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Eclettiche dimore

Torri merlate, decorazioni in ceramica e archi incrociati. Ecco le abitazioni di eccentrici artisti con la passione per l’Oriente

di Salvatore Borà

 

 

 

 

Con l’affermarsi sempre più del mito di Capri, dopo la seconda metà dell’Ottocento, l’isola viene scelta da artisti e da pittori eccentrici come luogo da ritrarre per la sua primitiva bellezza, per la sua terra arida e bruciata dal sole dove attecchiscono agavi, fichi d’india e palme, per il suo paesaggio brullo, il suo azzurrissimo mare, per le sue case bianche dalle volte estradossate: il tutto paragonabile ad un Oriente mediterraneo. Scriveva Gregorovius nel suo bel libro L’isola di Capri del 1853: «L’architettura di genere moresco è bizzarra ed originale». Infatti la moda orientalista, che già si era manifestata in qualche abitazione, fu introdotta in modo più consistente da quei pittori che, vestendo alla turca con caftano e fez ed aspirando essenze inebrianti dai narghilé, decisero di dare all’ambiente un tono orientale.

La loro lunga permanenza comportò spesso una domanda di dimore ora nuove ora riadattate alle quali, in coerenza con la più generale cultura europea e la dominante prospettiva dell’eclettismo, conferirono uno “stile” che esulava del tutto dalle intrinseche caratteristiche delle piccole e modeste case degli isolani.

È il periodo questo nel quale si confonde lo stile di un edificio con quello della sua decorazione ritenendo che il carattere architettonico risieda più nei sistemi di ornamento, nel disegno di un fregio, nel profilo di una finestra che non invece nei sistemi costruttivi degli spazi. Ciascun committente vuole comunque tenere distinta l’immagine della propria dimora dalle case degli isolani.

 

La passione per l’esotico

Ad inaugurare la stagione dell’eclettismo a Capri fu il pittore americano Charles Caryl Coleman. Egli, nel 1870, acquistò la foresteria del Convento di Santa Teresa, trasformandola in una vistosa casa alla quale diede il nome di Villa Oleandro per la presenza di questa pianta nel cortile e la rifinì con rivestimenti maiolicati di stile neomoresco e neo-ottomano. Neo-moresco infatti sono il cancello con arco a ferro di cavallo e il merlo persepolitano. In stile neo-ottomano sono le mattonelle decorative in ceramica invetriata che sia per i colori, sia per l’ornamento conferiscono all’edificio un’impronta particolare. Questo tipo di ceramica è opera del ceramista romano Tommaso Castellano come si rivela dal monogramma “TC Roma” inserito in una mattonella.

La stessa casa con il passare degli anni si uniformò alla tendenza classicistica neomedievale che si riscontra nel cortile pompeiano con impluvium suggerito forse dagli esponenti dell’American School of Archeology che frequentavano il salotto di Coleman.

Cambiò nome in Villa Narciso per la presenza, nel primo cortile, di una copia della statua «simbolo dell’autoglorificante costume di vita scelto da Coleman» (Cerio).

Scrive Lea Vergine in Frammenti Postumi «…Sotto l’arco vi è una copia del Narciso del Museo Nazionale di Napoli. Presenza ammonitrice e nume tutelare di un culto della bellezza e dell’invaghimento di sè, di cui Coleman vorrebbe essere il solitario officiante».

Frequentatore del salotto di Coleman fu anche l’eccentrico pittore americano Elihu Vedder che, appassionato dell’esotico, vestiva spesso all’orientale. Sulle pendici della Torina e in posizione dominante si fece costruire, tra il 1901 e il 1903, una villa dal capomastro Luigi Desiderio discendente dai famosi “marzianello”. Essa si sviluppa su tre livelli ed è caratterizzata da una grande torre quadrangolare orientata secondo i quattro punti cardinali, sui “quattro venti” come egli poi la chiamò. La torre è chiusa da una cupola a campana rivestita da embrici rettangolari di cotto rosso, al di sotto della quale, nello spazio a doppio livello, sopravvive tutt’ora uno straordinario esempio di ambiente all’orientale curato nei minimi particolari.

Le quattro pareti sono interrotte da quadrifore costruite con archetti a ferro di cavallo sostenute da colonnine cilindriche con capitelli rettangolari. Le fabbriche più basse si concludono con merlature tribolate fornite di feritoie anch’esse di derivazione moresca. La pavimentazione è di maiolica decorata con motivi geometrici. Sia Vedder che Coleman si portavano dietro i ricordi orientalisti dell’Esposizione Mondiale di Chicago nella quale ebbero modo di vedere le ricostruzioni di villaggi indiani, turchi, egiziani e cinesi.

Tuttavia gli elementi moreschi e islamici in queste case non hanno completamente escluso alcuni elementi caratteristici dell’edilizia caprese, come le strutture in tufo intonacate di bianco, le coperture a volte degli ambienti interni, i colonnati che sostengono i pergolati lungo le logge.

Si impone al paesaggio di via Tragara con la sua torre quadrata sormontata da un cupolino che ricorda il campanile della Piazzetta, Villa Discopoli, dal latino de scopulis (scogli) perché costruita sulla roccia verso il 1880 dal pittore francese Hanri Daras.

Tutta la villa è caratterizzata dallo stile neoislamico, specie nelle sue decorazioni in ceramica con impiego di mattonelle in stile neo-moresco e neo-ottomano profuse anche sui fregi e sulle cornici della facciata. Caratteristici sono i suoi trafori di stucco a motivi geometrici che richiamano le decorazioni dei minareti arabi. Singolare è anche il motivo degli archi intrecciati, quello dei merli persepolitani e le fasce ininterrotte di maioliche al di sotto di questi che ricordano le decorazioni delle case moresche di Cordova.

Gli archi incrociati in stucco a forma di ferro di cavallo e sostenute da esili colonnine, richiamano le moschee musulmane.

Furono ospiti della villa il poeta tedesco Rainer Maria Rilke, la Regina Margherita di Savoia e il fotografo Morgan Heiskell.

Fu proprio una sua foto del 1910 che ci rivela la trasformazione della Villa il Fortino ad opera del pittore francese Guillame Dubufe che ne fu proprietario. Sul primo impianto della torre medievale merlata con finestre bifore del 1870 si nota, rispetto alla vecchia foto dell’epoca, l’aggiunta di un elemento terminale con piccola cuspide moresca.

Poco distante da Villa Discopoli, sorge Villa Capricorno costruita intorno al 1890 dal banchiere tedesco Ugo Andreas. Il progetto è attribuito al venticinquenne architetto Riccardo Fainardi che per conto dello stesso Adreas redasse quello per la piccola chiesa di Marina Piccola. Ma l’impronta moresca data alla villa è forse dovuta al pittore Augusto Lovatti, amico di Andreas e di Krupp, per le sue reminiscenze dell’architettura araba osservata e studiata durante i suoi viaggi in Egitto.

Col passare degli anni e delle mode, la villa assunse le vesti neoclassiche e, del primitivo impianto orientaleggiante, sopravvive ora soltanto un magnifico patio, nel quale una sequela di esili colonne ne sostiene archi tribolati di stile indubbiamente arabo. Vegetano tutt’oggi nel giardino magnifiche piante esotiche che ornano la villa con la flora tipica dei paesi orientali.

 

Torri merlate e ceramiche blu

Lungo la salita di via Croce, circondata da un ampio giardino nel quale spicca una grandiosa pianta di ficus magnolia, sorge Villa Helios fatta costruire nel 1904 dalla baronessa svizzera Barbara Meta von Salis Marschlins, amica di Rainer Maria Rilke e Nietzsche e anch’essa scrittrice di romanzi e poesie. Il magnifico edificio si presenta con torrette merlate ed è abbellito con archetti moreschi e finestre con colonnine.

Le ceramiche blu provenienti dalla rinomata casa Di Donna di Napoli sono del tipo ispano-moresco anche collocate in modo originale nel pannello che abbellisce la porta e in quello in forma di finestra. Le mattonelle che decorano i pilastri di sostegno del cancello d’ingresso sono identiche ad alcuni esemplari impiegati nel portale della Casa Rossa di Anacapri fatta costruire dal colonnello americano sudista John Clay MacKowen tra il 1876 e il 1899.

La casa, dal colore rosso pompeiano, nata intorno ad un’antica Torre Aragonese risulta pseudoeclettica per la mescolanza di stili che si evidenziano nella facciata con l’innesto del portale dove campeggia una scritta in greco (salve cittadino del paese dell’ozio) che richiama l’espressione di Augusto, e nelle bifore con le più svariate modanature terminali anche nella divisione degli ambienti si nota molta assenza di simmetria. Per il resto così sintetizza Cerio ne L’ora di Capri: «…non resistendo alla smania di far della sua casa, posta all’entrata del paese, un museo, ne impiastricciò i muri non solo con i marmi trovati sull’isola, ma altresì con grandi quantità di sculture ed epigrafi, molte naturalmente apocrife, importate… E venne così a costruire il modello delle “ville archeologiche” avidamente ricercate dai forestieri assetati di memorie classiche che poi finiscono di guastarsi il palato con i cocktails d’antichità denaturate a bassa percentuale di autenticità». Villa Torricella è un’altra casa dove l’influenza orientalista di Vedder e Coleman fu determinante. Essa fu realizzata per parti ad iniziare dal 1902 dalle signorine americane Sade e Kate Wolkott-Perry, amiche del conte Fersen, che animarono la vita della colonia straniera a Capri nel primo ventennio del Novecento e che lo scrittore inglese Compton Mackenzie descrisse argutamente nel suo romanzo Vestal Fire.

Il complesso evidenzia molti stili: il moresco per le decorazioni arabeggianti dalle balaustre delle logge e dei rampanti esterni a disegni intrecciati a forma di grate che il capomastro Luigi Desiderio, esecutore di tutta l’opera, realizza con apposite forme a cassonetto. Le due torrette (da qui il nome) terminanti con delle cupoline a bulbo, hanno la caratteristica dei minareti, mentre tutti gli elementi decorativi richiamano l’architettura islamica e neogotica specie nelle finestre bifore con colonnine tortili. Solo alcuni archi a forma ellittica e le volte estradossate degli ambienti interni si rifanno allo stile delle case capresi.

 

Il tramonto dell’oriente

Curzio Malaparte, infine, quando la moda orientalista era tramontata a Capri, nel costruire la sua villa sulla Punta Massullo verso il 1938, la definì una «casa dura, severa, triste» e la chiamò Casa Come Me. Ispirandosi per la gradinata che porta al solarium a quelle della chiesa della Santissima Annunziata di Lipari, dove aveva scontato il soggiorno obbligato, precisò in una lettera quali elementi architettonici dovevano essere esclusi nella sua costruzione: «…nessuna colonnina romanica, nessun arco, nessuna scaletta esterna, nessuna finestra ogivale, nessuno di quegli ibridi connubi tra stile moresco, romanico e gotico che certi… portarono a Capri inquinando la purezza della casa capriota».

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