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Una farmacia a cielo aperto

Bacche, radici, resine e foglie dalle proprietà benefiche. In cosmesi e in medicina

di Tullia G. Rizzotti

 

 

 

 

Venere, narra la leggenda, nacque ignuda dalla schiuma del mare e subito venne accolta da una macchia di mirto, dai fiori leggeri e piumosi come la spuma delle onde. E la fioritura candida del mirto spumeggia nella macchia di Capri quando già l’arsura estiva comincia a prosciugare di fiori quasi tutte le altre specie.

Sarà gratitudine della dea della bellezza, o pura coincidenza, fatto sta che dai fiori e dalle foglie di mirto si è distillata per secoli la profumata Acqua degli angeli, un segreto degno di una dea per mantenere la pelle liscia, candida e profumata.
Ma il mirto (Myrtus communis) è anche specie medicinale: già Dioscoride ne aveva individuate le proprietà balsamiche e antisettiche nelle foglie ricche di olio essenziale, utili in infuso contro le affezioni delle vie respiratorie e per curare cistiti e pieliti. La presenza di tannini conferisce anche efficacia antiemorragica e come astringente intestinale.

Per millenni la macchia mediterranea ha costituito una farmacia gratuita, a disposizione di chiunque sapesse indagare e scoprire i principi medicinali racchiusi con inesauribile fantasia dalla natura entro bacche, radici, resine, foglie, ecc. Alcune specie sono anche belle e appariscenti, degne di entrare tra le piante ornamentali dei giardini.

 

MESSAGGERI D’AMORE E DI BELLEZZA


Il mirto è stato molto amato dai Romani che nel giardino, il viridarium, prediligevano le essenze sempreverdi: la sua fogliolina elegante è per di più gradevolmente odorosa di limone. A Capri la sottospecie tarentina dalle foglie più piccole e addensate come quelle del tasso, lascito delle ville imperiali, ha continuato ad essere coltivata per secoli nei giardini della Certosa.
Per la sua storia particolare il mirto era pianta sacra, sempre presente attorno ai templi greci e romani della dea dell’amore Afrodite-Venere. Come simbolo degli amanti felici incoronava le spose romane e l’usanza venne a lungo mantenuta a Capri, isola dell’amore, prima che la nuova moda dei fiori d’arancio, a volte di Philadelphus, a volte (orrore!) …artificiali, la soppiantasse. Oggi non si usa più, ma resta il liquore delle bacche violacee odorose di mirra, una prelibatezza. E in passato la salsa di quelle bacche condiva il cinghiale arrostito di cui pare fosse ghiotto l’imperatore Tiberio. A Capri il mirto è ricordato per due colossi arborei: la “mortella di Baldassarre” tra Marina Grande e l’antica Scala di san Francesco, descritta da Edwin Cerio, e la mortella del cimitero di Anacapri, tuttora vivente.
Caro al viridarium caprese era anche il lentisco (Pistacia lentiscus), allegro nelle infiorescenze vermiglie spolverate d’oro e nelle bacche autunnali rosso lacca. Dalla corteccia incisa a bella posta trasuda il “mastice di Chio”, una resina antenata del chewing-gum: masticata, si ammorbidisce e in più profuma l’alito e rinforza le gengive. Le foglie, ricche di tannini, servivano per la concia delle pelli e per tingere in giallo le stoffe. A Capri le fronde appese davanti all’uscio hanno fama di scacciare le mosche.
L’asfodelo trasmette messaggi di amore e di bellezza come il mirto. Secondo l’antica mitologia le diafane spighe bianco-rosate dell’asfodelo erano gli unici fiori a sbocciare nel regno dei morti. Nelle pallide praterie si spinse Orfeo per ricondurne, invano, l’amata Euridice nel mondo dei vivi. Le radici ingrossate hanno acquistato l’insolita fama di far subito innamorare l’amato recalcitrante se nascoste nelle vesti. Nulla di vero. Ma comprovato il potere di schiarire le efelidi applicando la pasta delle radici pestate e di curare le ustioni solari con compresse imbevute di decotto.
Nella macchia mediterranea l’asfodelo predomina subito dopo gli incendi. A Capri sono splendide le fioriture di Asphodelus microcarpus nella conca dell’Anginola sul Monte Solaro, dove acquistano una dimensione irreale tra le brume del mattino e alla luce calda dell’alba e del tramonto, che ne accentua il rosa di madreperla.

 

SELVATICI E DIGESTIVI


Il digestivo principe resta però il Foeniculum vulgare, il finocchietto selvatico, in fiore d’estate con ombrelle gialle. Con i frutti aromatici si fa un liquore di uso comune sull’isola, il finocchietto, appunto. Bisogna però aver l’occhio esperto per cogliere il viraggio di colore che segnala il giusto punto di maturazione per la raccolta. In farmacopea all’olio essenziale contenuto nei frutti sono riconosciute proprietà digestive, antispasmodiche e antifermentative intestinali, efficaci nell’infuso che risulta anche un gradevole aperitivo. Il decotto della radice è diuretico. Al Foeniculum vulgare dei prati si affianca il finocchio delle rupi marittime (Crithmum maritimum) a fiori estivi giallo-verdastri, dalle foglie succulente ricche di sali minerali e vitamine. I frutti hanno le stesse doti del Foeniculum vulgare ma non vengono utilizzati per liquori, solo in infuso. Le foglie sempreverdi danno un tocco particolare alle insalate crude e alle salse con il loro sapore di mare, anche aromatico per la presenza di un olio essenziale. L’intera pianta fresca risulta diuretica e depurativa. Si consuma pure come verdura cotta e sott’aceto. In passato, quando sull’isola era diffuso l’allevamento, costituiva il foraggio estivo in rimpiazzo dell’erba ormai secca sotto il solleone.
A conferma che a volte la golosità racchiude un’intuizione di efficacia farmacologica, l’utilizzo dei “turioni” di asparago selvatico (Asparagus acutifolius) a primavera contribuisce a favorire una debole diuresi. I principi realmente efficaci sono però contenuti nelle radici ingrossate e carnose, al di sotto del rizoma; il loro decotto aumenta efficacemente la diuresi a cardiopatici, idropici ed obesi.
Per quanto i “turioni” (le “innovazioni” primaverili) degli asparagi siano inconfondibili, è consigliabile siano raccolti da persone competenti: sbagliarsi con altre specie è sempre possibile, e a volte l’errore può essere pericoloso.

 

INFUSI, OLII E FARINE


Vi sono poi specie dalle molte proprietà benefiche, autentiche panacee utilizzate fin dall’antichità. Il carrubo (Ceratonia siliqua), gradito alimento per gli animali nei baccelli color cioccolato e unità di peso per il diamante (il carato) con i semi di grandezza uniforme, a Capri è chiamato “sciuscella” per il caratteristico rumore dei semi che “frusciano” dentro il baccello. La pianta si riveste in autunno di vaporose fioriture dorate ed è medicinale in quasi tutte le sue parti: la corteccia dei rami, le foglie, i frutti, i semi. L’infuso dei baccelli è emolliente nelle irritazioni della gola; il decotto non filtrato della farina dei frutti è ottimo astringente antidiarroico e regola le funzioni dell’apparato digerente. Studi moderni hanno dimostrato il potere adsorbente sulle tossine delle infezioni intestinali, da cui deriva l’efficacia antisettica e antibatterica. Anche le foglie e la corteccia, ricche di tannini, hanno proprietà astringenti e antidiarroiche.
La farina dei frutti entra come componente in prodotti dietetici ipocalorici. Due manciate di farina nell’acqua del bagno hanno effetto rinfrescante, emolliente ed idratante e la gelatina semifluida ricavata facendo rigonfiare per qualche ora la farina in acqua ha fornito per secoli alla cosmesi popolare una semplicissima maschera facciale.
La “rugiada di mare”, il rosmarino, anticipa la sua natura già nel nome, Rosmarinus officinalis, apprezzato da Dioscoride, Plinio e Galeno. Il complesso olio essenziale delle foglie e delle sommità fiorite è antibatterico e balsamico, calma la tosse, fluidifica il catarro e medica le ferite con l’infuso dei rametti; contenendo anche canfora risulta efficace con impacchi del decotto per reumatismi, dolori articolari e torcicollo. L’insieme dei vari principi attivi presenti oltre all’olio (tra cui vitamina C e antiossidanti) rende il rosmarino digestivo e diuretico, stimolante della secrezione biliare, efficace contro il colesterolo, fortificante dell’organismo. Nella cosmesi ha prodotto la famosissima “Acqua della Regina d’Ungheria”. Più conosciuto oggi solo come aroma da cucina, concentra nelle foglie un sentore di incenso particolarmente intenso nella varietà strisciante sulle rupi marittime e come incenso il rosmarino era bruciato dagli antichi Greci e Romani.

SOLE E ORO
Un’altra panacea ben nota alla medicina greco-romana e oggi rivalutata da indagini cliniche e farmacologiche è l’elicriso, sole e oro come indica il nome (“helios” sole “krousos” oro) delle rupi vicino al mare. A Capri è presente con la specie Helichrysum litoreum, molto più rara dell’H. italicum diffuso invece nelle macchie e nelle garighe di tutt’Italia. Dai ciuffi argentei profumati di liquirizia e curry si alzano gli steli con le infiorescenze che non appassiscono e seccano intatte: il fiore è stato soprannominato dai popoli nordici “l’immortale” ed è simbolo di amore eterno.
Le sommità fiorite contengono anche i vari principi attivi, tra i quali un composito olio essenziale. Il campo d’azione è davvero impressionante, e una forte efficacia antiallergica tipo cortisone consente la terapia di bronchiti anche asmatiche e riniti allergiche, pertosse, allergie alimentari, emicrania, malattie del fegato. Si utilizzano decotto, sciroppo ed aerosol. Dermopatie professionali ed eritema da raggi ultravioletti richiedono l’applicazione di pomata a base di elicriso; nelle malattie reumartritiche alla pomata si abbina l’assunzione dello sciroppo. L’impacco con il decotto cura scottature, eczemi e flebiti e una manciata di fiori nell’acqua del bagno calma le pelli delicate e irritate.
A conferma del detto: dove entra il sole, o un fiore colmo di sole, non entra il medico.

 

 

ATTENZIONE A QUELLE TOSSICHE…

La macchia mediterranea, ricca di aromi, di colori e di profumi, nasconde anche l’insidia di specie velenose, che è bene conoscere, o di specie ambigue, medicinali a basso dosaggio, tossiche a concentrazioni maggiori. è il caso della ruta (Ruta chalepensis), pure così famosa come panacea universale da meritarsi a Capri il proverbio: “ruta che ogni male stuta” (ruta che cancella ogni male). Fiorisce in primavera nella macchia con mazzetti giallo-verdastri ma la si percepisce prima con l’odorato che con la vista: tutta la pianta emana un inconfondibile effluvio aspro, dovuto ad un composito olio essenziale volatile. Pochi rametti bastano ad aromatizzare la “grappa alla ruta”, digestivo diffuso dal mare alla montagna. L’olio essenziale presenta azione ambivalente, per il forte potere irritante locale: a dosi basse è digestivo e antifermentativo ma a dosi elevate induce gastroenterite e gravi infiammazioni dell’apparato genito-urinario, fino a risultare mortale per intossicazione generale. è anche antimicrobico. Un altro principio attivo, la “rutina”, sembra efficace contro la fragilità capillare e le conseguenti emorragie. Il contatto con il succo della pianta infiamma invece seriamente la pelle provocando dermatiti simili a ustioni.
Inserendo una pianta nel giardino è tradizione che si metta in fuga il “malocchio”, di certo i topi che non ne reggono l’odore. Altra specie ambivalente è l’Euphorbia dendroides, la “vavolla” caprese dalle grandi cupole inconfondibili in fiore in primavera nella macchia e sulle balze dirupate con luminose chiazze giallo-verdi. Il lattice che geme dai rami spezzati è acre e tossico, caustico e molto pericoloso sugli occhi. Ma, poiché corrode la pelle, riesce ad estirparne calli e verruche. Nella tavolozza dell’isola è una delle note cromatiche più forti: la foglia si colora di purpureo mentre esplode il giallo solare della ginestra, poi si tinge di rame e, prima di cadere, si spegne in un pallido oro. 

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