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Odissea caprese

I luoghi dell’isola come scenario delle imprese di Ulisse e degli eroi dell’antica Grecia. Un itinerario tra mito e realtà

di Renato Esposito

 

 

 

 

Nessun eroe greco più di Ulisse è vivo e presente nella storia di Capri. Riscoprire le tracce della sua Odissea nell’assoluto e panico paesaggio caprese può trasformarsi per l’inconsapevole turista in un iniziatico viaggio nel mito di Capri.

Ammirando le isole del golfo il più grande poeta tedesco, Johann Wolfgang Goethe, sentì nel suo animo «viva la parola di Omero ». Nel suo capolavoro Viaggio in Italia descrive il suo omerico naufragio al largo di Punta Masullo. Ritornando dalla Sicilia, la notte del 14 maggio 1787, il poeta attraversa con la sua nave le bocche di Capri. All’improvviso un inquietante “bafuogno” spinge la nave verso gli scogli al di sotto dell’Arco Naturale. A bordo scoppia il panico, i passeggeri s’inginocchiano e pregano. Dalle montagne scendono vocianti pastori che con le loro donne sono pronti a saccheggiare la nave. Quando già il divino Wolfgang è rassegnato a cadere sotto i colpi dei selvaggi caprioti un apollineo vento respinge la nave verso il largo. Edwin Cerio con sottile ironia ipotizzerà: «Siamo sicuri che le sirene capresi non sono altro che bellissime donne dell’isola che adescano i marinai sugli scogli per poi ucciderli e saccheggiare le navi?». Così si capisce come l’omerica Anthemoussa, ovvero il prato fiorito coperto da ossa, diviene l’isola su cui giacevano le Sirene ovvero Capri.

Senza dubbio il racconto di Goethe influenzò l’immaginario dei tanti Wandervögel tedeschi, artisti che dopo la scoperta della Grotta Azzurra popolarono le stanze e i tetti dell’albergo Pagano.
Capri divenne l’ideale scenario del mito dove raffigurare le imprese e gli eroi dell’antica Grecia. Con il motto “Risorgi Omero” al Pagano si formò il circolo degli Odissei che decantarono e rappresentarono la “Zauberinsel”, l’isola del mito.

Il grande pittore e disegnatore Friedrich Preller illustrò il viaggio dell’eroe di Itaca nella divina armonia del paesaggio caprese. Nella sala consiliare del Comune di Capri sono esposte le sedici litografie che rappresentano l’Odissea caprese di Ulisse dono del museo di Weimar.

Nel 1872 Preller ideò trenta xilografie che illustrarono l’edizione della Homer’s Odyssee dell’editore Alphons Dürr. Ancora adesso nei gymnasium tedeschi si studia l’Odissea con le illustrazioni di Preller rivivendo le imprese di Ulisse con lo sfondo di Marina Piccola e dei Faraglioni, nelle selve del Pizzo Lungo o della Grotta di Matermania. Suo figlio, Friedrich Preller il giovane, continuò l’opera del padre e illustrò sia l’Iliade che i miti dell’antica Grecia con gli scenari capresi. Si scopre così che Achille piange Patroclo sulle spiagge di Mulo e Orfeo perderà per sempre la sua Euridice all’ombra dell’Arco Naturale. Capiamo così perché la stradina fino al belvedere del Pizzo Lungo era indicata sulle guide turistiche fino agli anni Cinquanta come via Polifemo. Lo stesso Pizzo Lungo aveva la denominazione di Sperone di Polifemo o dito di Polifemo. Il sentiero che s’inerpica fino alla Piazzetta delle Noci conduceva alla caverna del gigante. Secondo la fantastica ricostruzione di Preller, Ulisse e i suoi compagni accecarono con lo sperone di roccia (il Pizzo Lungo) Polifemo che pazzo di dolore arrivò fino al costone di roccia per scagliare contro le navi di Odisseo in fuga massi giganteschi. Nacquero così (potere della fantasia!) i Faraglioni: Scopolo, di Mezzo e Stella.

Lo stesso Arnold Böcklin, che nell’Ottocento dipinse la famosa Isola dei Morti probabilmente ispirandosi al Monacone di Capri, subì l’influenza della mitica pittura di Preller.

Risalendo su per gli scalini tra la roccia s’ammira in tutta la sua geometrica bellezza Villa Malaparte. Lo scrittore e l’architetto Adalberto Libera la idearono come un vascello greco che naviga nel Mediterraneo. Quando il regista francese Jean Luc Godard, nel 1963, diresse Le Mempris (Il disprezzo) con Brigitte Bardot e Michel Piccoli ebbe la stessa intuizione. Il film racconta le vicende di una troupe cinematografica guidata da Fritz Lang che arriva a Villa Malaparte per girare l’Odissea.

La scena della Bardot che nuota nuda tra gli scogli di Punta Masullo è senza ombra di dubbio la scena più sensuale della cinematografia caprese degna delle più belle sirene preraffaellite.

Inerpicandosi su per la stradina sommersa dalla macchia mediterranea si giunge alla Grotta di Matermania. Friedrich Preller raffigura Ulisse che in balia delle onde viene salvato da una divinità del mare, Leucotea.
C’è da ritenere che i legami tra la Grotta di Matermania e i culti dedicati a Leucotea abbiano radici molto profonde.

All’origine questa divinità è Ino che viene punita da Zeus per aver allevato Dioniso. Impazzisce e trova la morte lanciandosi nel mare con suo figlio in grembo. Gli dei s’impietosiscono per il suo tragico destino e la trasformano in una Nereide: Leucotea. Nell’antica Roma diventa Matuta, dea del mattino e dell’aurora celebrata l’11 giugno dalle donne sposate. La religiosità popolare isolana continuò questo culto.

Per tutto l’Ottocento, le coppie capresi dopo aver festeggiato le nozze si recavano con gli invitati in pellegrinaggio in questo ninfeo che veniva chiamato dagli isolani Grotta del Matrimonio. Tutti auguravano agli sposi prosperità e figli maschi.

A Capri il sacro e il profano molte volte si confondono. Leucotea, ovvero Matuta, nella cultura popolare diventa Stella Maris: la Madonna dei Marinai. Da anni, alla fine d’agosto la Conchiglia organizza nella Grotta di Matermania il “Concerto all’aurora” con musica del maestro Simonpietro Cussino. Quando il sole sorge tra gli isolotti dei Galli (così chiamati in onore delle sirene alate) e invade con la sua luce il buio della grotta per pochi attimi l’eros diventa pura bellezza, la musica armonia dell’anima.

Arrivati all’Arco Naturale, stanchi e felici, ci sembrerà di percepire il dionisiaco soffio vitale dell’isola, di intravedere il genius loci che si nasconde tra i mirti e i ginepri, l’ombra di Pan che si confonde nelle rocce.

 

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