foto08Il mito che incanta

Da creature mostruose a romantiche icone di amori impossibili. La favola delle sirene, parte da lontano e arriva a noi

 

 

 

 

 

Che fosse o meno l’antica Capreae la loro dimora effettiva, non c’è dubbio che proprio al mito delle sirene l’isola di Capri debba ancora oggi una fetta del suo fascino straordinario e multisensoriale.

Ma chi erano veramente queste creature fantastiche che «Mandano un canto dalle argute labbra/Che alletta il passeggier», come Omero fa dire a Circe nel dodicesimo canto dell’Odissea?

Chi volesse avventurarsi in questa storia senza tempo scoprirà anzitutto che quella del corpo di donna con la coda di pesce è solo una delle sembianze che la mitologia ha impresso a queste enigmatiche creature.

Questa, e un’autentica messe di altre informazioni compongono il bel libro di Maurizio Bettini e Luigi Spina (Il mito delle sirene, uscito da poco per i tipi di Einaudi) che con certosina pazienza e mirabile erudizione ripercorre i secoli per raccontare gesta e vicissitudini di queste mitologiche incantatrici.

 

BELLE DA FAR PAURA

Così, volendo ripartire dal bivio sull’effettiva natura della metà animale, si scopre che il loro aspetto era assai meno intrigante di come lo si è percepito più avanti. Insomma, per arrivare alla bionda avvenenza di Daryl Hannah in Splash. Una sirena a Manhattan (1984), la strada non è breve né scontata. L’immagine più diffusa delle antiche sirene le vuole sì fanciulle nella parte superiore del corpo, ma per il resto uccelli e, come se non bastasse, con piedi di gallina.

In realtà (si fa per dire, ovviamente) per districarsi nel dedalo di leggende sulla nascita delle sirene ci vuole il classico passo indietro, fino a rispolverare i vecchi testi di mitologia greca. Le fanciulle (due secondo Omero, ma già per Apollodoro sono tre, e nel tempo cresceranno di numero fino a raggiungere quota cinquecento e oltre) si sarebbero meritate l’ira di Venere/Afrodite facendo voto di verginità e per ciò sarebbero state punite dalla Dea dell’Amore e trasformate in creature mostruose, mezze donna e mezze uccello.

 

PADRE INCERTO, MADRE ANCHE DI PIÙ


Dalla nascita ai genitori il passo dovrebbe essere breve. E invece no, perché il dibattito su quali siano stati i veri antenati delle sirene non può ancora oggi ritenersi concluso.
Mater sempre certa est, pater numquam (la madre è sempre certa, il padre mai) dicevano i latini. Ma di certo non pensavano alle sirene, perché se è vero che c’è una qualche concordanza nell’attribuirne la paternità a Forco (figlio del Mare e della Terra) o, più probabilmente, al dio-fiume Acheloo (che, per inciso, scorre in Acarnania, terra di origine dei Taleboi, primi colonizzatori dell’isola di Capri) non altrettanto può dirsi per la madre. Secondo alcuni Melpomene, musa del canto (da cui discenderebbe la loro natura di cantanti e incantatrici), ma altri le preferiscono Calliope (musa della poesia) o Tersicore (danza) o Sterope (che non era una musa ma una delle sette Pleiadi, figlia di Atlante e Pleione). O addirittura Gea (la Terra), che avrebbe raccolto il sangue sgorgato dal corno di Acheloo, staccato da Eracle nella lotta per sposare Deianira, figlia di Oineo. Chi si fosse già smarrito sappia che si potrebbe facilmente andare avanti.

 

LA METÀ OSCURA DEL MITO

Quello che è certo, qualunque fosse la loro origine, è che sul destino delle sirene sembrano aleggiare fosche nubi di morte. Ovidio ce le racconta mentre si strappano le ali per la vergogna della sconfitta durante una contesa musicale con le Muse, diventano bianche e si gettano in mare. Stessa fine subiscono dopo il passaggio di Orfeo, che sovrasta il loro canto con il proprio. E non andrà meglio dopo l’incontro più noto, quello con Ulisse. Legato all’albero maestro dai propri compagni di viaggio, le cui orecchie erano state coperte di cera, l’eroe omerico come è noto riesce a sopravvivere al passaggio lungo le coste dell’isola delle sirene, che invano cercano di adescarlo e convincerlo a fermare la nave.

Il fallimento della loro missione esistenziale porta le sventurate, ancora una volta, al tragico rifiuto della vita, con conseguente annegamento e trasformazione in scogli del mare. Ma attenzione, ci spiega Luigi Spina nel libro: «La morte in un mito non è mai la morte del mito». Ecco quindi le sventurate creature sopravvivere ai secoli e giungere, in pratica senza soluzione di continuità, fino a noi. Non senza però aver subito un’ulteriore metamorfosi che le ha portate, più o meno nel VI secolo, a perdere definitivamente il loro carattere di uccelli per acquistare le loro definitive sembianze di fanciulle con la coda di pesce.

 

SEDUZIONE E MALINCONIA, A LIETO FINE


Da Munch a Boccaccio, passando per Magritte e Kafka e Tomasi di Lampedusa, sono in tanti a non aver resistito alla tentazione di rileggere il mito delle donne-pesce che oggi campeggia – tanto per dire di un fascino che continua – sul logo della catena internazionale di caffetterie Starbucks o su quello della Cooperativa Pescatori Posillipo, marchio di abiti casual di un certo successo sul cui sito compare una poesia che parla proprio di un incontro con la sirena. Il mito, insomma, resiste.

Meno cupo e “finale” che in passato ma resiste. Forse proprio grazie alla natura, insieme tentatrice e malinconica, di esseri che incarnano bellezza e seduzione pur essendo a ben guardare asessuati, relegati al confine tra due mondi, prigionieri forse dell’uno e dell’altro e quindi protagonisti ideali di sogni irrealizzabili e amori impossibili.
Non è un caso, quindi, che la versione moderna a noi più nota sia quella consegnataci dallo scrittore danese Hans Christian Andersen, con la sua fiaba Den lille Havfrue (La Sirenetta) a cui è dedicata la famosa statua nel porto di Copenaghen.
E soprattutto – visto che in fondo in fondo siamo tutti dei sentimentali – il suo adattamento cinematografico realizzato per la Walt Disney nel 1989 in cui la storia (già edulcorata da Andersen rispetto alla versione mitologica) vira con decisione verso un happy ending che farà forse drizzare i capelli ai puristi del mito, ma che procura ai più un rassicurante sospiro di sollievo.

 

 

È LEI O NON È LEI? 

Da Omero ai giorni nostri, non si contano gli avvistamenti di sirene registrati nel corso della storia, spesso da parte di personalità al di sopra di ogni sospetto che giurarono di averle incontrate sul loro cammino.

Callistene, biografo di Alessandro il Grande, ci descrive per esempio l’incontro dell’imperatore con due sirene (in questo caso uccelli dal volto di donna) che gracchiando tra le nubi intimano in greco al re di tornare indietro. Il 9 gennaio 1493 è addirittura Cristoforo Colombo ad appuntare sul suo diario di viaggio di aver visto «tre sirene uscire dall’acqua, che in nessun modo avevano sembianze umane».

Nel 1822 fece scalpore la storia del capitano Eades, inglese, che riportò da un viaggio nelle Indie orientali nientemeno che una sirena imbalsamata, acquistata a caro prezzo da certi mercanti. La sirena fu esposta a Londra per diverso tempo e con rilevante successo, fin quando rilievi anatomici non ne rilevarono la natura di falso.

Il capitano John Smith (quello di Pocahontas, per intenderci) scrisse nel 1610: «Una mattina, al primo spuntar del sole, mi trovavo sulla spiaggia, non lontano dal porto di Saint John, quando vidi un mostro marino che nuotava velocemente verso di me. Ella era d’aspetto seducente: gli occhi, il naso, le orecchie, le guance, la bocca, il collo, la fronte ed il viso nel suo insieme sembravano quelli di una splendida fanciulla; i capelli dai riflessi azzurri le ricadevano lunghi sulle spalle».

La teoria degli avvistamenti è ancora lunga, e anche varia dal punto di vista geografico, tanto che le domande sulla loro effettiva esistenza si sono, nel tempo, susseguite. Senza però ricevere, almeno finora, una risposta affermativa dalla scienza.
Insomma, se una sera vi sembra di vedere un pesce dai riflessi argentati nelle acque del suggestivo Scoglio delle sirene a Marina Piccola, aguzzate la vista. Il meno che potrà capitare è di godervi lo spettacolo del mare.

 

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