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Valeria Golino

Metà napoletana e metà greca. Considerata una delle massime espressioni femminili del cinema italiano. Ci racconta delle sue donne e del mare. E di Capri

Intervista di Pier Paolo Mocci

 

 

 

Le donne e il mare. Non è il titolo di una poesia di Saba o Montale. Né la maniera di un vecchio pittore decadente in continua ricerca e ispirazione. Sono ciò che legano alla vita e all’arte l’attrice Valeria Golino, metà napoletana e metà greca, maschera intensa attraverso il suo corpo, il suo volto, la sua voce fina, i suoi silenzi gonfi di parole. Una delle massime espressioni femminili del cinema italiano, l’attrice italiana attualmente più nota a livello internazionale. È proprio lei, infatti, escludendo Sophia Loren, il nome femminile italiano più conosciuto all’estero, tanto in Usa quanto in Francia, con buona pace per la collega Monica Bellucci.

Le donne. Poco meno di 100 interpretate in una carriera lunghissima, cominciata all’età di 18 anni, passata attraverso Los Angeles e Parigi, in continuo movimento e sempre più rimarchevole, basti pensare solo alle ultime eroine interpretate: detenuta in libertà vigilata costretta a tornare presto la sera, capitano della Guardia di Finanza nell’Italia marcia dei furbetti del quartierino, borghese depressa sospettata di matricidio o seducente ispettrice dell’Europol. «Donne tutte lontane da me», ci racconta mentre riusciamo ad intercettarla al volo – è proprio il caso di dirlo – scesa da uno dei tanti aerei per ritirare in giro per l’Europa l’ennesimo e meritato premio per la sua opera prima da regista, Miele, prodotto dal compagno Riccardo Scamarcio. E poi c’è il mare. Il mare della Grecia quand’era ragazzina, quello del Golfo di Napoli dov’è diventata donna, e quello del mondo che l’ha consacrata attrice.

Valeria, il mare è così presente nella sua vita da essere diventato per lei un luogo dell’anima?

«Sì, lo è. È il luogo dove mi rifugio e dove desidero girare un film. Per poter essere libera, nelle pause dalle riprese, di riappropriarmi di me stessa e tornare ragazzina, tra i mari di Napoli e di Atene. Il mare per me non è una vacanza, è una condizione necessaria nella mia vita, non potrei stare senza».

Al mare ha girato uno dei suoi film più belli ed importanti, “Respiro”, grande successo a Cannes nei primi del 2000.

«È un film al quale sono molto legata. Il regista, Emanuele Crialese, in Italia era pressoché uno sconosciuto. Era cresciuto in America e aveva realizzato lì i suoi primi film, maledettamente mai distribuiti in Italia. Non avevo dubbi, lavorare con lui sarebbe stato estremamente bello ed interessante per il mio percorso d’attrice. Ero convinta che avrei potuto interpretare quella donna, così tormentata ma anche lieve e spensierata, al meglio proprio per la complicità che mi lega con il mare. Girammo in una Lampedusa da sogno ma attonita di fronte a quello che stava succedendo, vittima degli approdi fuorilegge di scafisti senza scrupoli, dei poveri cristi senza speranza e dello sciacallaggio mediatico che hanno ridotto in grande misura il turismo sull’isola».

Parliamo dell’America, lei ci ha lavorato molto e tutt’ora gira film importanti.

«Feci un provino da ragazzina, 17enne, e venni presa per una piccola parte in Blind Date che mi permise di poterne fare altri lì come Rain Man con Tom Cruise e Dustin Hoffman, Hot Shots! o True Lies accanto ad Arnold Schwarzenegger, diretto da James Cameron, quello di Titanic. Ecco, confesso che se avessi dovuto scegliere tra i due avrei preferito fare Titanic o, perché no, un’abitante di Pandora in Avatar… Ma non mi posso lamentare».

Non tutti sanno che la carriera di un attore è fatta anche di film “sfiorati”, non realizzati spesso per scelta propria (rifiutare un copione) o di un altro, regista o produzione. Nel suo caso si dice perse la sfida finale con Julia Roberts…

«Ma già arrivare fino a lì fu un successo. Questo però l’ho capito negli anni, maturando. All’epoca ero solo delusa e arrabbiata: arrivare fino all’ultimo provino su parte per il ruolo di protagonista di Pretty Woman e poi tornare a casa quando tutto sembrava fatto non fu il massimo… Ero giovane e non la presi benissimo, ma la vita e questa professione mi hanno dato tante soddisfazioni e non ho nessun rimpianto. È andata bene come è andata. E poi ho perso contro Julia Roberts…».

Non le è andata male. Anche perché altrimenti non avrebbe incontrato il suo amore, Riccardo Scamarcio, e insieme non sareste potuti essere premiati a Capri, nell’isola più bella del mondo.

«Sono assolutamente d’accordo su tutti i punti. Non sono un’habitué di Capri, non amo l’eccessiva mondanità, e Capri spesso è sotto l’occhio del ciclone dei riflettori. Non sempre per propria volontà, va detto. Credo che se fosse una donna e potesse decidere in autonomia, alle volte si nasconderebbe in qualche grotta, come faceva la mia Grazia di Respiro per trovare un momento tutto per sé, per non doversi concedere sempre così spudoratamente a tutti. Ma è il prezzo da pagare quando si è troppo belli…».

Un po’ come lei e il suo compagno Scamarcio.

«Forse lui, però qualche anno fa quando era inseguito dalle ragazzine, ora che è maturo, con la barbetta incolta, non se lo fila più nessuna (ride…). La bellezza è un dono della natura o del Signore, a seconda dei punti di vista, l’importante è non specularci sopra. Io ho accettato con grande entusiasmo l’invito al Capri Hollywood per il premio per Miele lo scorso Natale, anche perché assegnato da una persona carina come Pascal Vicedomini, che negli ultimi anni sta portando sempre più star internazionali a Capri ed Ischia e permette a molti attori e registi italiani di farsi conoscere ad Hollywood. Diciamo che fa quello che dovrebbero fare le istituzioni preposte, invece la sua è un’iniziativa privata. Quindi tanto di cappello…».

A Capri non è di casa, ma è ad uno sguardo da casa…

«Eccome, Capri guarda verso il mio mare di Napoli. Sapete che sono cresciuta nell’albergo di famiglia, il “Bella Napoli” dove vivevamo tutti insieme fino a quando i miei si separarono. In gita a Capri ci andavamo, con mio fratello che voleva rimorchiare le turiste. Questo è per me Capri, il ricordo d’estate di una bambina che viveva divisa tra Napoli e Atene. Ma comunque un bel ricordo sicuramente».

A Napoli solo qualche anno fa ha girato “Armandino e il Madre”, il cortometraggio che l’ha consacrata regista, aprendole a tutti gli effetti la sua nuova e parallela carriera da cineasta.

«Non avrei potuto ambientarlo altrove, Napoli non era semplice location ma una vera e propria coprotagonista del mio breve film d’amore. A partire dal Madre, un luogo sofisticato come un museo d’arte contemporanea che accoglie la vita esterna in tutta la sua spavalderia e irrequietezza, quella di un bambino, Armandino, simbolo di Napoli. Volevo trovare una sintesi, attraverso la forza del cinema, per raccontare un aspetto di questa città, una città che dona a tutti, che si fa permeare ma che restituisce sempre, sotto forma di generosità della gente, del sole, del mare. Napoli è uno scugnizzo cresciuto con tanta voglia di vivere, di sentirsi libero».

Grazie Valeria, dell’intervista, ma soprattutto dei film e delle sue interpretazioni, mai banali, da attrice. E in bocca a lupo per la sua nuova e già consacrata carriera da regista, il suo sguardo così delicato e profondo servirà al nostro cinema.

«Grazie a voi. Ci vediamo a Capri».

 

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