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Gli angeli della notte

Discreti, riservati, sempre disponibili. Custodiscono il sonno e conoscono l’arte dell’ospitalità. Sono i portieri di notte degli hotel dell’isola

di Antonello De Nicola

 

 

 

Conoscono mille segreti e non li rivelano a nessuno. Custodiscono il sonno però non dormono mai. Sorvegliano tutto ma da tutti sono distaccati. E al posto delle ali hanno le chiavi.

Gli angeli della notte, armati di lancette e tazzine di caffè, fanno la guardia anche al più eccentrico dei turisti capresi. Già, perché deve essere proprio un talento inventarsi sempre qualcosa per restare svegli ed esaudire ogni richiesta. Fino a farla diventare arte dell’ospitalità.

L’uomo senza sonno ha gli occhi azzurri di Giuseppe Anastasio, caprese di 61 anni e portiere da venti. Sguardo da latin lover, con un’insolita passione per l’Uruguay, non smette mai di sorridere. Niente di strano se non avesse appena finito il turno di notte.

«Ero un imprenditore – esordisce Anastasio, portiere del Gatto Bianco – ma nel 1995 ho avuto un periodo di difficoltà. Ho scelto la notte e ancora oggi non la cambierei con il giorno. Ma i ritmi sono cambiati. Oggi il cliente chiede la sveglia alle due di mattina per poi rientrare a fare colazione. Le mamme all’alba aspettano le figlie senza avere più la possibilità di imporsi. La notte ha smarrito i suoi silenzi, lasciando spazio alle grida. Prima si sussurrava e in albergo soggiornavano playboy affascinanti che facevano a gara per conquistare la donna più bella dell’isola. Di quei tempi è rimasta solo l’eleganza dei nostri clienti ma si è smarrita quell’atmosfera leggendaria. Ricordo una nostra ospite che non si vedeva mai di giorno ma che, nell’arco di una sola notte, era capace di indossare cinque abiti diversi, ed una principessa che mi lasciò un milione di lire come mancia. Ma questo è niente rispetto a quando un ospite si ritirò solo con gli slip, cercando di convincermi che era uscito dall’albergo così. Una volta, il direttore di un famoso museo archeologico mi chiese perfino una bottiglia di champagne per trascorrere la notte con lo spirito di Tiberio».

Personaggi di una Capri che forse non c’è più o che, più probabilmente, si manifesta solo a chi conosce i segreti della notte, come Lorenzo Vernacchio, anacaprese di 46 anni, iscritto alla Uipa, la gloriosa associazione dei portieri d’albergo denominata anche Le Chiavi d’Oro.

«Il primo requisito per lavorare di notte è la discrezione – spiega Vernacchio, portiere del Capri Palace – il secondo la riservatezza, il terzo non dormire mai. Si deve vedere e non vedere, sapere e non raccontare. Quando ho iniziato questo mestiere, a 25 anni, la vita notturna ad Anacapri era più marginale. All’epoca, si rientrava massimo alle tre di mattina, mentre ora la notte è più vissuta. Chi lavora di notte è sempre solo e, in un certo senso, diventa il padrone dell’albergo. Mi è capitato di risolvere qualsiasi tipo di problema: trovare un elicottero, mandare a Napoli una barca privata alla ricerca di un mazzo di rose, organizzare una serenata romantica nella Grotta Azzurra. La nostra missione impossibile è proprio quella di non poter mai dire di no. E anche quando arrivano proposte indecenti, la miglior risposta resta sempre un sorriso accompagnato da una gentile buonanotte. Posso garantire che è molto più difficile lavorare quattro ore di notte che dodici di giorno. Gli anni di istituto alberghiero sono stati fondamentali per la mia formazione, ma la scuola più importante è quella di vivere l’albergo e fare esperienza».

Marco Colella, anacaprese di 24 anni, rappresenta la nuova generazione dei portieri isolani.

«Lavorare in un albergo così importante – racconta Colella, portiere del Grand Hotel Quisisana – significa pensare che nulla sia impossibile. C’è chi ci chiede di far atterrare un elicottero sul tetto e chi, alle quattro di mattina, vuole mangiare ravioli o gnocchi alla sorrentina. L’abilità è trovare sempre un’alternativa valida, senza scontentare il cliente. Una volta abbiamo dovuto organizzare di notte il trasferimento di quattordici clienti a Napoli, prenotando anche due aerei privati diretti a Boston. Qualche settimana dopo, a Boston è stato pubblicato un articolo in cui si paragonava il nostro lavoro al piacere di vedere per la prima volta il Colosseo, ed il presidente dell’Ente turistico italiano ha ricevuto una lettera di ringraziamento dai nostri ospiti. Sono queste soddisfazioni a farmi superare qualsiasi tipo di stanchezza. Quando mi rivedo in quei giovani che partecipano alla movida notturna, sento che questa esperienza mi ha cambiato. Adesso ho molta più cura del silenzio e delle persone che vogliono riposare. Di giorno, il ritmo è più veloce ma di notte è più stressante perché il buon nome dell’albergo è tutto sulle nostre spalle. Per me la notte resta un mistero: puoi vedere un cliente, di giorno sempre in abiti sartoriali, trasformarsi ed avere uno stile più esuberante. Quando arrivo a casa, prima di andare a dormire, ripasso a memoria tutte le cose che mi sono capitate. Spesso sogno il mio lavoro e quello che sarebbe potuto accadere se avessi agito diversamente».

Il silenzio è una vera e propria religione per Maurizio Cacace, anacaprese di 51 anni, che ha trascorso metà della vita a lavorare di notte.

«Avevo 28 anni e lavoravo nel negozio di souvenir della mia famiglia – ricorda Cacace, portiere dell’Hotel San Michele – una notte il portiere si sentì male e mi proposero di sostituirlo fino ad ottobre. Le prime due notti furono difficili ma sono passati 23 anni e sono ancora qui. La notte è sacra, è un momento unico ed io sono una persona riservata. Sentire il rombo delle motociclette che interrompe quel silenzio mi infastidisce molto. L’aspetto più positivo del mio lavoro è di non vivere lo stress che si subisce di giorno, e avere tempo per la famiglia. L’unico problema è la gestione del tempo e la capacità di adattarsi a ritmi completamente stravolti. Quando ho iniziato, pensavo che questo lavoro fosse inutile perché sono sempre stato molto attivo. Ancora oggi, lo considero noioso: aspettare svegli persone che rientrano di mattina! Una tranquillità apparente, però, che ti consuma un po’ alla volta. Verso le quattro di mattina mi capita di perdere la concentrazione. Il corpo vuole riposarsi e non si abitua mai alla veglia. Dopo tanti anni, inizio a sentire il peso e non so se consiglierei questo mestiere a un giovane. Di notte resto solo con le mie chiavi e con la pazienza di aspettare. Non sempre è positivo avere molto tempo per pensare, ma ho la soddisfazione di vivere nel silenzio. Quando esco, apprezzo subito il fatto di lavorare di notte. L’isola è diventata troppo caotica e il rumore per me è insopportabile».

Filippo Di Luzio, napoletano di 48 anni, è alla sua prima esperienza come portiere di notte. «Ho iniziato quasi per caso – racconta Di Luzio, portiere dell’Hotel Syrene – e oggi mi trovo ad avere una grande responsabilità in un albergo storico. Questo mestiere richiede una capacità di adattamento notevole. Quando finisco di lavorare non riesco a dormire e mi dedico alla famiglia. È fondamentale andare a letto solo nelle ore precedenti al lavoro, in modo da arrivare riposato anche mentalmente e non solo fisicamente. Ma sul lavoro il problema non esiste perché quando si ha un compito così importante è impossibile riuscire a dormire. Per me è una esperienza totalmente nuova, considerando che prima andavo a dormire alle dieci di sera per svegliarmi alle cinque di mattina. Il vero ago della bilancia sono i clienti. Stanotte, ad esempio, sono le tre e devo aspettare ancora due clienti che non sono rientrati. In fondo, come ogni buon padre, è come se restassi sveglio per aspettare i miei figli. L’unica cosa che mi manca è non potermi più dedicare alla pesca, la mia vera passione».

I portieri di notte, come il faro di Punta Carena, li riconosci sempre dalle luci. Sono i primi ad accenderle all’imbrunire, e gli ultimi a spegnerle nelle camere abbandonate.

 

 

La guardia del leone

Una vita al servizio dei clienti in uno degli hotel più esclusivi del mondo. Leone Manzo per quindici anni ha osservato il mito di Capri da un punto di vista privilegiato: la portineria del Grand Hotel Quisisana. «La mia storia è legata indissolubilmente all’albergatore Mario Morgano – racconta Leone Manzo dal suo ritiro anacaprese – all’epoca facevo coppia con Marino, la nostra guardia notturna, e Mario Morgano si divertiva a dire che, con un leone marino a guardia del suo hotel, poteva sentirsi al sicuro! Un albergatore nato ma soprattutto un grande uomo. Sapeva capire il personale solo con un’occhiata e aveva il dono di dare a tutti il proprio valore. Il signor Mario mi ha insegnato il rispetto per gli altri. Non poteva che avere un degno erede, come il dottor Gianfranco, alla guida del suo hotel». In oltre 40 anni, ha lavorato in 12 alberghi di eccellenza ed ha ricoperto al Quisisana il ruolo di portiere di notte dal 1985 al 1990, e di primo portiere dal 1994 al 2003. «Ai miei tempi, a Capri si viveva più di notte che di giorno. Ricordo l’eleganza sobria dei turisti, principi arabi con i segretari sempre pronti a offrire mance inimmaginabili, e nobili che uscivano dalla porta di servizio per non farsi riconoscere. Tra i politici, Prodi amava andare in bicicletta e Andreotti mi ha regalato un libro. Era molto discreto e si svegliava prestissimo. Un giorno entrò in albergo un uomo con i pantaloncini corti che non conoscevo. Stavo per fermarlo all’ingresso ma mi accorsi che aveva la guardia del corpo e lo lasciai passare. Era il figlio del re di Giordania». Oggi, a 74 anni, Leone è in pensione ma a continuare la tradizione di famiglia ci pensa sua figlia Anna, che lavora proprio come portiere. «Dopo la scuola alberghiera, ho sempre lavorato con passione e coscienza. Mi offrivo al cliente con tutto me stesso per metterlo a suo agio. Il cliente per me non era un numero da associare ad una camera, ma era soprattutto un nome. Il Quisisana ha rappresentato la mia famiglia. Conoscevo a memoria le abitudini e i desideri di tutti gli ospiti storici. Una volta, a un chirurgo americano appassionato di fiori bianchi, feci trovare in camera oltre 300 fiori come benvenuto».

 

 

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