foto11L’uomo che amava le isole

L’autore de “L’amante di Lady Chatterly” cercava il sole e la tranquillità. 
Si trovò al centro di pettegolezzi e incomprensioni

di Giuseppe Mazzella

 

 

 

 

«Questo luogo è piacevole per un certo periodo. Ma per me è come una pietra per guadare, dalla quale passare per giungere altrove; non luogo dove rimanere». Così scriveva al suo amico Martin Secker, David Herbert Lawrence appena giunto a Capri. Era il 27 dicembre 1919. Lo scrittore inglese e la moglie Frieda vi erano arrivati da pochi giorni, dopo una breve permanenza a Picinisco, paese dell’entroterra ciociaro, “freddo e primitivo”, ospiti di un amico italiano che lavorava in Inghilterra. In quella scomoda abitazione avevano resistito solo poche settimane costretti a dividere uno stanzone disadorno, il solo riscaldato da un camino su cui preparavano i pasti, dopo aver portato i poveri prodotti dal paese distante due chilometri.

Pur abituato al clima rigido di Eastwood, una piccola cittadina del Nottinghamshire, dove era nato nel 1885, quarto figlio di un’unione infelice tra un minatore e una maestra elementare, lo scrittore era sceso in Italia spinto dal desiderio di sole e per allontanarsi dagli echi dello scandalo causato dal suo matrimonio celebrato nel 1914 con Frieda Weekley, primogenita di Otto von Richtofen, governatore dell’Alsazia Lorena e già moglie di un professore d’Università. Dopo un breve periodo d’insegnamento, grazie all’abilitazione conseguita all’University College di Nottingham, Lawrence si era alla fine dedicato totalmente alla creazione letteraria, pubblicando tre romanzi, Pavone bianco, Il contrabbandiere e Arcobaleno, che gli avevano dato una certa notorietà. Fu però proprio quest’ultimo, stampato nel 1915, a creargli seri problemi, quando fu sequestrato per oscenità. E non solo. La poetica dello scrittore, che si sviluppava attraverso l’antagonismo tra istinto e ragione, i conflitti tra natura e civiltà industriale e gli aspetti problematici tra uomo e donna, lo avevano in qualche modo isolato dall’intellighenzia europea, che faceva fatica ad accettare un’arte che apriva squarci sull’intimità più profonda e inquietante dell’essere umano. Per un certo periodo fu addirittura controllato dalla polizia, perché sospettato di spionaggio e di collaborazione con il nemico durante la prima guerra mondiale. Tutte queste difficoltà andavano ad aggiungersi alle sue gravi condizioni di salute, minata da una grave forma d’etisia che rendeva il suo carattere, già difficile, ancora più intollerante.

Lawrence era già stato in Italia con Frieda dal 1913 al 1916, e si era fermato in lunghi e proficui soggiorni sul lago di Garda e in Liguria dove, a Tellaro e a Fiascherino, aveva vissuto un periodo felice per la vita affettiva e l’attività creativa. Nonostante l’intensa produzione che gli aveva conquistato un suo pubblico, Lawrence restava ancora un autore in gran parte incompreso e con modeste risorse economiche. Era perciò costretto a collaborazioni con periodici e giornali, materiale che più tardi raccoglierà nei suoi illuminanti libri di viaggio.

 

DA PICINISCO A CAPRI

La “fuga” da Picinisco a Capri fu decisa improvvisamente il sabato prima di Natale del 1919, dopo una nevicata che era durata tutto il giorno. Alle 5.30 del mattino la coppia si era recata a piedi fino ad Atina. Di qui con il postale era giunta a Cassino dove era salita sul treno per Napoli. L’imbarco per Capri avvenne verso le tre del pomeriggio. Appena fuori il Golfo di Napoli, però, a causa delle avverse condizioni del mare, l’imbarcazione fu costretta a ritornare indietro e a ridossare a Sorrento per tutta la notte. Solo a tarda mattinata fu possibile sbarcare sull’isola La coppia infreddolita e sballottata dal mal di mare trovò alloggio a Palazzo Ferraro, un appartamentino di due camere «sopra da Morgano, nel cuore di Capri, che guarda, a destra, il mare e Napoli e, a sinistra, il mare e il cielo con il nostro beneamato duomo, al di sopra delle case». L’ambiente era più accogliente e caldo rispetto a Picinisco, ma la vicinanza del folto “clan inglese” non entusiasmava lo scrittore che, scrivendo alla sua amica Catherine Carswell, così biasima lo “scandalo malevolo”, lo sport più seguito a Capri, al cui confronto «Londra è un luogo di preghiera», precisando che «Svetonio arrossirebbe fino alla radice dei capelli e Tiberio avrebbe la sensazione di essere stato un nonnulla».

L’incontro con l’isola azzurra non fu dei migliori, e fu reso ancora più difficile da un inverno molto rigido. Ad un’altra amica, lady Cynthia Asquit, così scriveva con maggiore perfidia: «Capri in se stessa, non è altro che due colline di calcare, pettegole e disseminate di ville, un microcosmo che fa molto onore al Paradiso, ma per nulla al genere umano. In verità, umanamente, è impossibile restarvi a lungo». Lawrence, al di là del giudizio severo che esprime su Capri, sarà tormentato per tutta la vita da un inquieto nomadismo che non gli permetterà di restare a lungo in un luogo. Tanto che anche in quella permanenza di poco più di due mesi, Lawrence e Frieda si recarono più volte “in terraferma”, in cerca di una piccola casa, dal momento che a Capri erano disponibili solo quelle grandi e dispendiose. Avevano visitato più volte la costiera amalfitana, di cui si erano innamorati e dove avrebbero desiderato trasferirsi, stufi del “crogiolo di bisbetiche” che vivevano a Capri. In quello stesso periodo lo scrittore organizzò anche una breve “fuga” a Montecassino, ricordata nell’Introduzione alle memorie di Magnus, in cui così descrive magicamente la partenza dall’isola: «Mi alzai che era buio pesto, una mattina di gennaio, e mi feci un po’ di caffè sulla lampada a spirito, e intanto guardavo l’orologio, il grande quadrante azzurro del vecchio orologio del campanile della Piazconsumption za di Capri, per essere sicuro di non far tardi; le lampade elettriche della piazza illuminavano la facciata del campanile; ed eravamo, allora, ad un tiro di pietra, lassù nel Palazzo Ferraro, di fronte al tetto a cupole del piccolo duomo. Strana, buia mattina d’inverno, col mare aperto, che si vedeva oltre i tetti, dalla finestra, e la linea sottile delle luci di Napoli che scintillavano, lontanissime».

 

L’AMICO MACKENZIE

I due mesi a Capri furono quindi grigi e difficili, nonostante la coppia cercasse di allacciare amicizia con i pochi che accettavano la loro compagnia, tra cui lo scrittore Compton Mackenzie , che Lawrence stimava. Ciononostante lo scrittore era affascinato dall’isola, specie quando s’immergeva nel maestoso paesaggio che ammirava dalle sue alture. Così scriveva ancora alla Asquit: «Vedere la costa velata con le sue rocce a picco, le chiare montagne rocciose, è così bello, come per Ulisse, che ci si disfa delle proprie incarnazioni per riacquistare un io perduto, mediterraneo, anteriore a noi». I momenti felici, però, duravano poco, e ricominciavano i disagi e le incomprensioni. Lo scrittore, ossessionato dai problemi del sesso, mentre era allora tutto concentrato nella elaborazione di Fantasia dell’inconscio, un giorno si produsse in Piazza in una torbida sceneggiata. Indicando la patta dei pantaloni, proclamò con la sua voce stridula: «Quello che dobbiamo imparare è a pensare qui». L’episodio fece grande scandalo che emarginò ancora di più la coppia, tanto da spingerla ad abbandonare l’isola. Destinazione Sicilia, prima tappa Taormina.
Era la metà di marzo del 1920. Lo scrittore così scrive della decisione di lasciare Capri all’amica Carswell: «Qualunque cosa avvenga, me ne devo andare da questa Capri simile alla malevola Cranford: troppo per i miei nervi. Tutto ciò mi inaridisce il cuore». All’amico Mackenzie riserva, invece, parole più piane: «Spero che non ci disprezzerete troppo perché ce ne andiamo a Taormina.

Penso che sia stata essenzialmente la particolare secchezza della roccia di Capri; un osso secco, secco. Ma non so, mi sento un po’ straniero qui – sento ancora l’oscurità. Mentre a Capri non c’è oscurità». Lo scrittore, aggiungeva, d’essere turbato anche dalla gente e dalla loro «inesorabile confidenza fisica che sconcerta chi non è cresciuto all’ombra di un vulcano». E in questo avrebbe accomunato presto i siciliani ai campani a causa del «magnetismo demoniaco del Vesuvio e dell’Etna».

 

L’ISOLA CHE NON C’È

La partenza da Capri fu per Lawrence solo una delle tante fughe determinate dal suo “sano odio per la civiltà industriale”, alla ricerca di un’“isola felice” che non troverà mai. Costeggerà molte volte Capri, nei suoi viaggi in nave per la Sicilia e la Sardegna e manifesterà nelle brevi note attrazione e repulsione per l’isola.
Lawrence e Frieda tornarono a Capri ancora una volta alla fine del 1925, per un breve periodo, abitando nella Villa Quattro Venti, dallo stile arabeggiante, ospiti dei pittori espressionisti Earl e Achsah Brewster. Questa permanenza coinciderà per lo scrittore con un periodo felice di creatività, in cui rielaborerà uno dei suoi più folgoranti libri sull’Italia, Paesi etruschi, mentre andava maturando il suo capolavoro, L’amante di Lady Chatterley, che vedrà la luce tre anni dopo.

Capri ancora una volta si manifestava come un ambiente difficile per un genio mistico come Lawrence, un “fanciullo fremente e insofferente di brutalità e falsità”. L’isola sembrava compendiare per l’artista quelle oscurità che alimentano le tensioni tra uomini e donne, che furono il dramma della sua vita, ma dalle quali seppe trarre ispirazione per grandi creazioni. Anche se quello che resterà più impresso a quanti ebbero modo di conoscerlo di persona a Capri, resterà il «candore dei suoi occhi azzurri, inalterato anche in fondo alle orbite scavate dall’etisia».

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