07Quattro ruote storiche

Si chiamava “Capri” la sportiva della Ford che spopolò negli anni Sessanta

di Giacomo Novi

 

 

 

 

 

Per prima arrivò la Cortina. Tranquilla, compassata, salvo che per una versione “cattiva” – la Lotus – che spopolò sulle piste di tutto il mondo e con la quale si misurò anche il grande Jim Clark, Poi fu la volta della Capri. Era più o meno la fine degli anni Sessanta quando la Ford lanciò sul mercato un nuovo modello di auto sportiva con il nome di una delle più famose isole del mondo.

L’Italia era uscita faticosamente dall’era postbellica e una nascente media borghesia che cominciava a disporre, più che in passato, di nuove possibilità economiche, era ansiosa di lanciarsi verso i consumi e soprattutto verso prodotti-immagine più gratificanti. Il nome scelto per la nuova vettura richiamava, nell’immaginario collettivo, un luogo di sogno per pochi ma comunque fruibile per moltissimi, magari in piccole dosi. Qualcosa di esclusivo ma che era comunque “di casa”, a portata di mano. Capri in quegli anni sfornava miti da mondo dorato, irraggiungibili ai più, ma anche nuovi eroi popolari, come Peppino di Capri che, sulla sua isola, intratteneva il bel mondo ma vendeva anche milioni di dischi sull’onda del successo assicurato da costanti presenze televisive.

L’operazione della Ford è abile: la nuova vettura fa un po’ il verso alla Mustang, la sportiva che negli Usa è andata fortissimo, ma in versione parecchio europeizzata, contenuta nelle dimensioni e con quattro comodissimi posti. Le finiture interne sono di buon livello, buoni materiali e una discreta cura del comfort che in quegli anni, su vetture di fascia media, era rara. Il lunghissimo cofano, che ricordava appunto la Mustang, era nella maggior parte dei casi tristemente vuoto. Infatti l’equipaggiamento medio prevedeva un motore di 1500 cc con architettura a quattro cilindri a V che era notevolmente più corto di un normale quattro cilindri in linea; una configurazione inconsueta su motori di questa cilindrata.

Praticamente era un otto cilindri a V diviso a metà. Il miracolo economico c’era ma bisognava sempre fare i conti con le possibilità del mercato. Questo infaticabile motore era di scarsa potenza ma praticamente indistruttibile tanto che, cosa rarissima ai tempi, fu adottato anche da altre due case piuttosto sofisticate nelle scelte: la Saab e la Matra, che equipaggiò con questa unità una coupè avanzatissima a motore centrale.

 

Dal debutto al successo

Il successo fu travolgente. La Capri consentiva a un buon padre di famiglia di togliersi “lo sfizio” a un costo accessibile, con spese di gestione ragionevoli, di fare la sua figura e di alloggiare comodamente tutta la famiglia, nonché i bagagli. Le prestazioni, quelle sì, lasciavano parecchio a desiderare. A meno di non salire con la cilindrata i cavalli erano pochini, così come modeste la velocità massima e l’accelerazione. Ci fu anche una versione “da corsa”, una sportiva vera: la RS 2600, che vinse sulle piste di tutto il mondo e che è ancora protagonista nelle gare per vetture storiche. Era considerata la macchina dei gentleman driver, ricchi signori che si permettevano di gareggiare alla pari con le scuderie ufficiali delle sportive più titolate.

Sul mercato italiano la Capri aveva alternative molto più sofisticate ma anche più costose: la Giulia GT Junior che con la sua cilindrata di soli 1290 cc la surclassava in potenza e velocità e l’elegantissima Fulvia coupè. Entrambe però erano classiche 2+2 e i posti posteriori erano, a voler usare un eufemismo, molto sacrificati, per non parlare della capienza del bagagliaio. Così la Capri durò moltissimo sul mercato, prodotta in Germania e Inghilterra in varie versioni e in varie cilindrate. Si susseguirono ben tre serie che però la resero più anonima, meno caratterizzata di carrozzeria, senza cioè quei particolari un po’ vistosi ma che erano proprio quelli che connotavano lo spirito della vettura.

La produzione, iniziata dopo il debutto al Salone di Bruxelles del ’69, andò avanti fino al 1986 e cessò dopo che erano stati prodotti quasi due milioni di esemplari. Il successo fu tale che la vettura fu esportata negli Stati Uniti dove fu venduta in quasi mezzo milione di esemplari. E pensare che era nata per traghettare al di qua dell’oceano un po’ di sogno americano, anche se notevolmente adattato alle nostre possibilità.

 

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