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Nel nome del Santo

Le feste in onore di San Costanzo e Sant’Antonio. Tra fede e folklore

di Salvatore Borà

 

 

 

 

 

Tra maggio e giugno le colline dell’isola si ammantano di un vivo colore giallo e si avverte nell’aria il forte e dolciastro odore delle ginestre misto al delicato profumo delle rose.
è questo il tempo in cui si manifesta anche in tutta la sua pienezza la devozione religiosa degli isolani verso i loro santi protettori: San Costanzo a Capri (il 14 maggio) e Sant’Antonio ad Anacapri (il 13 giugno). Festività vissute entrambe con grande fervore e partecipazione. Una devozione, quella verso San Costanzo, che affonda le radici a prima dell’anno Mille, quando le incursioni saracene interessarono tutto il bacino del Mediterraneo.
La tradizione agiografica, molto discussa in mancanza di fonti certe, ci tramanda che il vescovo Costanzo, verso l’anno 677 d.C., mentre faceva ritorno a Costantinopoli su una nave a botte (chiamata buxio), dopo aver combattuto in Occidente l’eresia del monotelismo voluta dalla sede bizantina, si sia fermato a Capri durante una tempesta unitamente ai suoi discepoli Sergio e Giorgio. Qui avrebbe svolto opera di apostolato tra la gente diffondendo ancor più il cristianesimo e qualche tempo dopo, sfinito dalla malattia, sarebbe morto. I suoi resti, seppelliti nella basilica a lui dedicata, avrebbero protetto l’isola dalle incursioni saracene tanto che in seguito fu proclamato Santo Protettore.
Tra i miracoli a lui attribuiti e narrati nel Sermo de Transitu Sancti Costantii redatto nel 1137 dal monaco Marino da Sorrento del Convento di San Severino e Sossio di Napoli vi è quello compiuto nell’anno 991 quando, scatenando una furiosa tempesta, impedì lo sbarco sull’isola dei corsari guidati da Boalim che avevano già assalito Amalfi, razziato l’isola dei Galli e tentato uno sbarco a Ischia.
Il suo culto si diffuse anche nei dintorni.
Nella penisola sorrentina sono stati a lui dedicati un monte e una chiesa. A Ischia, la festività coinvolgeva la popolazione che veniva ogni anno a Capri in processione via mare per rievocare le glorie del Santo taumaturgo. In suo onore era stato eretto un oratorio nella zona di Barano e sul monte che ancora porta il suo nome si possono vedere i ruderi del «monasteri…: sancti Costantii» eretto dai Benedettini nel 1036 come attesta un documento dell’epoca. A Capri la sua immagine è stata scelta come stemma sul gonfalone della città e il suo culto, ancor oggi profondamente radicato nella popolazione, si perpetua con un rito quasi immutato.
Ciò rivela che questo, fin dal suo sorgere, è stato per tutti gli abitanti un elemento altamente unificatore e preponderante tra tutte le altre devozioni, incidendo fortemente nelle vicende dell’isola anche in relazione alle tradizioni civili e religiose, superando nel tempo le molte controversie clericali sul percorso processionale esposte nelle Dolorose querele del canonico Santaniello.
Anticamente, una settimana prima del 14 maggio, tra il suono delle campane e lo sparo dei mortaretti, veniva innalzato, tra l’ex Cattedrale e Palazzo Cerio, un quadro raffigurante il Santo che scaccia i Saraceni dall’isola. Ancor oggi la Piazzetta viene illuminata con luci multicolori e viene allestito un palco dove la sera della festa una rinomata banda musicale intrattiene il pubblico suonando brani scelti di musica lirica e il tradizionale “canzoniere napoletano”. Intanto nella ex Cattedrale, la vigilia e prima dei vespri solenni, viene esposto sul lato sinistro dell’altare maggiore, tra fiori e candele, il simulacro del Santo che durante tutto l’anno viene custodito, ma visibile, in una grande teca presso la sacrestia.
Il busto d’argento scolpito è attribuito all’architetto Domenico Antonio Vaccaro. Risale al 1715 quando i fedeli con il loro contributo e su interessamento del vescovo Michele Gallo Vandeneyde vollero sostituirlo a quello in legno dorato di antica e semplice fattura. Fu in quella occasione che la mitra vescovile venne ornata con pietre preziose rinvenute negli scavi di Villa Jovis, mentre nella fibula che lega il piviale è conservato un frammento osseo del suo ginocchio.
Un’altra reliquia è posta in una teca nel paliotto di marmo dell’altare dedicato al Santo che si trova nel transetto di sinistra della Cattedrale. Quella più importante, dal punto di vista storico e artistico è inserita in un reliquario di legno dorato del XIV secolo, visibile in sacrestia. La teca, opera pregevole del maestro orafo di Napoli Simone da Siena, contenente la reliquia, è detta “degli struzzi”: simboli presenti nello stemma del re Luigi d’Angiò-Ungheria che a suo tempo ne fece dono ai Certosini di Capri.
L’esposizione del Santo viene ancora oggi seguita con ansia e curiosità da parte dei fedeli che aspettano di leggere sul suo viso tristi o felici presagi. La mattina del 14 viene celebrato, alla presenza dell’Arcivescovo di Sorrento e di tutto il Capitolo, il solenne pontificale durante il quale viene dispensato il sacramento della Cresima. Nel pomeriggio ha luogo la processione che dopo un breve giro per le vie del centro, scende per via Acquaviva per raggiungere Marina Grande. Questo tradizionale ed artistico rito ebbe inizio nel 1560 quando il simulacro del Santo e la sede vescovile furono spostati da Marina Grande alla cattedrale di S. Stefano, dando origine così alla consuetudine di riportarlo nella primitiva sede il giorno della sua ricorrenza. Apre il corteo una banda musicale seguita da un lungo gonfalone amaranto a forma di vela, forse in ricordo della venuta del Santo sull’isola. Seguono varie Confraternite. La più antica è quella di San Filippo Neri in tunica bianca e mozzetta rossa. Segue un crocifisso con i chierichetti in tunica rossa e cotta bianca, infine tutto il clero che reca in mano ceri accesi e il Santo Patrono portato a spalla dai giovani confratelli della San Filippo Neri. Immediatamente dietro sfilano il Sindaco e la Giunta cittadina con lo stendardo retto da un vigile urbano.
Altri vigili urbani, in alta uniforme, stanno ai fianchi del simulacro unitamente ad altri militari delle forze armate con le rispettive autorità. Segue poi la moltitudine dei fedeli.
Dai balconi e dalle terrazze delle case i devoti, al passaggio del Santo, fanno piovere sulla sua statua petali di rose e fiori di ginestra, chiamati qui “fiori di San Costanzo”.
Lungo tutto il percorso si intensifica lo sparo di mortaretti che raggiunge il suo culmine a Marina Grande, dove si unisce il fischio delle sirene dei vaporetti in sosta nel porto. La processione attraversa tutto il borgo marinaro e dopo l’ultimo tratto di via Cristoforo Colombo, raggiunge la piccola chiesta bizantina.
La sera vengono sparati magnifici fuochi d’artificio riprendendo l’antica tradizione portata avanti fino ai primi anni del Novecento da Giovanni detto “Cicione” che Edwin Cerio aveva soprannominato “pirocrate” e “cronocrate” di Capri perché era anche addetto al controllo dell’orologio della Piazzetta.
A Marina Grande il Santo sosta per far ritorno a Capri la settimana seguente. Dopo le funzioni religiose la processione percorre la carrozzabile in senso inverso, passando per la località Due Golfi, per via Roma fino all’ex Cattedrale.
Anche se San Costanzo è stato ed è patrono di tutta l’isola, gli abitanti di Anacapri dal 1718 hanno voluto mettere la loro “terra” sotto la protezione di Sant’Antonio da Padova che si festeggia il 13 giugno. Il culto del Santo è antichissimo e la sua effige è riprodotta in varie cappelle delle chiese dell’isola. Una vecchia stanza con un suo quadro, punto di sosta dei marinai che scendevano alla marina, è diventata la chiesetta che si può vedere quasi alla fine della cosiddetta Scala Fenicia all’inizio del territorio di Anacapri. L’immagine più antica è riprodotta nella tavola cinquecentesca che lo raffigura insieme alla Madonna della Libera e a San Michele Arcangelo nella prima cappella a sinistra dell’ex Cattedrale di Santo Stefano di Capri. Una settimana prima dei festeggiamenti, le strade principali e il sagrato della chiesa di Santa Sofia vengono illuminati da file di lampadine multicolori.
Anticamente la chiesa veniva addobbata con ricchi drappi.
La sera della vigilia, dopo l’esposizione solenne del Santo e con l’intervento dell’Arcivescovo, hanno luogo i vespri durante i quali i ragazzi ricevono la loro prima Comunione.
La mattina del 13 il suono delle campane e lo sparo dei mortaretti annunciano l’inizio dei festeggiamenti.
I balconi delle case sono addobbati con fiori e drappi e le strade adiacenti la Chiesa pullulano di bancarelle che espongono dolciumi, giocattoli, chincaglierie, articoli da regalo e per la casa.
Durante il solenne pontificale celebrato con tutto il clero dell’isola vengono impartite le Cresime.
Il momento culminante della festa è la processione che si svolge nel pomeriggio e coinvolge tutta la popolazione in uno spettacolo di fede e di folklore. I ragazzi della prima Comunione aprono il corteo seguiti dalle Figlie di Maria in veste bianca e velo celeste. Seguono le varie confraternite e il Santo che passa in una nube di incenso, di profumi e di canti per le strette strade stipate di fedeli, mentre le campane suonano a distesa. Miriadi di mortaretti solcano il cielo, mentre dai balconi scende una pioggia di fiori di ginestra che qui chiamano “fiore di Sant’Antonio”. Seguono il gruppo di autorità in forma ufficiale e un corte interminabile di fedeli.
Una delle più belle attrattive è il gruppo degli “angioletti” che precedono il Santo: bambini vestiti con tuniche celesti. Vuole la leggenda che Gesù, nelle sembianze di bambino sia volato e si sia posato sul braccio di Sant’Antonio vivente, mentre pregava il Bambino e sua Madre. Tale episodio viene rievocato a piazzetta Boffe dove un angioletto fatto scorrere su un filo va incontro alla statua del Santo. L’altro gruppo che si fa notare è quello dei “monacelli”: ragazzini vestiti con saio e cordiglio che portano in un canestro un piccolo pane benedetto, detto “pane di Sant’Antonio” o “pane dei poveri” in ricordo della distribuzione che ad essi si faceva.
Molte personalità e scrittori hanno raccontato la festa di Sant’Antonio di Anacapri, da Axel Munthe ad Amedeo Maiuri, da Fortunato Depero a Francesco Alberio, il poeta dialettale anacaprese il quale in una delle sue poesie estemporanee non manca di sottolineare l’addobbarsi delle donne in occasione della festa: «Tutte le zitelle – per farsi più belle – con merletti e ziarelli – si attuppano le gonnelle ». Passando poi all’aspetto gastronomico in occasione della ricorrenza, scriveva: «E per la gran devozione – si deve fare un buon boccone » riferendosi alla preparazione dei piatti forti e tradizionali della cucina locale: maccheroni e “pettolelle”, “cazzarielli”, ravioli e agnolotti, galline imbottite, polli e conigli alla cacciatora, quaglie con piselli, capretto al forno e pesce scelto in umido. Il tutto innaffiato con generoso vino locale e scorpacciata finale di “cerase carnamele”, autentica specialità dell’agricoltura caprese. I festeggiamenti si chiudevano e si chiudono con il tradizionale concerto musicale in piazza Diaz.

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