02aperturaParole di luce

Volti, persone, paesaggi nelle mille sfumature del bianco e nero. È la Capri vista e raccontata dall’obiettivo di un grande fotografo ma nella sua agenda non manca mai una puntata a Capri

intervista a Ferdinando Scianna di Silvia Baldassarre

 

 

 

In oltre cinquant’anni di lavoro Ferdinando Scianna ci ha regalato fotografie di persone, luoghi e situazioni carpite in diverse parti del mondo dove ha immortalato volti e paesaggi che hanno richiamato la curiosità dell’uomo e del fotografo. Partendo dalla Sicilia, da Bagheria, attraverso l’obiettivo ha colto, con uno stile tutto suo, una realtà carica di sentimento e in grado di suscitare emozioni senza tempo. Un archivio di immagini, quello del fotografo siciliano, che ci racconta una storia lunga mezzo secolo, passata anche sull’isola azzurra. Agli scatti di Scianna sull’isola, la Fondazione Capri dedica una mostra fotografica ispirata al Mare Nostrum, quel Mediterraneo che l’ha visto nascere e che gli ha trasmesso una parte del suo modo di essere uomo e fotografo.

Cos’è la fotografia per Ferdinando Scianna?

«Una maniera di vivere, di entrare in comunicazione con il mondo e di fare entrare il mondo in comunicazione con me».

È partito da un’isola, la Sicilia, per approdare a un’altra isola, Capri. Quali sono, se esistono, le similitudini tra le due? E quali le differenze?

«La Sicilia è un continente complesso e contraddittorio. Ci ho vissuto i primi ventidue anni della mia vita. Tutte le mie passioni e le mie idiosincrasie è lì che si sono costruite, per sempre. Capri è un luogo mitico della bellezza e della cultura. Non c’è luogo di Capri sul quale non si siano posati gli occhi di molti tra gli uomini chiave del ventesimo secolo. La Sicilia per me è identità, destino, esperienza di tutto quello che amo e odio nella vita e nel mondo. Capri è festa e passaggio».

Sono stati i luoghi o le persone ad attirare di più la sua curiosità “fotografica”?

«Le persone soprattutto, la loro vita, la maniera in cui recitano nel teatro della vita. Ma il tempo mi ha insegnato che i luoghi e le persone si assomigliano molto, raccontano in maniera diversa le stesse cose».

Capri è meglio a colori o in bianco e nero?

«Non credo a queste differenze. Io in generale preferisco il bianco e nero. È la lingua che ho imparato quando ho cominciato ad esprimermi con la fotografia. Come una lingua materna. Ma ci sono cose che si possono dire soltanto, o meglio, a colori».

Parla sempre di Leonardo Sciascia come persona fondamentale per la sua vita, non solo professionale.

«Quello con Sciascia è stato l’incontro capitale della mia vita. Mi è stato padre, amico, maestro. Gli devo il meglio di quello che sono diventato».

Qual è l’immagine di Capri che più le è rimasta nel cuore?

«Un memorabile incontro con Carlo Ludovico Bragagli e quello, per me emozionantissimo, con Saul Bellow». ■

 

 

La poesia delle immagini

incontro con Irene Kung

 

Alle immagini di Ferdinando Scianna la mostra caprese, allestita nella Certosa di San Giacomo, affianca quelle di Irene Kung le cui fotografie, attraverso il bianco e nero connesso al trattamento digitale, riproducono la forza straordinaria del paesaggio e delle architetture dell’isola. Nelle immagini si riconosce la potenza dell’arte pittorica, esperienza da cui la fotografa svizzera proviene. Le sue fotografie non ritraggono mai la realtà ma evocano e suggeriscono l’essenza del soggetto fotografato, visto attraverso il filtro dell’emozione che ha provocato ai suoi occhi. «Ascolto sempre – spiega l’artista – ciò che il soggetto mi ispira e poi realizzo l’immagine togliendo quello che a mio avviso potrebbe distrarmi dall’emozione che mi ha dato. È questo che cerco ed essendo pittrice riesco ad avere la libertà di vedere le cose a modo mio».

È attraverso la tecnica digitale che la potenza dell’immagine irrompe di fronte allo spettatore. Non è contraffazione, ma una strada alternativa a quella tradizionale per elaborare le foto. Ne è convinta Irene Kung che afferma come «le due strade convivono benissimo. Sarebbe assurdo mettere dei limiti, un po’ come dire che per dipingere bene si possono usare solo i colori ad olio, mentre invece si fanno cose meravigliose con qualsiasi materiale». I soggetti sono per la maggior parte architetture scelte per la loro importanza storica, in grado – per ciò che rappresentano e per ciò che ricordano – di raccontare la storia dell’uomo. Non sempre sono i monumenti più famosi o conosciuti; sono sempre i luoghi che l’istinto di Irene Kung ha scelto seguendo il ritmo incalzante delle emozioni. È così che ha scelto Capri, o meglio «Capri ha scelto me. Quando Denis Curti, curatore della mostra, mi ha chiesto se avevo voglia di raccontare Capri – spiega – non ho potuto resistere all’opportunità di guardare meglio uno dei posti più belli al mondo. Volevo raccontare dell’atmosfera che ho percepito a Capri e per questo ho cercato le inquadrature che più mi avevano colpito». L’unicità di Capri è spesso associata al colore, ma le immagini di Irene Kung ci dimostrano che questo non è sempre vero. Il bianco e nero dona ai soggetti fotografati un’espressione astratta, quasi metafisica. «La sensazione che si ha camminando di fronte ai Faraglioni, sul sentiero in mezzo al bosco, il precipizio di centinaia di metri e in fondo, lontano, il mare è veramente unica e meravigliosa. Ho cercato di includere il mare percepito dall’alto nelle mie foto. Questa per me è l’unicità di Capri. Sono nata in montagna e adoro camminare in quota. Farlo con la vista sul mare è un’esperienza esaltante».

 

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