foto08Sinfonia blu

Il colore del cielo e del mare è anche quello del fiore azzurro, simbolo dell’isola

di Tullia Rizzotti

 

 

 

 

Per una singolare coincidenza l’isola azzurra e il Romanticismo tedesco hanno un simbolo in comune: un fiore azzurro. L’ideale “blaue Blume”, cantato da Novalis nel romanzo Heinrich von Ofterdingen, si concretizza nella Lithodora rosmarinifolia, ornamento delle rupi più aspre dell’isola che già ricopre in pieno inverno con le sue cascate di blu smaltato.

È rarissima, un prezioso endemismo, ma a Capri è così comune da essere chiamata confidenzialmente “Blu di Capri”. Nel romanzo di Novalis (il nome vero era Friedrich von Hardenberg) il fiore azzurro è preannunciato ad Heinrich dal racconto di un forestiero; gli appare poi in sogno, in un paesaggio di bellezza sovrannaturale, lasciandogli una nostalgia struggente per lo sconosciuto viso femminile racchiuso come un ritratto tra la corona di petali. La fanciulla esiste davvero:

al termine di un viaggio avventuroso e simbolico Heinrich riconoscerà quel viso in Mathilde, figlia del vecchio poeta Kl ingsor , e la sposerà. L’amor e di Mathilde e la saggezza di Klingsor risvegliano in Heinrich il poeta. La trama simboleggia il cammino evolutivo interiore del poeta per raggiungere e cantare l’antica armonia perduta del mondo.

Contiene tutti gli elementi cari alla letteratura Romantica: fantasia e sogno, intese come realtà “oltre” la realtà, amore per la natura, gusto del vagabondaggio e dei viaggi verso terre lontane, nostalgia per epoche e splendori passati. Il fiore azzurro diventa simbolo del Romanticismo e il cammino per raggiungerlo, fuori ma in realtà dentro di sé, elaborando le esperienze della vita, si compie attraverso viaggi avventurosi. L’azzurro è un colore mistico: è il colore del cielo e del mare, dell’infinito e della libertà interiore, dell’amore universale.

 

DIE WINTERINSEL (l’isola d’inverno)

è proprio il gusto del vagabondaggio (la Wanderlust) nell’inseguire il sogno di un’eterna primavera e i miraggi dell’antichità classica greca e romana a spingere verso il Sud per tutto l’Ottocento schiere di viaggiatori ed artisti tedeschi, soprattutto nella stagione invernale. Capri, con il suo paesaggio trasognato, spietatamente azzurro e in alcune zone sottratto al fluire del tempo, zeppo di antiche rovine, è la meta ideale. Nel 1826, ancora in pieno periodo Romantico, sono due pittori tedeschi, August Kopisch ed Ernst Fries, a “riscoprire” la Grotta Azzurra, nota da sempre agli isolani e conosciuta dal Seicento come Grotta di Gradola. La fama della grotta esce subito dai confini locali e decide la fortuna turistica dell’isola. Certo non a caso l’esplorazione era stata caldeggiata dal notaio Giuseppe Pagano, il primo ad intraprendere l’attività di albergatore nell’isola. Il suo albergo, nato nel 1821 da un’ala della sua abitazione privata, diventa mitico: posto in un antico giardino di aranci, circondato da orti e vigneti, l’Albergo Pagano è la cornice perfetta per la scapigliata bohème che vi accorre e lo rende famoso, disegnando l’arabeggiante palma del giardino in opere ora disperse nei vari musei del mondo. Capri è eletta a “Montmartre” del Mediterraneo, sede di un gioioso ritorno alla natura per una vita en plein air. Le pareti e le porte dell’albergo si trasformano in tele e tavolozze, si ornano di dipinti di paesaggi e scene bucoliche, di ritratti e caricature, prezioso lascito (e testimonianza d’epoca) di una élite geniale spesso squattrinata, raccolta in un chiasso felice attorno alla lunga tavola comune della sala da pranzo. Altrettanto chiassoso e felice è l’altro punto di ritrovo, la birreria Zum Kater Hiddigeigei, nello stile delle birrerie di Monaco e di Dresda, nota anche come Caffè Morgano dal nome della famiglia che l’aprì nel 1885 e continuò a gestirla fino al 1923. Hiddigeigei è un simpatico gatto sfaticato (Kater = gatto maschio), protagonista del poemetto parafilosofico composto dal pittore e poeta Victor von Scheffel, ospite nel 1853, ovviamente!, dell’albergo Pagano. La colonia di artisti residenti e le famiglie tedesche abituate a “calare dal nord” per festeggiare il capodanno sull’isola la trasformano fino alla vigilia della prima guerra mondiale in klein Deutschland (piccola Germania), in onore della quale l’attuale via Vittorio Emanuele si chiamava via Hohenzollern. La stagione tedesca culminerà nel primo Novecento con gli anni del travagliato pittore Karl W. Diefenbach, autore di enormi tele dal cupo azzurro oggi conservate al Museo della Certosa di Capri, e del re dell’acciaio Alfred F. Krupp, mecenate nel 1902 della vertiginosa via Krupp: un altro tuffo nel blu.

 

LA STAGIONE DI NERUDA

La stagione tedesca finisce ma i temi dell’amore, del paesaggio, della ricerca di sé e dell’espressività artistica si intrecceranno sempre sullo sfondo di Capri. Nell’inverno 1952 vi sbarca Neruda, il poeta cileno esule per l’acceso impegno politico contro le dittature. La sua Wanderlust era cominciata volontariamente, intraprendendo la carriera diplomatica per evadere da una realtà ristretta; dopo la presa di posizione a favore della Repubblica nella guerra civile spagnola viene condotta dagli eventi in un susseguirsi sempre più frenetico di spostamenti tra il Nuovo e il Vecchio Continente. L’ansia di conoscere trasforma il viaggio esteriore in viaggio interiore, negli abissi dell’io e delle radici latino-americane, e lo riversa impetuosamente nella poesia. Ricorderà Neruda: «La mia poesia non ha rifiutato niente di quanto ha potuto trascinare nel suo corso; ha accettato la passione, ha sviluppato il mistero, si è aperto il passo fra i cuori del popolo» (dall’autobiografia Confesso che ho vissuto, uscita postuma nel 1974). Nell’evoluzione del poeta, Heinrich reale dei nostri giorni, la missione irrinunciabile alla libertà non esclude l’anelito all’amore assoluto, che esiste ed ha un nome: curiosamente, Matilde. E, ancora più curiosamente, Neruda inserirà in una delle infinite poesie a lei dedicate, (Il tuo sorriso), questa strofa: «Amore, voglio il tuo riso come il fiore che attendevo, il fiore azzurro».

Neruda sbarca a Capri con Matilde una notte, nella dimensione irreale del sogno, a gennaio, la stagione dei galoppi di nubi sui cieli tempestosi degli inquietanti quadri di Diefenbach. Ne apprezza tutta la bellezza inconsueta, visita con la compagna gli angoli più reconditi dell’isola, scoprendo una terra fuori dal quotidiano, avvolta da un’aura di vitalizzante sacralità che ricorderà nell’autobiografia come «l’ultimo santuario azzurro del Mediterraneo».
Amante dei fiori (spesso aggiunge alle sue lettere il disegno di un fiore) ed appassionato naturalista, a Capri Neruda confeziona erbari e colleziona semi; canta da poeta le cascate di Lithodora sulle rupi: «Il fiore azzurro esplode/ ricamando il manto irsuto/col suo sangue celeste» (Chioma di Capri, dalla raccolta L’uva e il vento).Un’eco del “Blu di Capri” rivivrà in un altro fiore azzurro, spuntato questa volta sulle rive del Pacifico durante l’ultimo periodo di vita forzatamente lontano da Matilde, e cantato nell’Ode al fiore azzurro (Odi elementari, 1954) come «un piccolo stendardo/ di fuoco azzurro, di pace irresistibile, d’indomita purezza».

Fino ad allora Neruda e la sua donna si erano inseguiti tra l’America e l’Europa in un amore dipanato tra separazioni troppo lunghe ed incontri troppo brevi. A Capri, ospiti in Casa Arturo generosamente messa a disposizione da Edwin Cerio, hanno finalmente la possibilità di vivere insieme giorni sereni e semplici, sia pure in un Paradiso a tempo, scandito dalla durata del permesso di soggiorno in Italia concesso a Neruda (fino al 30 giugno 1952).
In Italia comincia una nuova vita luminosa e un nuovo corso poetico. Attraverso l’amore si apre la comunicazione con l’universo: il paesaggio diventa elemento fondamentale della poesia, germoglia da radici profondamente interiori, e riconduce verso l’amata in ogni aspetto della natura. Neruda scrive con slancio. Compone due raccolte: I versi del Capitano, appassionata memoria dei giorni d’amore capresi, e L’uva e il vento. Quest’ultima è il “figlio” di natura diversa con cui vuole risarcire la compagna per la dolorosa perdita prematura del loro bimbo, da poco concepito. A Matilde, con un dono che solo un poeta può fare alla sua donna, regala anche Un giorno: un giorno nato «azzurro, con un’ala bianca in mezzo al cielo. A te, amore, questo giorno/ a te lo consacro» (da L’uva e il vento).

Nella sua autobiografia Neruda scriverà: «In quel posto dalla bellezza inebriante il nostro amore crebbe. Non potemmo separarci mai più».
Malgrado i continui ostacoli l’amore infatti trionferà, e Neruda potrà sposare nel 1955 la sua “regina” dai capelli d’oro rosso, la dolce e fiera musicista cilena che identifica con la terra (In te la terra da I versi del Capitano), secondo un’antica simbologia andina. In una perfetta unione di anime Matilde affiancherà il suo compagno anche nella militanza politica, e continuerà a lottare dopo la morte di lui, nel lungo e buio periodo della dittatura di Pinochet.

 

LA DONNA-ISOLA E I SUOI GIOIELLI BLU

Non tutti gli amori “azzurri” sono a lieto fine, a Capri. Per raccogliere una pianta in fiore di “Blu di Capri”, che orna una rupe da vertigine e ricorda nel colore gli occhi dell’amata Gesine Svela, precipita dalle scogliere alla Schiappa di Monte Tiberio Edvard Skag, pittore norvegese vedi caso, di azzurri. Nella sua Flora privata di Capri Edwin Cerio racconta che, ogni anno, il cespuglio per cui Skag precipitò nell’abisso fiorisce sempre più purpureo, a ricordare quel sangue sparso per amore.

Verità o licenza di scrittore? Nelle opere di Cerio l’isola compartecipa alle vicende umane; lo spirito dell’isola azzurra vive come entità femminile invisibile ma reale, come mistica “donna amata” da difendere e proteggere. I fiori spontanei blu ne sono l’ornamento più prezioso, i gioielli naturali delle rupi, candide come una pelle di alabastro. Quando a Capri viene introdotta una pianta esotica azzurra, l’Echium fastuosum, (chi dice da Compton Mackenzie, chi da lady A. Lennox), Cerio insorge contro la rivale “da giardino” del selvatico “Blu di Capri” e, dove può, l’estirpa. Per lui l’unico gioiello azzurro dal nome esotico ammissibile era la Scilla peruviana, apparentemente dedicata al Perù, terra degli Inca: un altro fiore in qualche modo collegabile a Neruda che, nel suo Canto general del 1950, rievocava con nostalgia e fierezza la civiltà incaica. Era ammissibile perché Cerio, botanico oltre che scrittore, sapeva che questo fiore non ha in realtà nulla a che vedere con la terra degli Inca: rarissimo ma diffuso a Capri, spontaneo in poche plaghe delle sponde occidentali del Mediterraneo, deve il nome al fatto di essere giunto per la prima volta a Londra su di una nave chiamata… Perù. Classificato dal grande botanico Linneo, è stato da poco ribattezzato Oncostema peruvianum.

In tempi più recenti la campanula azzurra, la Campanula fragilis rara altrove ma copiosa in estate sulle rupi capresi, diventa davvero un gioiello, ispirando una raffinata serie di creazioni “botaniche” ad Antonella Puttini.
Arte e bellezza, uomo e natura sempre si intrecciano sullo sfondo di Capri, come l’azzurro del cielo sfuma nel mare in un’indistinta linea d’orizzonte che fugge senza sosta in avanti col progredire del cammino, a indicare mete ancora più alte da raggiungere.

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