foto06Passioni regali

Lo scrittore Axel Munthe e la regina Vittoria: due svedesi conquistati dal fascino di Capri e legati da sentimenti comuni

di Giuseppe Mazzella

 

 

 

 

Nel 1875 Axel Munthe, il futuro medico e scrittore svedese, era in viaggio in Italia e non aveva ancora diciotto anni. Proveniente da Sorrento con una piccola barca a vela, era approdato a Capri, rimanendo folgorato dalla sua bellezza. Come in trance si era arrampicato sugli oltre settecento scalini della Scala Fenicia fino al villaggio di Anacapri. Qui era stato attratto da un povera casa contadina e dai ruderi di un’antica cappella dedicata a San Michele. Era allora entrato in un sogno ad occhi aperti: acquistare e riedificare l’antica cappella e ristrutturare la casa allora appartenente a mastro Vincenzo. Non possedeva però il denaro necessario. Tornato a Parigi, dopo essersi brillantemente laureato in medicina, aveva lavorato per oltre dieci anni senza risparmiarsi, conquistando una ricca clientela e l’apprezzamento del pioniere della neurologia, il professor Charcot. Munthe era tornato per brevi periodi in Italia: nel 1880, ad aiutare i sopravvissuti al devastante terremoto di Messina, e quattro anni dopo a Napoli, per alleviare le sofferenze della popolazione colpita da una grave epidemia di peste. Occasioni utili per tenere d’occhio mastro Vincenzo, nel timore che potesse nel frattempo vendere ad altri la “sua” casa. Nel 1887 si era finalmente stabilito a Capri, dove aveva acquistato la casa e i ruderi della cappella, lanciandosi in un’intensa attività edilizia, senza un preciso progetto architettonico. Era però aiutato dal generoso mastro Vincenzo e dai suoi tre figli nell’impresa di riedificare con le sue stesse mani «un monumento dello spirito, secondo il principio che l’anima ha bisogno di più spazio del corpo». In pochi mesi prendeva forma, pur con continui ripensamenti che portavano ad abbattere pareti appena costruite, la bianca costruzione di calce alle pendici del monte Barbarossa, che dominava sull’ampio arco del golfo di Napoli e la corona delle isole. Munthe andava però rapidamente esaurendo anche i risparmi che conservava in contanti in un calzino tenuto in un cassetto della scrivania. Su consiglio del suo amico, l’ambasciatore svedese in Italia che era andato a trovarlo, Munthe si decise di aprire a Roma, nella centralissima piazza di Spagna, uno studio medico che in breve divenne il più frequentato della capitale da parte della ricca e aristocratica clientela straniera e italiana. Durante i mesi invernali viveva a Roma e dalla primavera all’inizio dell’autunno lavorava nell’isola amata. I proventi della professione divennero in breve più che sufficienti per far fronte a tutte le necessità. Quello che inizialmente doveva essere solo un rifugio, divenne una costruzione imponente, una casa museo, arricchita da opere d’arte e preziosi reperti archeologici, di cui la zona era ricchissima, per essere stata sito di una sontuosa villa, probabilmente appartenuta ad Augusto. La cappella era diventata il suo studio, dove aveva raccolto libri e opere d’arte e un grande pianoforte. «Voglio che la mia casa sia aperta al sole, al vento e alla voce del mare, come un tempio greco, e luce, luce, luce dovunque!», scriverà con orgoglio molti anni dopo nel suo libro-testamento La storia di San Michele, che consacrerà definitivamente la sua fama di scrittore e assicurerà a Villa San Michele il futuro dell’omonima fondazione, dove ancora oggi studenti provenienti dalla Svezia si dedicano a studi storici e naturalistici su Capri. La villa si andava arricchendo di merli, di bifore e di altri elementi architettonici che trovavano la loro definitiva sistemazione grazie anche ai suggerimenti del grande artista Aristide Sartorio, che raggiungeva l’isola di tanto in tanto. Il parco di piante rare ed esotiche che circondava la dimora in un abbraccio, era abitato da sempre più numerosi cani, che il celebre medico andava raccogliendo nelle strade di Capri, e che curava con la stessa affezione dei suoi più importanti pazienti. San Michele divenne il centro di un vero movimento spirituale. Vi arrivavano da ogni parte del mondo scrittori, pittori, filosofi, monarchi, alla ricerca della felicità e della salute. Munthe era ormai considerato maestro di veri prodigi di guarigione, curando non solo il corpo dei suoi pazienti, ma anche l’anima. Egli era anche profondamente convinto delle qualità terapeutiche del clima e dell’atmosfera di Capri. Tra la sua vasta e importante clientela, poteva annoverare dal 1892 l’incarico di medico personale della principessa di Svezia, Vittoria Friedrich von Baden, sofferente di tubercolosi e di una dolorosa atrofia delle mucose. Divenuta regina, dopo aver sposato re Gustavo di Svezia, i suoi mali si erano accentuati e Munthe le aveva consigliato di passare i mesi invernali a Capri. La regina, dopo un’iniziale esitazione, decise di trasferirvisi nell’autunno del 1910. Quando sbarcò, fu accolta con tutti gli onori dalle autorità e da un foltissimo gruppo di isolani che la accompagnarono in tripudio da Marina Grande all’Hotel Paradiso, dove prese alloggio. Da allora e per vent’anni di seguito, ad eccezione del periodo della grande guerra, passava molti mesi a Capri. La sua figura ormai era una presenza consueta per le strade dell’isola. Quasi ogni mattina si recava a San Michele. Poi, accompagnata dal suo medico, faceva lunghe passeggiate per le vie dell’isola. La regina amava soprattutto i viottoli fuori mano, che s’inerpicavano su per le colline, da dove lo sguardo poteva spaziare su tutta quella meraviglia. Capri l’aveva ormai conquistata e Vittoria decise di acquistare una casa caprese tutta per sé. Contrariamente ad altre teste coronate che vivevano nell’isola in palazzi imponenti, scelse una modesta casa colonica su due piani. Dopo averla sfoltita appena di certe rusticità campagnole, su imitazione del San Michele, la chiamò semplicemente Casa Caprile, dal nome della zona dell’isola. La dimora bianca, esposta ad occidente, grazie all’opera di provetti giardinieri era immersa in un parco folto e appariva quasi una fortezza, con cinta merlate, finestre, alcune delle quali arricchite da sobri balconi e da un porticato. Una villa raccolta e intima che destò l’entusiasmo di Alberto Savinio, fratello del più celebre Giorgio de Chirico che, visitandola molti anni dopo, quando la regina era ormai scomparsa, così scriveva: «Aperte le grandi finestre che danno sui terrazzi. Il vento gioca con le cortine bianche, sull’ombra misteriosa delle camere. Sul limite del primo terrazzo, una tenda contro il sole vibra al vento che la gonfia. All’ombra della tenda, una poltrona di vimini, sparsa di cuscini. Una volta, seduta su quella poltrona, la regina aspettava che il consorte arrivasse dal mare». Per la verità, re Gustavo, innamorato dell’Italia e affascinato dalle sue bellezze archeologiche, non amava svernare a Capri. Anzi, arrivatovi una volta con un mare tempestoso e sotto un acquazzone, decise di disertarla definitivamente. Questo non fece scemare l’amore della regina per Capri, dove continuò a trarre beneficio dal suo clima e dalle cure del suo medico. La sua figura, elegante nei vestiti bianchi di “lana caprese”, con la quale si faceva confezionare gonne molto ampie e giacconi, si vedeva passare sempre con un cane al guinzaglio. L’amore per gli animali era un’altra delle grandi affinità che legavano la regina al medico-scrittore. Anzi lei era stata al suo fianco nell’impegnativa impresa di strappare al proprietario il monte Barbarossa, sulle cui falde ogni primavera e autunno i cacciatori facevano strage di uccelli. Grazie all’acquisto, pagato con una somma esorbitante, il monte andava a completare il grande sogno, e diventava un eden dove gli uccelli potevano liberamente sostare nei lunghi viaggi migratori. La regina Vittoria era ormai diventata di casa e gli isolani si levavano il cappello al suo passaggio e, nonostante la stretta sorveglianza dei carabinieri che si occupavano della sua persona, trascorreva giornate tranquille. Col tempo aveva anche imparato molte espressioni di Anacapri, parlando con i suoi giardinieri. La grande sintonia con la sensibilità di Munthe, fecero però nascere dei pettegolezzi, forse inevitabili in un luogo ancora troppo piccolo e provinciale qual era Capri in quegli anni. C’era chi giurava che fosse l’amante del suo medico, per il grande charme che notoriamente esercitava sulle donne; chi, addirittura, per giustificare tanta familiarità con la regina, lo diceva fratellastro addirittura di re Gustavo. Quel che è certo è che i pettegolezzi non intaccarono quella solida amicizia e l’atmosfera di serenità nella quale la regina si immergeva ad ogni inverno. «Fuggo la neve come le rondini – scriveva la regina, aggiungendo -. Se non passassi l’inverno a Capri, morirei». Ogni autunno sembrava rinascere, ritrovando entusiasmo e gusto alla vita. Verso la fine degli anni Venti, però, la salute della regina peggiorò. Su consiglio dello stesso Munthe, dovette abbandonare l’isola, recandosi prima nella sua lontana patria, dove aveva cercato di ricostruire una villa nello stile di Capri e trasferendosi poi, negli ultimi anni, a Roma. Aveva scelto di vivere nella Villa del Mandorlo, oggi Villa di Svezia, una dimora dei Parioli che aveva le finestre su Villa Borghese. A Roma Munthe continuò a curarla, fino alla fine, nel 1930, quando la regina scomparve. Anche a Roma aveva portato mobilio e quadri della sua dimora isolana, con l’illusione di continuare a vivere nel “posto più bello del mondo”, che per vent’anni le aveva dato la salute e la felicità. Alla fine degli anni Cinquanta la sua villa di Capri fu trasformata in albergo, conservando il nome originario di Casa Caprile e un po’ dell’aura della sua augusta proprietaria.

 

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