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Malaparte, Napolitano, Capri e non solo

di Rossana Arzone

 

«Non appena finivo di lavorare andavo a trovarlo all’hotel Quisisana, che era il suo posto di incontro preferito, tanto più che aveva un flirt con la moglie del direttore… Da lì tornavamo a piedi alla sua villa di Capo Massullo, attraverso uno degli itinerari più pittoreschi dell’isola, che da un golfo passa all’altro… ». È il gennaio 1944, siamo a Capri e a parlare così è Giorgio Napolitano che ricorda come, appena diciannovenne, conobbe Curzio Malaparte. L’intervista al nostro Presidente è contenuta nella corposa biografia Malaparte, vies et légendes, edita in Francia da Grasset, e nata dalla penna di Maurizio Serra, scrittore e ambasciatore presso l’Unesco oltre che autorevole studioso della cultura degli anni tra le due Guerre. In quell’anno Napoli aveva subito numerosi bombardamenti, e parte della famiglia di Napolitano era sfollata a Capri. Il futuro presidente della Repubblica aveva maturato i suoi primi interessi culturali all’interno di un gruppo di amici universitari napoletani tra i quali Raffaele La Capria, Giuseppe Patroni Griffi, Franco Rosi, Luigi Compagnone, Massimo Caprara, e proprio quest’ultimo era il direttore di una rivista, Latitudine, a cui Napolitano collaborava. «Ebbi allora l’idea – ricorda Napolitano – di andare a farne omaggio a Malaparte … che ci incoraggiò ad andare avanti». La rivista però non continuò, ecco che allora «decisi di fare la mia prima esperienza di lavoro in una branca della Croce Rossa americana a Capri, che era diventata un campo di riposo per l’aviazione degli Stati Uniti. Questo mi diede l’occasione di incontrare spesso Malaparte, praticamente ogni giorno fino all’autunno del ’44, quando le nostre strade si separarono (…). Con me si dimostrò molto disponibile. Ne ero tanto più colpito che, mentre tutti lo conoscevano poco e alimentavano la sua fama di eccentrico, egli era in realtà naturalmente riservato, e partecipava poco alla vita locale. (…) La sua conversazione era straordinaria, brillante. Non avevo ancora diciannove anni ma riuscivo a rendermi conto che esagerava ad ogni momento: restava comunque indimenticabile». Un apprezzamento che anche Malaparte seppe ricambiare donando a Napolitano la prima edizione del libro Kaputt con una dedica che recitava «A Giorgio Napolitano che non perde mai la calma, nemmeno durante l’Apocalisse», con riferimento alle devastazioni di Napoli. Ma le 630 pagine della biografia malapartiana sono una vera miniera di molti altri inediti che aiutano a capire le sue opere letterarie e le sue caratteristiche umane. Dalla biografia di Serra esce anche il profilo di un uomo interprete profetico della decadenza dell’Europa di fronte alle nuove potenze e del declino delle ideologie di massa e, in questo senso, quindi modernissimo. «Penso davvero – scrive l’autore – che con la distanza data dal tempo il personaggio Malaparte venga a perdere quei cliché istrioneschi con cui a lungo lo abbiamo identificato, e ad acquistare una dimensione molto solitaria, quasi ascetica, addirittura, direi, minerale». Intellettuale, scrittore, esibizionista, affabulatore, uomo camaleontico e controverso, criticato ed amato allo stesso tempo, apprezzato forse di più all’estero che in Italia, sicuramente personaggio complesso come solo l’intelligenza può essere, Malaparte fu un uomo tanto celebre in vita quanto dopo la sua morte fu circondato dal silenzio. Eppure i suoi libri Kaputt e La pelle sono tra i libri italiani più tradotti e letti ancora oggi nel mondo. 
Kurt Erick Suckert, vero nome di Curzio Malaparte, amava molte cose: il cinema, il teatro, il giornalismo, la libertà, se stesso e la sua bellezza, e tra i tanti luoghi che conobbe amò particolarmente Napoli («Non è una città – disse – è un mondo») e Capri. L’amore di Curzio Malaparte per l’isola iniziò nel 1936 quando andò a trovare il suo amico Axel Munthe e ne rimase entusiasta. Tanto entusiasta da volere costruirsi una casa. Acquistò da un isolano un pezzo di terra a picco sul mare in una posizione ineguagliabile proprio in faccia ai Faraglioni e fece di quella casa un capolavoro del Razionalismo italiano. Ecco come la ricorda Giorgio Napolitano nella biografia di Serra. «Bisognava arrampicarsi su una scala scavata nella roccia di oltre cento gradini, ma lui non restava mai a corto di fiato, e infine arrivavamo a “Casa come me”: a questo ingresso straordinario, come in una barca, che dava sui grandi saloni arredati con mobili finlandesi allora d’avanguardia, e quindi alla sua scrivania con la macchina per scrivere di fronte all’immensa vetrata sui Faraglioni, i tre scogli che sono forse i più suggestivi di tutto il Mediterraneo».

 

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