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Usanze, consuetudini e cerimonie che hanno accompagnato questo rito sull’isola

di Salvatore Borà

 

 

 

 

 

Sguardi furtivi scambiati in chiesa, incontri occasionali durante le feste religiose, oppure tra i campi al tempo della vendemmia o della raccolta delle olive. Anticamente la scintilla dell’amore tra due giovani a Capri scoccava così. Sovente si sfuggiva al controllo della mamma per scambiare due chiacchiere di nascosto all’angolo della casa, dietro il muro del giardino o durante il percorso per attingere l’acqua alla fontana. Quando poi una coppia pensava che il loro amore fosse consolidato, il fidanzamento ufficiale aveva luogo dopo a’mbasciata cioè dopo che i genitori del futuro sposo si recavano a casa della promessa per chiederne la mano.

Era il primo approccio tra le due famiglie che così facevano conoscenza, se già non si conoscevano, e incominciavano a stabilire “i patti” basati sul principio che “alla donna doveva provvedere il marito”. Seguivano poi le promesse e gli accordi di eventuali lasciti di fabbricati, di terreni agricoli o di denaro. Allo sposo comunque toccava l’onere di arredare la casa con il mobilio.

Spettava invece alla famiglia della donna approntare il “corredo” che poteva essere formato da dodici, ventiquattro, trentasei capi secondo le condizioni economiche.
Questo comprendeva lenzuola, camicie da notte, biancheria intima, tovaglie da tavola o asciugamani per il bagno che potevano essere di spugna o di filo ricamate in famiglia, trapunte di cotone lavorate a mano e coperte varie decorate all’uncinetto. Alla raccolta di questi capi si attendeva per anni e venivano a poco a poco raccolti e custoditi nella sospirata cascia.

Otto giorni prima del matrimonio la suocera e le comari si recavano in casa della sposa a visionare il corredo. A questa cerimonia presenziava la prima sorella del padre della sposa e in tale occasione veniva offerta “la guantiera di dolci”, ma anche “tarallucci e vino” secondo le diverse consuetudini.

Non mancavano espressioni piccanti durante la stima dei capi del corredo riferite particolarmente ad esaltare gli attributi genitali, come ad esempio: “…e beneritta sia la…” e “…beneritto sia lu…”.

Sposa “senza camicia” era la ragazza che contraeva matrimonio senza dote potendo offrire allo sposo solo la sua giovinezza e la sua bellezza.

 

Fiori d’arancio e cascettino

Il giorno del matrimonio lo sposo, in abito nero e foulard rosso intorno al collo, si recava a casa della sposa, accompagnato dalla mamma, si intratteneva con gli invitati e infilava all’occhiello delle loro giacche un rametto di fiori d’arancio. Offriva quindi alla sua promessa il “cascettino” contenente alcuni oggetti d’oro: un paio di orecchini, un laccio con fiocco, un braccialetto e una spilla. La sposa, intanto, in abito bianco, con i fiori d’arancio intorno alla fronte e l’ampio velo di tulle, rendeva omaggio alla futura suocera inginocchiandosi e baciandole rispettosamente la mano.

Questa scena è brillantemente riprodotta in un dipinto di Alexandre Sain che, insediatosi a Capri nel 1865, riuscì a registrare con molta precisione una serie di aspetti peculiari della vita e dei costumi locali.

Formatosi il corteo si recavano tutti in chiesa dove veniva celebrato il rito religioso.

La sposa era portata sottobraccio dal padre con accanto la “comare” di cresima preceduti spesso dal gruppo di quattro musicanti: un violino, due chitarre, un clarinetto e da una ciurma di ragazzini in giubilo pronti a raccogliere confetti e monetine che unitamente a petali di fiori, coriandoli e riso, raccolti in apposite guantiere, la gente lanciava sulla sposa al suo passaggio. Facevano parte del corteo ragazze in costume che battevano il tempo della musica con tamburelli e dietro la schiera degli invitati in abito da festa.

Gli uomini portavano panciotti, cappelli rigidi a bombetta, abiti confezionati con stoffa nera pesante. Particolarmente avvenente era l’abbigliamento femminile: ampie gonne fino alle caviglie e strette in vita per dare risalto al busto prosperoso e grandi fazzoletti annodati al collo. Vestitissimi e decorosi anche i bambini.

Spesso i matrimoni venivano celebrati in casa della sposa. Quelli in chiesa si officiavano di fronte all’altare maggiore o in qualche cappella laterale secondo la devozione degli sposi.

Durante la cerimonia, il violino del gruppo musicale intonava l’Ave Maria.

Per il luogo della celebrazione dei matrimoni correva anche una leggenda molto accreditata nella tradizione popolare e riportata dalla scrittrice francese Julia Kavanagh. Nelle belle pagine capresi tratte dalla sua opera Un’estate e un inverno nelle due Sicilie (1858) scrive, infatti, che il caprese che le faceva da guida, l’aveva condotta nell’attuale Grotta di Matermania chiamandola, però, “Grotta del Matrimonio” perché, diceva, che là si erano celebrati i matrimoni di tutta la sua famiglia.
Prima del pranzo allestito in casa della sposa con dignitosa semplicità, possibilmente sotto un pergolato, venivano serviti ai convitati cioccolata e biscotti. Seguivano, poi, le varie portate: ravioli al sugo e pastasciutta tipo “ziti” così chiamata perché servita in questa circostanza (ziti= fidanzati).

I secondi erano a base di carne, pollo, salsiccia e contorni vari, il tutto innaffiato con vino casereccio a volontà. Con la torta nunziale veniva servito il vermouth; lo champagne o lo spumante sono un’usanza tarda, più moderna che pochi potevano permettersi allora.
A volte, prima del tramonto, i commensali si recavano a Tragara dove al Caffé Carmela il “compare” di matrimonio offriva a tutti un caffè ristoratore.

 

Via con le danze

Ritornati a casa della sposa si dava inizio alle danze che duravano fino a tarda ora. Gli invitati più illustri sedevano a corona intorno alla stanza unitamente ai parenti più stretti.

Gli uomini per prepararsi al ballo si toglievano le giacche restando in panciotto e in maniche di camicia, mentre i giovani in segno di rispetto mettevano dietro l’orecchio i fiori d’arancio. La madre della sposa occupava il posto d’onore vicino allo sposo, così come un posto di riguardo era riservato alla sarta che aveva confezionato l’abito della sposa. Si ballavano il valzer, la polka e infine la tarantella; si declamavano brindisi con versi poetici improvvisati e ben auguranti e si offriva a tutti del buon vino e dolci caserecci tradizionali. I festeggiamenti si chiudevano con il ballo finale degli sposi che poi si ritiravano nella loro casa dove la suocera aveva preparato con cura il letto matrimoniale e da dove ne uscivano dopo sette o otto giorni.

Il giorno dopo le nozze, però, era usanza che la sposa a conferma della sua probità e del corretto comportamento mantenuto durante il fidanzamento, esibisse allo sguardo di tutti il fazzoletto, non più immacolato, dove erano stati avvolti gli anelli nunziali regalati dal “compare di anello”, detto anche “compare di fazzoletto”.

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