17Scrittore di trasgressione

Il romanziere Roger Peyrefitte scandalizzò l’Europa e amò Capri. Perché diceva: «qui regna la felicità»

di Giuseppe Mazzella

 

 

 

 

 

Vivere in piena libertà nella ”terra della trasgressione”. Questo il desiderio dello scrittore francese Roger Peyrefitte quando giunse a Capri per la prima volta. Era la primavera del 1957. Ufficialmente vi era approdato per fare ricerche e raccogliere testimonianze sulla vita e la fine ancora misteriosa del conte Jacques d’Adelsward-Fersen, avvenuta quarant’anni prima, al quale intendeva dedicare una biografia romanzata. Ma anche per sfuggire ai pettegolezzi nati dal suo mancato matrimonio con una fanciulla dell’alta società parigina e allo scandalo seguito alla pubblicazione del romanzo Le amicizie particolari, un’opera che aveva incendiato l’Europa e gli aveva procurato grande notorietà, diventando un libro cult tra gli omosessuali.

Il romanzo, pubblicato nel 1941, e poi ristampato pochi anni dopo, aveva procurato allo scrittore un processo per immoralità, da cui andrà però assolto. Scriverà più tardi: «Ho un debole, quello di amare, coltivare ed esprimere la verità. E la verità sempre punge, sempre suscita tempeste, talvolta querele. Ho avuto diversi processi, ma non ho mai perduto nei tribunali. Ciò vuol dire che la forza della verità arriva ad imporsi. è questa la ragione degli scandali, non ve ne è un’altra».

Quella storia ”dell’amore greco” tra due giovani ginnasiali finita tragicamente, ispirata a una vicenda autobiografica, aveva messo allo scoperto i possibili rischi fuorvianti di una educazione religiosa troppo rigida. A quegli anni della sua inquieta adolescenza risale la scoperta della sua stessa omosessualità, che creerà non pochi imbarazzi ai suoi familiari.

Figlio unico di una famiglia dell’alta borghesia di Castres, nel sud est della Francia, Peyrefitte era nato nell’agosto del 1907. Studiò dai gesuiti e si laureò prima in lettere e poi in scienze politiche, per intraprendere la carriera diplomatica. Come prima sede ottenne Atene, dove lavorò dal 1933 al 1938. Di quell’esperienza ci lascerà un romanzo folgorante, Ambasciate, in cui rivelerà nefandezze e perversioni dell’alta diplomazia e per il quale subirà l’ennesimo processo.

Tornato in Francia, prestò servizio al ministero dell’Interno, ma durante il governo di Vichy fu accusato di collaborazionismo ed esonerato dal lavoro, accusa poi dimostratasi infondata. Decise allora di dedicarsi completamente alla narrativa, eleggendo l’Italia a sua patria ideale e spostandosi per lunghi periodi tra Capri e Taormina. Anni prodigiosi e produttivi, una vita tesa al raggiungimento del suo libero ideale di vita, durante i quali lo scrittore creerà ben 17 romanzi.

«L’Italia mi ha stregato, scriveva. è il solo paese dove si gusta ancora la gioia di vivere. Nessun popolo ha ereditato una così solare civiltà». E Capri era l’apice di questo idillio perenne, il luogo in cui immergersi nella natura e nella totale liberazione degli istinti.

 

SULLE TRACCE DI FERSEN

L’isola azzurra dei primi anni Cinquanta era frequentata da nobili decaduti e spiriti bizzarri, coppie eccentriche impegnate a vivere la propria passione alla luce del sole. Dopo i ”capresi d’elezione” come lo scrittore scozzese Norman Douglas, il medico svedese Axel Munthe e il famoso impresario di balletti Sergej Djagilev, che avevano fatto la storia di Capri dei primi decenni del Novecento, altri personaggi la stavano invadendo, per dar vita agli effervescenti anni Cinquanta e Sessanta.

La sua presenza fu subito accettata e molti erano quelli che lo frequentavano. Passeggiava per l’isola vestito con abiti ricercati. Lo stile brillante di cui era dotato, lo faceva apprezzare da artisti e magnati che gareggiavano a invitarlo alle loro tavole imbandite. Lo scrittore, però, occupava le giornate documentandosi sul conte Fersen nella biblioteca di Casa Cerio: il vecchio Edwin, infatti, aveva conosciuto e frequentato Villa Lysis, la fastosa residenza che Fersen si era fatto costruire a Capri. Ma cercò soprattutto di parlare con quanti avessero conosciuto il conte. Ne rintracciò pochi e quasi nessuno attendibile. Molte notizie poté ricavarle, per quanto edulcorate, dalla figlia della sorella di Fersen, Gaby Capece Minutolo marchesa di Bugnano, che viveva a Napoli.

Visitò più volte Villa Lysis, da anni ormai disabitata e senza mobilio, che si trovava in una condizione di grande deterioramento. «Ora è, scriveva Norman Douglas nel 1933, come un castello in una fiaba, tutta vuota e abbandonata, ricoperta o meglio soffocata in un groviglio d’alberi… perché egli era talmente affezionato ai suoi pini, ai lecci, alle mimose, che non permetteva se ne toccasse il più piccolo ramoscello». Nel peristilio sopravviveva solo la scritta: Amori et dolori sacrum, Sacro al dolore e all’amore. Anche il giardino, al quale Fersen aveva dedicato grandi risorse economiche, era completamente abbandonato e invaso dalle erbacce. Bruce Chtawin, sull’isola molti anni dopo, visitò quel che restava della casa entrata nell’immaginario e scrisse: «Casa di sogno, dove speravano di vivere, amare e operare prodigi creativi, ma che nonostante lo scenario idilliaco erano contaminate da un’atmosfera morbosa affine a quella dell’Isola dei morti di Bocklin». Era infatti accaduto che alla morte di Fersen, gli eredi, dopo aver affittato la villa per brevi periodi e averla abitata dagli anni Trenta ai Quaranta, l’avessero venduta nel 1950 al miliardario messicano di origine armena Felix Mechaulan.

 

I GIORNI CAPRESI

La vita dello scrittore a Capri era regolata sui tempi lunghi e improntata al più puro piacere. La mattina, dopo una bella nuotata, amava farsi massaggiare da Glauco Di Bella, un bel giovane di origine siciliana che aveva imparato l’arte del massaggio a Roma e a Capri aveva messo su bottega. A lui lo scrittore aveva rilasciato una dedica molto affettuosa che teneva in bella mostra nel suo locale: «Per Glauco Di Bella, il cui nome rappresenta così bene la sua isola di Capri – glauca come il colore degli occhi di Minerva, e bella come le rocce immortali di questo luogo… e come lui». L’esule di Capri, scaturì naturalmente dalla sua penna felice e fu pubblicato nel 1959, con una introduzione di Jean Cocteau che si augurava che il libro «servisse alla gioventù per capire che la bellezza esteriore non può esistere se non controbilanciata e se la sua protervia non è esorcizzata da una bellezza interiore e da un duro lavoro; e che la giovinezza è un privilegio effimero, e non l’attributo di una forte razza contrapposta alla razza decadente dei vecchi».

Il romanzo oltre a raccontare la vita tumultuosa dell’erede di industriali tedeschi, elenca fatti e pettegolezzi storici sull’omosessualità maschile, facendone quasi un manuale. Fu proprio Peyrefitte a riscoprire e a dare dignità di racconto a quelli che fino ad allora erano solo dei pettegolezzi di paese, raccontando la tragedia umana del conte. Ne era uscito un romanzo assolutamente convincente e ricco di fascino, al punto da creare un vero mito di Fersen. Anzi il paradosso è che Fersen, è stato scritto, grazie a questo romanzo, ha infine ottenuto, come personaggio letterario, quella fama che come autore non riuscì mai a raggiungere.

Peyrefitte muore a Parigi il 5 novembre del 2000, a 93 anni, e a Villa Lysis una lapide così lo ricorda: «A Roger Peyrefitte autore de L’esule di Capri per aver esaltato e diffuso il mito, la cultura e la bellezza dell’isola nel mondo».

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