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Perché Capri?

Curiosità, ipotesi e leggende sull’origine del nome dell’isola

di Ciro Sandomenico

 

 

 

 

Associare l’incantevole isola azzurra a un bovide artiodattilo quale la capra, non è certo facile da accettare per coloro che amano Capri, attratti e incantati dalle sue bellezze naturali, dai suoi colori, dai profili sensuali delle sue coste, dai tanti richiami di un passato affascinante e tant’altro ancora.
Che quest’isola meravigliosa abbia preso il proprio nome da un animale “ossuto e segaligno” dalla “sensualità irrefrenabile e vorace e dalla fame atavica e inesorabile” qual è la capra – secondo le espressioni prese in prestito dallo storico Giuseppe Galasso – è un’informazione troppo stridente con le idee di bellezza, raffinatezza ed eleganza evocate da Capri.
Qualcuno potrebbe osservare che tante altre isole e promontori traggono i nomi da etimi zoologici analoghi: Caprara, Capraia, Caprera, tra i più immediatamente correlabili, ma immergendosi nelle profondità, per molti misteriose e oscure delle ricerche etimologiche e fonetiche, anche isole che a prima vista esibiscono nomi più dolci e gentili, come ad esempio l’Isola del Giglio, scava scava, si scopre che è anch’essa “l’isola delle capre”. Nell’antichità il suo nome era Igilum, derivato dal greco Aigílion e per allotropia da Aigilia, la cui radice greca aig- significa “capra”, almeno seguendo i percorsi etimologici consigliati da Domenico Silvestri in Capri antica, la colta pubblicazione edita da La Conchiglia.
Qualche attendibile scrittore di cose di Capri afferma invece che il nome Capri significa “l’isola delle aspre pietre” e diciamo il vero, ci piacerebbe di più, ma lo studioso non ci fornisce alcuna spiegazione di tale etimo che probabilmente deriva questa volta dal latino asper (roccia dura), modificato nel corso dei secoli da misteriose contorsioni fonetiche e anagrammatiche, in Capri, così come credeva anche Norman Douglas. Altri, con minore fantasia ma più assonanza, affermano che a Capri vi è stato un re che si chiamava Capreus.
Di certo a questi zooetimi avremmo preferito quello più poetico di Omero che denominò Capri “isola delle Sirene” in cui essendovi un prato, detto Antemusso, l’isola venne anche detta Antemussa dal poeta Apollonio nella bella descrizione del viaggio dei suoi argonauti nel Cratere partenopeo. Comunque, per la gran parte dei filologi contemporanei e moderni Capri è “l’isola delle capre”. Ma di quale capra? Ovviamente della capra selvatica, capra aegagrus della cui pelle era coperto lo scudo di Giove Egioco.
Forse sarebbe stato preferibile che a rappresentare l’isola fosse stato un robusto muflone o un elegante stambeco, se non iberico almeno alpino. Ma rassereniamoci pensando che anche le belle isole Canarie, se risuonano anch’esse di una etimologia almeno foneticamente zoonimica, vedono i loro sentieri montuosi invasi da greggi di armotragi o, se volete, capre crinite.
D’altronde amando Capri per tutto quanto è capace di donarci, anche se da alcuni tra noi riceve in cambio oltraggi paesaggistici e non solo, ricordiamo che sulla campanina di Capri – che dette al gioielliere Pietro Capuano, alias Chantecler, l’idea di un gioiello multicolore, talora impreziosito di rubini e brillanti – e originariamente sulle superfici dorate di quella che Olimpia Aprea, “madre” di una delle più famose gioiellerie di Capri, realizzò nel 1944 per essere offerta in dono dal municipio di Capri al presidente degli Stati Uniti, Franklin Delano Roosevelt, è incisa l’antica leggenda del pastorello e della capretta smarrita sulle pendici del Monte Solaro. Il rintocco di questa campana annunciò al mondo la fine della Seconda guerra mondiale, intanto la capra era entrata nel mito di Capri.
Lasciamo quindi che la capra ci rappresenti e immaginiamola come una scultura vivente, immobile sul ciglio dell’alta rupe del Monte Solaro in atteggiamento rigoroso e vigile, mentre gli occhi dorati scrutano l’orizzonte e le corna ritorte sembrano antenne che si addentrano nel cielo per coglierne i messaggi da trasmettere all’uomo, eterna creatura ingenua.

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