Un’inviata a Capri
La scrittrice francese ha scelto l’isola come rifugio per dar vita ai suoi libri-reportage
incontro con Anne Nivat di Antonia Matarrese
L’isola di Capri? è camaleontica, proprio come me. Complicata e introversa. Con la Piazzetta che si trasforma ogni giorno in un palcoscenico. Per gli altri, però. Io amo la Capri vera, genuina».
A parlare è Anne Nivat, giornalista e scrittrice francese ma cittadina del mondo: 36 anni, sei lingue parlate perfettamente, una casa (e un amore) a Parigi e una a Mosca, cinque libri all’attivo di cui l’ultimo, Voci da Kabul voci da Bagdad. Ora parla la gente, edito in Italia da Sonzogno, racconta tutta la verità sul dopoguerra in Iraq e in Afghanistan. L’instancabile Anne, fisico asciutto e nervi saldi, ha vissuto con gli intervistati, dormito sui sacchi di patate, girato con i mezzi pubblici, preso appunti sul suo inseparabile taccuino. «Sono cecena in Cecenia, russa a Mosca, parigina a Parigi, romana a Roma, caprese a Capri», racconta. «L’importante è confondersi con il paesaggio umano, con umiltà e fiducia: in fondo, i protagonisti dei miei libri mi hanno affidato le loro storie, le loro vite. Ricordo un’anziana donna irachena che, alla domanda su cosa fosse per lei la democrazia, rispose “poter mangiare due volte al giorno”».
T-shirt bianca, jeans blu scuro, stivaletti dal tacco alto e grosso, come impone la moda del momento, catenina al collo e due fedi d’argento al dito, Anne Nivat ha legato una parte della sua vita all’isola di Tiberio.
Un incontro del tutto casuale: «Nel 2000, di ritorno dalla Cecenia dove fui arrestata, ho ricevuto a Napoli il premio europeo di giornalismo Eleonora Fonseca Pimentel. In quella occasione ho conosciuto la collega Lucia Annunziata che, con suo marito, aveva preso in affitto una casa a Capri. Me la prestò per scrivere il mio primo libro. Ci rimasi tre mesi, in assoluta solitudine.
La magica atmosfera dell’isola mi ha aiutata a scrivere in fretta: in un altro posto non sarebbe stato possibile. Da allora, ogni anno, a primavera, torno a Capri per mettere nero su bianco le mie esperienze di giornalista. E non tocco mai la terraferma prima di finire il libro». Com’è la sua giornata-tipo caprese?
«Regolata da una ferrea disciplina: sveglia alle sette, con il canto degli uccellini, uno spuntino veloce a base di Risolatte, un’ora di corsa, cappuccino al Piccolo Bar in Piazzetta e poi almeno quattro ore di lavoro. Dopo il pranzo, a base di pesce e verdure, riprendo a scrivere e mi concedo un’altra corsetta verso sera. Non vado mai a dormire dopo le 22».
Una vita da atleta intellettuale, la sua… «Il percorso che faccio è sempre lo stesso: parto dalla zona alta di Capri, scendo in via Camerelle e arrivo a Punta Tragara. Una volta a Pizzolungo, dove c’è la casa di Curzio Malaparte, mi fermo vicino a un edificio abbandonato detto Noa Noa: pare fosse di un giornalista italiano e confesso che mi piacerebbe abitarci. Procedo facendo di corsa le scale, fino a giungere a le Grottelle, dal mio amico Luigi. Per me un punto di riferimento. Almeno una volta l’anno, poi, affronto la lunga passeggiata da Capri ad Anacapri: arrivare a piedi sul Monte Solaro è quanto di più suggestivo possa esserci. In cima c’è una pianura strepitosa». Quali sono i suoi amici capresi?
«Sicuramente Luigi e sua sorella: se la mattina non li vedo è come se mi mancasse qualcosa. E poi i netturbini, i commercianti, i ristoratori. Frequento abitualmente salumaio e pescivendolo ma anche le boutique: ho un debole per i marchi italiani. I miei preferiti sono Brunello Cucinelli per l’abbigliamento e Bottega Veneta per gli accessori. Entrambi fanno un prodotto di classe e durevole nel tempo, come questa borsa intrecciata ormai vintage che indosso con piacere».
A proposito di borse, qual è il suo bagaglio tipo quando viaggia in zone di guerra? «Ridotto all’essenziale. Compro molto sul posto. Se mi trovo in paesi di religione musulmana, metto gonne lunghe, un foulard in testa e ho sempre con me un sacchetto di plastica con dentro taccuino e telefono satellitare. Niente borse griffate».
La suoneria del cellulare, una hit di Baghdad, riempie l’aria di allegria, come una melodia partenopea: «Dopo l’attacco militare Usa a Falluja, sono stata la prima giornalista occidentale ad entrare in città e mi sono fatta mandare questa canzone dai combattenti che ho conosciuto lì», racconta Anne. Contagiata dal “mal di Capri” che ha già colpito in passato illustri scrittori come Graham Green, che ad Anacapri scrisse L’americano tranquillo o Alberto Moravia, che rimase nel borgo da 1940 al 1944 e qui scrisse Agostino e 1934, anche Anne Nivat accarezza l’idea di un nido caprese: «Non escludo la possibilità di acquistare una piccola casa con il mio compagno». Per ora, arrivederci Capri. Al prossimo libro.
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