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Io & Lei

A vela, a remi o a motore. Per lavoro o per passione. Il sentimento che lega alla propria barca è un luogo inesplorato. Ce lo raccontano cinque uomini che amano andar per mare

di Antonello De Nicola

 

 

 

Per Honoré de Balzac esistono tre tipi ideali di bellezza: una donna attraente quando danza, un cavallo di razza al galoppo, un veliero a vele spiegate sotto vento. Provate a chiedere ad un marinaio e vi risponderà: la barca che balla tra le onde, i cavalli che seguono la rotta, la vela gonfiata dal vento. Il sentimento che lega un uomo di mare alla propria imbarcazione è un luogo inesplorato: nessuna nave sarà mai abbastanza grande per contenere la propria solitudine; nessuna barchetta sarà tanto piccola da limitarne lo spirito di avventura. Uomini così diversi sulla terra e così simili tra le onde, che condividono la stessa compagna di avventura. Perché in fondo, un uomo sulla sua barca è già un’isola felice. Il viaggio inizia nel porto di Marina Grande, all’ombra di una vela bianca sospinta dai ricordi di Tonino Cacace, imprenditore di successo ma soprattutto velista. «Sono isolano e sono nato con il mare nelle vene. Ogni uomo di mare ha tanti ricordi da raccontare. Anni fa, nel corso di una tempesta a febbraio, il vento cambiò in poco tempo e la mia barca fu spazzata via, perdendo vele, fiocco e randa. A notte fonda, riuscii faticosamente a toccare terra. La barca a cui sono più legato è un Nauta 65, chiamato South Wind in onore di Norman Douglas. Una barca veloce ma anche comoda, con carena disegnata da Bruce Farr. Ho sempre accarezzato l’idea di una traversata nell’Atlantico. Nel 2003, nel mese di novembre, la mia barca era già alle Canarie ed ero l’ultimo a dovermi ancora imbarcare. Un attimo prima di salire a bordo, una voce dentro di me mi mise un dubbio sulle condizioni di salute di mia madre. Decisi istintivamente di non partire e di non avventurarmi nell’oceano, annullando la traversata. Pochi giorni dopo, mia madre sarebbe stata ricoverata e non sarebbe più uscita».

Tonino Cacace sa bene che un marinaio non prega per il vento buono. Impara a navigare. «Una volta mi imbarcai nel sud della Sardegna con la mia compagna Roberta e con il capitano, senza il secondo marinaio. Durante la notte si ruppero i quattro perni che reggono il motore e peggiorarono le condizioni meteo. Avevo programmato quel viaggio da tempo e avevo solo dieci giorni di vacanza. Decisi di non tornare indietro. La situazione precipitò rapidamente. Iniziammo ad imbarcare acqua e le onde salivano sulla coperta. Dopo aver legato al letto la mia compagna con alcune fasce, restai 35 ore al timone, senza pilota automatico e con luci di navigazione fuori uso a causa di un guasto all’impianto elettrico. Alla fine, riuscimmo ad entrare a vela nel porto di Villasimius. Ma sono molti anche i ricordi piacevoli. Amo stare al timone anche per 24 ore di seguito. Di notte, si vivono sensazioni meravigliose. L’emozione che provo è di assoluta libertà, con la barca inclinata e con il vento che mi rinfresca la mente. Oggi possiedo anche un Riva Aquarama degli anni Settanta, un vero gioiello di design».

Dallo yacht più lussuoso alla più piccola delle barche a bordo ogni uomo ha lo stesso sguardo, le stesse debolezze e lo stesso destino. Enzo Iaccarino da 24 anni conduce i turisti nella Grotta Azzurra, attraversando il piccolo antro nella roccia e chiedendo ai passeggeri di sedersi sul fondo della barca con la testa bassa e le mani all’interno dei bordi. «Già da piccolo accompagnavo mio padre con la speranza che qualche turista più generoso regalasse anche a me una monetina. Il mare per me è amore, profumo, musica. Sono nato a Marina Grande e ho sempre vissuto tra la banchina e le barche. Non riesco a stare lontano da Capri troppo a lungo. Sono un battelliere e lavoro su una piccola barca a remi donatami da mio padre 30 anni fa, anche lui marinaio. La mia barchetta è un modello tradizionale di artigianato sorrentino, che gli abili maestri d’ascia costruiscono da anni proprio per il trasporto dei turisti nella Grotta. Non ha un nome specifico ma affettuosamente è stata soprannominata dai miei colleghi “barca con piscina”, visto che all’interno c’è sempre acqua! Ogni anno è di un colore diverso: quest’anno ho scelto il fucsia mentre nel 2011 aveva i colori della bandiera italiana per festeggiare i 150 anni dell’unità d’Italia».

La passione per la vela di Conny Vuotto, direttore sportivo dello Yacht Club Capri, inizia a 15 anni quando accompagnava suo padre in battute di pesca subacquea su un piccolo gozzo giallo chiamato “Orata”. «Quel gozzo di legno, arrivato a Capri nei primi anni Sessanta, era considerato uno dei più belli dell’isola, tanto da essere raffigurato su una vecchia cartolina con lo sfondo dei Faraglioni. Il gozzo rappresenta il modo migliore per poter godere l’essenza stessa di Capri, raggiungere senza fretta una caletta o una insenatura. È la stessa filosofia di chi va in barca a vela. È anche per questo che ho intrapreso l’avventura di far avvicinare i bambini alla vela, insegnando non solo la tecnica ma anche il rispetto per l’ambiente. Una giornata in barca a vela ti riconcilia con il mondo ma la pura adrenalina che ho vissuto nella regata Rolex Invitational Cup di New York è una emozione indicibile. La barca deve trasmettere soprattutto un senso di libertà a stretto contatto con la natura. È meraviglioso uscire in barca d’inverno come in estate, all’alba o al tramonto, quando sono ferme in porto le centinaia di imbarcazioni che durante il giorno sembrano solcare il mare avanti e indietro senza trovare pace e alla ricerca non si sa bene di cosa».

Il pescatore Antonio Russo, conosciuto come “Zalamort” dal nome di un eroe dei fumetti, racchiude nel suo sguardo ogni goccia del mare di Capri. «Io sono praticamente nato in mare, in famiglia siamo pescatori da generazioni. Vado in barca da quando ero molto piccolo e dal 1962 ho un gozzo sorrentino di colore giallo e blu, con una testa di squalo raffigurata sulla prua. Il nome della barca è Pina, in onore della moglie del primo proprietario ma per superstizione ho preferito lasciarlo. Uno dei momenti più brutti vissuti a bordo risale a molti anni fa. Ero per mare di notte con alcuni amici, ed era la notte dei morti. Quel giorno non si va mai per mare, lo sapevamo, ma ci avventurammo lo stesso. All’improvviso, dal mare salì un sommergibile. Una paura assurda. Da quel momento, quella notte fu bandita! Il ricordo più piacevole è il tempo passato con i miei nipoti a pescare aguglie. Ma ogni volta che accendo il motore o tiro da mare la rezza è un’emozione unica. Quello del pescatore è uno dei mestieri più antichi e più belli, che non dovrebbe andar perso perché racconta le tradizioni ed i valori di un popolo».

Amare le barche e vivere da 60 anni con le spalle rivolte al mare. È l’incredibile destino di Salvatore Federico, storico edicolante della Piazzetta di Capri, specializzato nella realizzazione di modellini di barche. «Quando avevo 15 anni, e scendevo tutti i giorni a piedi al porto con un sacco sulle spalle per prendere i giornali sui traghetti, mi fermavo per ore ad osservare le barche. La passione per i modellini radiocomandati è iniziata da giovanissimo e ne ho realizzati tanti. Ho costruito un Riva Aquarama, dotato di due motori e personalizzato con listelli unici e striature in mogano; la nave Santa Lucia, negli anni Sessanta, con un tronco di pioppo scavato e un motore a due eliche; e il Christina di Onassis, grazie a foto dell’epoca e piani di costruzione originali. La soddisfazione di creare qualcosa con le tue mani, non ha prezzo. Il modellino è una cosa personale e rappresenta la perfezione ». Per le barche alla deriva in tutti i mari del mondo, per quelle il cui viaggio è finito ancora prima di iniziare, per le barche che arrugginiscono per paura delle correnti, per quelle che si dimenticano di partire a furia di invecchiare, per le barche che tornano in porto lacerate dalle tempeste. Ovunque le spingano i venti del destino. Coraggio.

 

 

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