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Nel segno della modernità

Fondali marini e visioni cosmiche, figure taurine e immagini di donne. Sono le tele astratte di Raffaele Castello, il pittore caprese allievo di Klee  e amico di Ungaretti

di Ludovico Pratesi

 

 

 

 

La sua pittura era nata tra i Faraglioni e le marine, ai tavolini in Piazzetta dopo gli incontri con i personaggi che animavano Capri negli anni Cinquanta, da Alberto Moravia a Roger Peyrefitte, da Curzio Malaparte a Jean Paul Sartre. Ma il più grande estimatore del talento di Raffaele Castello (1905-1969), considerato dalla critica uno dei padri dell’astrattismo italiano, è stato il poeta Giuseppe Ungaretti che aveva definito i suoi dipinti «fili lievi e taglienti, quasi avvolti di arcobaleno, trame di un tessuto per il sofà delle Uri». Un tessuto che l’artista comincia a tracciare fin da giovanissimo, quando inizia a frequentare il cenacolo del pittore Otto Sohn-Renthel, che riuniva un piccolo gruppo di artisti tedeschi ad Anacapri. Ed è lì che Castello, unico italiano ammesso alle riunioni, si avvicina ai linguaggi innovativi delle avanguardie europee, così lontani dalla dimensione paesaggistica della pittura caprese, ancora ispirata alla tradizione ottocentesca. Consigliato dal suo Pigmalione, a ventiquattro anni Castello abbandona Capri per incamminarsi nelle strade d’Europa. La prima tappa è Varsavia dove arriva per seguire i corsi di pittura di Henryk Stazewsi, e poi Düsseldorf dove frequenta personaggi del calibro di Paul Klee, Oskar Schlemmer, Laszlo Moholy- Nagy e Walter Gropius.

A contatto con maestri di tale livello la tavolozza di Castello si affina sempre più, e i suoi dipinti si caratterizzano per uno stile astratto morbido e lirico, nutrito di suggestioni costruttiviste ma aperto anche a visioni di matrice surrealista. Dopo Düsseldorf Castello si sposta a Parigi: in tasca ha una lettera di presentazione per incontrare Piet Mondrian, firmata da Malevic. Al primo contatto il pittore olandese non si presenta perchè malato, ma il giorno dopo è già nella hall dell’albergo dove risiede Castello, riempie di lodi i suoi quadri e promette di introdurlo nell’ambiente artistico parigino, dove l’artista caprese incontra Robert Delaunay e Vantongerloo. Sono anni intensi per il suo lavoro, e fecondi di frequentazioni, anche grazie alla vicinanza con il circolo di artisti che fondano la rivista Abstraction et Crèation, punto di riferimento per i pittori astratti dell’epoca. Nel 1934, dopo l’ascesa di Hitler e il trionfo del nazismo, abbandona la Germania e decide di tornare in patria, dove avrà un momento di notorietà nella capitale grazie ad una mostra personale alla galleria di Anton Giulio Bragaglia, ma l’adesione all’astrattismo negli anni del “ritorno all’ordine” lo pone in una posizione appartata rispetto al clima culturale del tempo. Torna a vivere a Capri dove si riconcilia con una figurazione espressionista, vicina al tratto energico e vitale di Picasso. Dipinge figure femminili e animali, quasi a voler sottolineare il ritorno alla dimensione primitiva e agreste dell’isola. Frequenta soprattutto scrittori e poeti, e stringe un forte rapporto con Ungaretti. Soltanto oggi, dopo più di quarant’anni dalla sua scomparsa, è possibile rileggere il senso dell’avventura di Castello, grazie ad una serie di mostre antologiche che hanno rivelato la forza di una pittura capace di unire la vitalità del Mediterraneo con le linee precise e rarefatte dell’arte nordica.

 

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