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I segreti della Caprese

Pomodoro, mozzarella e basilico. Tre semplici ingredienti per dare vita a un piatto da manuale. 
Con qualche accorgimento

di Luciano Pignataro

 

 

 

 

Dall’insalata caprese alla torta caprese, una metafora circolare vichiana. L’inizio e la fine di un pasto oppure, con i tempi che corrono, il grande successo di uno spuntino a pranzo e di un piacevole intermezzo pomeridiano in Piazzetta. Il giorno e la sera, il mare e il bosco, la velocità e la lentezza, la semplicità e la complessità, l’estate e l’inverno. Tutto nell’isola.
Mozzarella e pomodoro sono un perfetto effetto di fusion ma dopo secoli di indifferenza hanno potuto celebrare il loro matrimonio solo all’ombra del Vesuvio, terra di commerci frenetici strillati, imbrogli, scambi e piccoli colpi messi a segno per guadagnarsi la giornata. Terra di bufali e di pomodoro. In verità l’amore a tavola li vede insieme in tutte le stagioni, quando sono consumati freschi, appena scottati sulla pizza, oppure con la pasta alla sorrentina.
Ma persino le grandi multinazionali del gusto piallato e indecente giocano spesso ad abbinare quel che resta di un pomodoro trattato alla loro maniera e l’idea di mozzarella dalle origini industriali misteriose. E questo abbinamento prosegue fino alla fine, quando un pomodoro secco ben si abbina nelle ricette ad un formaggio stagionato.
Il motivo di questo amore a prima vista è molto semplice, l’acido del pomodoro venuto dalla lontana America, inizialmente considerato velenoso e poi usato come pianta ornamentale, ben contrasta con il grasso del formaggio e della mozzarella in particolare. Infine il basilico, anche grazie al suo effetto mediterraneo, rilassante, soddisfa il naso, lo distrae e pulisce il palato. Mangiati separatamente, la mozzarella e il pomodoro possono stancare, arriva il momento di dire basta. Insieme invece sono un piatto da manuale, rotondo, ed è in questa autoreferenzialità anche la difficoltà di abbinamento col bicchiere: qualsiasi vino rompe infatti l’equilibrio perfetto raggiunto da questa fusion artigianale, vera e non cerebrale. Difficile immaginare l’Italia senza la Toscana, ma la cucina italiana senza la tradizione partenopea sarebbe un insieme di gastronomie nazionali. Dalla fame metropolitana lunga cinque secoli e dalla grandezza di un’aristocrazia abituata a scialare sono nati i piatti nazionali e la margherita con i tre colori del cuore risorgimentale ne è l’esempio plastico.
Si diceva del matrimonio. All’inizio del Novecento proprio a Capri l’insalata di pomodoro e cacio, non possiamo parlare ancora di mozzarella, sale alla ribalta mediatica grazie alla circolazione nei vicoli dell’Isola di un gran numero di intellettuali, sfaccendati, ricchi e curiosi sfornati da tutto il mondo occidentale e giunti qui in cerca di azzurro per sfuggire alla depressione delle loro città moderne e grigie. Nasce così la “caprese”, uno stile esistenziale di vita a tavola quando ancora non c’era l’ossessione moderna delle calorie, piaceva anche agli inventori della cucina futurista in guerra con la pasta. Il piatto, un crudo ante litteram, stacca dalle cotture lunghe, il sapore è semplice ma complesso, intenso, persistente, ed è sicuramente una delle scoperte del Ventesimo secolo, semplice e importante come quella della ruota, talmente naturale da pensarla eterna, creata dal Signore assieme a tutto il resto.
Passano i decenni e con il turismo di massa la caprese cessa di essere un piatto cru di Capri e della Campania per diventare patrimonio di tutti, un modo per sognare il Mediterraneo anche quando si è costretti ad un panino rapido nelle strade.
Il boom nella ristorazione pubblica, persino negli infernali grill autostradali e aeroportuali dove la biodiversità è bandita in nome dell’asetticità e del profitto, arriva così negli ultimi quindici anni quando al pomodoro viene affiancato non più o non solo il fiordilatte ma la mozzarella di bufala, il latticino a pasta filata da sempre presente nell’Aversano e nella Piana di Paestum che però conosce il successo solo dopo il conseguimento della dop, verso la seconda metà degli anni Ottanta. Una novità anche per Capri e per gran parte della Campania, abituata al fiordilatte. Il latte di bufala è più saporito, più vero e interessante, di quello di mucca e la mozzarella, il nome deriva da una fase della lavorazione, quando cioè il casaro “mozza” la pasta per dare forma al latticino, è più forte delle imitazioni industriali. è successo insomma proprio come il limoncello: la grande industria ha provato a riprodurla, ma la sua unicità è nell’essere un prodotto di terroir, artigianale, e il consumatore attento non si è lasciato abbindolare facilmente quando con il termine mozzarella sono stati indicati anche altri tipi di formaggi a pasta filata.
Quali i segreti di una buona caprese? Ognuno ha i suoi, ma noi abbiamo convinzioni non facilmente confutabili. In primo luogo la mozzarella deve essere grande, un pezzo da almeno mezzo chilo perché la qualità del sapore è direttamente proporzionale alle sue dimensioni. Può sembrare strano o maniacale, ma è lo stesso motivo per cui lo stesso prosciutto regala sensazioni diverse se tagliato a fette sottili o doppie. Sono sfumature che gli hilteriani pazzi delle multinazionali del gusto non potranno mai capire fino in fondo. I bocconcini, per capirci, non sono indicati. Poi il pomodoro non deve essere né acerbo, né troppo maturo: deve avere cioè il sugo ma conservare una certa consistenza sotto i denti. Va tagliato con un po’ di anticipo, deve perdere il fastidioso freddo del frigorifero, l’obitorio del cibo, va salato leggermente e girato in una zuppierina per far cacciare il sugo.
Se volete, ma non è necessario e a me non piace perché ruba un po’ la scena in bocca, si aggiunge un filo di olio extravergine d’oliva. Quando è venuto il momento di mettere insieme l’insalata, il sugo del pomodoro e il latte della mozzarella servono a legare il piatto e anche in questo caso serve il giusto mezzo: la ricetta non vuole essere né asciutta né però i pezzi devono galleggiare nel liquido. Infine è il momento del basilico, tagliato rigorosamente a mano e non con il coltello perché rischiate di rovinate il tutto. Non va mai sostituito con l’origano che è troppo invasivo, per questo sta bene con il solo pomodoro ma in un abbinamento così equilibrato e perfetto diventa primo attore. Da consumare dopo un quarto d’ora, senza pane.
Sono contrario all’olio d’oliva e, a maggior ragione al pepe, alle olive e a tutte le altre varianti, perché il vero segreto della caprese è l’esaltazione della freschezza dei prodotti, il loro stare insieme è una reciproca compensazione naturale e il buongustaio gode del pomodoro di orto come della creazione del bravo casaro nello stesso momento.

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