziale imprenditoriale italiano è quello legato al bello, all’arte, alla cultura e al turismo e poi abbiamo Capri, Pompei, Taormina e, con tutto il rispetto, qualunque cinese avrà difficoltà a copiarci ». Così come nessuno potrà mai copiare il Cavallino.
Perché un mito, per essere veramente tale, e Capri lo è da tanti e tanti anni, «non si fonda né su momenti di moda, né su tendenze dell’ultima ora. Si basa invece su una grande sostanza». Proprio come la Ferrari. Nel “rosso” del cavallino rampante ci immergiamo ogni volta che vince così come il futurista Marinetti si tuffava nell’acqua di Capri e poi scriveva: «Ora io nuoto come un pennello nel blùblù tra lunghissime occhiate d’acqua».

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