foto01I segreti di via Camerelle

Testimone di storie d’amore e luogo di celebri boutique. Ecco la storia della strada più famosa di Capri

di Bruno Manfellotto

 

 

 

 

 

Così è, Capri. Ti offre viottoli tortuosi che s’inerpicano aspri per chilometri, ma alla fine ti premia regalandoti scorci indimenticabili. Ti sorprende con sentieri polverosi all’ombra di pini centenari che poi si spalancano all’improvviso alla luce accecante del sole. Ti regala passeggiate tra ginestre e fichi d’India che ti accompagnano dal mare alla montagna. Ma ci sono anche strade più appartate, apparentemente secondarie, ma che grondano storia, che hanno segnato un’epoca, scandito i mille mutamenti di un’isola che si rinnova continuamente pur restando sempre se stessa. E quelle che Alberto Savinio descriveva «abuliche, senza resistenza, svarione. Sul più bello», notava, «ti abbandonano, poi magari riprendono più in là, intermittenti, a scatti. Strade a temperamento, come i violinisti magiari». Una di queste è via Camerelle che comincia lì dove il corso incontra il Quisisana e procede dritta fino a via Tragara, aprendosi a tre incroci-simbolo dell’isola: con la via Cerio che conduce alla Certosa; con via Occhio Marino, dalla quale s’intravede uno dei mari di Capri spuntare tra le ville; con la viuzza “svariona” che, breve e ripida, si congiunge con la più nobile via Tragara destinata a chiudersi su una terrazza a picco sui Faraglioni, uno degli scorci più belli del mondo.
A via Camerelle si accede lasciandosi alle spalle lo struscio vociante del Corso, il su e giù dalla Piazzetta al Quisisana, tra un “ciao ciao” agli amici seduti alla Palma e un gelato da Scialapopolo. Al Quisisana si svolta a sinistra e – non prima di uno sguardo curioso alla terrazza affollata di turisti e bon vivant – si scivola su questa stradina piana e affascinante. Testimone di pazze storie d’amore (e quale angolo di Capri non lo è?). E un po’ misteriosa. A cominciare dal nome: Camerelle.
La si cominciò a chiamare così nel Settecento per indicare un cammino pietroso (tale rimarrà per due secoli ancora) alle falde del Monte Tuoro, allora brullo e sassoso, non l’odierna esplosione di verde. In realtà, strada non era, ma solo un terrapieno che correva ai piedi della via costruita dai romani per congiungere il Castiglione a Punta Tragara.

Come quasi tutte le strade romane, anche questa poggiava su potenti arcate, una quarantina, di cui ancora oggi si intravedono, tra l’edera che si arrampica e le luci accese delle boutique, i mattoncini rigorosamente ordinati l’uno accanto all’altro. Questi grandi archi, chiusi dal versante della montagna, formavano degli spazi chiusi su tre lati, delle stanze, delle “camarelle” o “camerelle”. Nel Settecento, secolo celebrato come libertino e trasgressivo, si convinsero che mentre nelle ville più sopra la Roma Imperiale celebrava i suoi fasti e i suoi ozi, di sotto, al riparo da quelle arcate, in quelle “camarelle”, si esercitasse l’antichissima arte della prostituzione. Chissà perché. Forse perché leggendo Svetonio e la sua biografia dell’imperatore Tiberio – primo e grande turista dell’isola, e soprattutto suo massimo “testimonial” nei secoli a venire – si erano convinti che le mitiche “sellariae” – i boudoir dell’epoca, salottini attrezzati per il piacere frequentati dallo stesso imperatore – fossero state sistemate proprio in quelle ampie grotte costruite dalla mano dell’uomo.

Non c’è storico che se la senta di confermare l’intuizione. Altri, meno fantasiosamente, guardano alle “camarelle” come a grandi cisterne destinate a raccogliere l’acqua, bene allora preziosissimo e ricercato a Capri almeno quanto l’eros a pagamento. Altri ancora (per esempio Edwin Cerio), più realisticamente ancora, guardano a quegli antri come a semplici volte di contenimento entro le quali, con la praticità tipica degli antichi romani, erano state fatte passare anche le condutture dell’acqua. Ciascuno scelga l’ipotesi che preferisce.

La strada restò staccata dalla vita frenetica dell’isola per due secoli ancora. Cambiò aspetto e prese vita ai primi del Novecento, cioè quando tutta Capri cominciò a cambiare per le migliaia di turisti (erano già quarantamila l’anno nel 1912) che cominciarono a fare dell’isola il loro buen retiro attratti dal mito della Grotta Azzurra, dal fascino dei Faraglioni, dai racconti e dai disegni degli intellettuali del Grand Tour.
All’inizio le cucine del Quisisana – costruito nel 1845 da un medico scozzese per farne un sanatorio e da lui stesso trasformato vent’anni dopo in un grande albergo – occupavano alcune di queste “camarelle”. Altre più avanti furono trasformate nelle stanze della Villa Pompeiana, costruita nel 1879, e che ancora oggi si incontra.

Ma la novità che ne mutò il destino si deve forse a Gennaro Canfora, un geniale artigiano isolano che lì, nel cuore della strada appena sistemata e battezzata via Camerelle, aprì il primo negozio di calzature di lusso: spiccavano i sandali capresi rigorosamente fatti a mano, tagliati e cuciti su misura e al momento. Subito dopo, fu un susseguirsi di nuove iniziative, negozi e botteghe, bar e ristoranti. Oggi via Camerelle è una piccola e affascinante via Condotti, con le vetrine delle grandi griffe, l’accogliente libreria degli Esposito, negozi di antiquariato, pensioni e ottimi ristoranti. Ma discreta, tranquilla, silenziosa, disposta ad accogliervi anche solo per una semplice passeggiata.

 

Giorgio e Jenny

In via Camerelle, all’inizio del secolo scorso sorgeva villa Jenny, una bianca costruzione a due piani voluta da Giorgio Cerio, affermato medico negli Stati Uniti, primo dei tre figli di Ignazio, genius loci. Un villino testimone di un’intensa storia d’amore.

Questa. Un giorno, a casa di amici, Giorgio Cerio incontrò Jenny Ungaro, figlia del Marchese Enrico, notissimo uomo politico dell’epoca e deputato al Parlamento, donna bellissima e sposata. Tra i due fu subito passione e Jenny, nello scandalo generale, lasciò il marito e riuscì anche a fare annullare il suo matrimonio perché, recitava la sentenza, “mai consumato”.

Così Giorgio e Jenny si sposarono e andarono a vivere a Capri, nella casetta bianca appena sorta in via Camerelle. L’isola era splendida, il clima dolce, l’amore caldo. Ma a Giorgio, abituato ai successi e alla vita frenetica in terra americana, il posto andò presto un po’ stretto. Per questo cominciò a frequentare Roma dove non ebbe difficoltà a formarsi una robusta e danarosa clientela. E non solo. Un giorno, infatti, conobbe Mabel Norman, ricca e affascinante pittrice americana, e se ne innamorò perdutamente. Tanto da lasciare la moglie, Capri e Roma e a trasferirsi con il nuovo amore negli Stati Uniti.
Per Jenny fu un colpo durissimo. Una notte d’inverno, sola e disperata, tentò il suicidio gettandosi in mare. Venne salvata in extremis quando era al limite della resistenza e intirizzita dal freddo: morirà pochi giorni dopo di polmonite. Villa Jenny resterà chiusa e abbandonata per decine di anni.

 

A casa in jeep

Via Camerelle visse la sua seconda fase d’oro a cavallo della seconda guerra mondiale. Gli americani, sbarcati in Sicilia, e arrivati nel Golfo risalendo l’Italia, avevano fissato il loro quartier generale a Capri nelle stanze del Quisisana. Il loro comandante, colonnello Woodward, aveva preso alloggio a Punta Tragara, ma ogni giorno si faceva accompagnare a casa in jeep sfrecciando lungo via Camerelle. Intanto i suoi ufficiali sciamavano per le strade alla scoperta dell’isola: ne diventeranno i massimi sponsor in tutto il mondo, la migliore agenzia promozionale possibile, spot viventi pronti a decantare bellezze e miti di Capri. Proprio come erano stati francesi, tedeschi e inglesi negli anni del Grand Tour.
Per alcuni di questi americani, che gliene avevano fatto esplicita richiesta, un intraprendente gioielliere napoletano, Pietro Capuano, aveva fabbricato un giorno una campana di metallo e argento che era stata molto apprezzata (e altrettanto ben pagata). Riprodotta in miniatura, diventerà simbolo, portafortuna e monile ricercatissimo della gioielleria che Capuano aprirà nel 1947 in via Camerelle e che chiamerà con il suo soprannome, Chantecler, come il gallo della tradizione letteraria francese.

 

La boutique di Chantecler

Roberto Ciuni, profondo conoscitore dell’isola, della sua storia e dei suoi personaggi, ha scritto su Capuano-Chantecler pagine deliziose (I peccati di Capri) e illuminanti. Figlio di gioiellieri napoletani, Pietro veniva spedito dal padre a vendere pietre dure e preziose ai ricchi ospiti di Capri. Nel Ventennio, racconta Ciuni, la società mondana si divideva a Capri in due clan distinti: l’uno viveva intorno al generale Armando Diaz, napoletano, eroe della Prima Guerra e ministro di Mussolini; l’altro si beava alla corte di Tommaso Marinetti, il poeta del manifesto futurista. Per affari Capuano frequentava gli uni e gli altri, ma era evidente che il suo cuore batteva per i più allegri e fantasiosi marinettiani. Sfacciato, trasgressivo, provocatore nato, Pietro aveva imparato da Marinetti a prendere il sole nudo (e in anni più recenti, alla Canzone del Mare, per consentirglielo, gli Iacono lo isolavano con un separé).

Un giorno si presentò in Piazzetta indossando un paio di pantaloni rossi, e fu scandalo. Un’altra si travestì da donna, e si cominciò a sospettarlo di omosessualità.
Dal dopoguerra, la sua storia personale si intreccerà quasi quotidianamente con quella di Edda Ciano, da sempre amica e frequentatrice dell’isola. La figlia del Duce, morti tragicamente il marito Galeazzo Ciano e il padre, e confinata a Lipari dopo la Liberazione, ricevette un giorno una cartolina che più o meno recitava così: sappiate che a Capri avete un amico. Firmato, Pietro Capuano. Nel 1947, quando per la prima volta Edda tornerà a Capri, si presenterà in Piazzetta al braccio di Chantecler. E, come sempre, si siederà a un tavolino del Bar Tiberio.
Ormai famoso, nel 1952 Capuano lasciò via Camerelle per trasferirsi con la sua gioielleria nel più centrale corso Vittorio Emanuele, quasi di fronte al Quisisana. La boutique è ancora lì, con le vetrine scintillanti e con la portantina all’ingresso diventata negli anni segno di riconoscimento della casa. Non è quella originale, però: raccontava Chantecler che un cliente americano che aveva fatto incetta di gioielli gli aveva chiesto di comprare anche quella. Come dirgli di no? Detto fatto, la rimpiazzò subito con un’altra. Mai più messa in vendita.
Poi arriveranno gli anni Sessanta, quelli che hanno segnato per l’isola un nuovo rinascimento e il definitivo trionfo. Nel suo piccolo, lo testimonierà anche la strada che era stata anche di Diefenbach e di Cerio. Lì Tonino D’Emilio, parrucchiere bravissimo e intraprendente, aprì bottega nella speranza di tagliare e sistemare tutte le ciocche che contavano. Ci riuscirà presto: si rivolgeranno a lui la duchessa di Windsor e la principessa Soraya, Grace Kelly e Jackie Kennedy. Poi verranno le grandi boutique, i profumi, le scarpe e i vestiti, il cachemire e i libri d’arte, i caffè tranquilli e i ristorantini appartati. Ma anche gli oleandri e le cicale, la vista sulla Certosa e i pini, e oltre i pini il mare. Questa è Capri. E null’altro è Capri.

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