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L’officina del Ferro Mario Zora

Il martello, l’incudine e una sconfinata creatività nelle sue abili mani trasformano un materiale duro in forme morbide e leggere

di Antonello De Nicola

 

 

 

 

Artista per vocazione e fabbro per necessità, Mario Zora è riuscito ad imprimere il suo marchio a ferro e fuoco nella storia caprese. 
Rivelare il suo percorso artistico – dalla scelta di entrare in bottega all’età di otto anni alla Mostra internazionale di Amsterdam nel 2010 – è come forzare un cancello e sentirlo diventare sempre più leggero. 
«La mia più grande fortuna è stata nascere povero ed avere voglia di fare – esordisce il vulcanico Zora – imparando il mestiere proprio come nel Rinascimento. Mio padre era prigioniero in Germania e dovevo darmi da fare, ma il lavoro del fabbro proprio non mi piaceva». 
Da bambino, diventa allievo del maestro Vincenzo Di Pinto, apprezzato fabbro di origine pugliese, apprendendo così l’antica arte di forgiare il ferro e le nozioni di disegno. 
«Più crescevo e più diventavo ambizioso – continua – ero determinato a superare il maestro e già immaginavo le opere che avrei realizzato in futuro». 
Nel 1965, Zora apre la sua bottega e un po’ alla volta si afferma come artista, assecondando la vocazione per la pittura e la scultura, a cui seguiranno un lungo periodo di studio sulla storia persiana e siriana, e una serie di viaggi in Europa, America e Medio Oriente. 
«Per realizzare le mie opere ci metto volontà, passione e anima – spiega – proprio come un ritrattista. I miei lavori non sono solo una merce ma nascono dalla creatività ed è per questo che disegno tutto a mano e non faccio repliche: mi sembrerebbe di copiare me stesso! Io creo qualcosa nel tempo». 
Dopo sessant’anni di attività e migliaia di opere create sparse in tutto il mondo (tra cancelli, tavoli, specchi, letti, consolle e finestre), l’artista caprese ha ancora un progetto da realizzare: aprire le porte del suo studio-laboratorio, situato a Palazzo a Mare, e insegnare ai giovani isolani a battere e piegare il ferro. 
«Non c’è più vocazione e manca il rapporto tra i giovani e l’arte. L’artigianato scompare, il manufatto è stampato e c’è tanta improvvisazione. Io vengo da una generazione in cui il lavoro si creava, a partire proprio dagli attrezzi. Mi resta un solo dispiacere: l’arte artigiana va scomparendo e Capri è una ferita aperta. Ci hanno messo duemila anni per scoprirla ed ora sono riusciti perfino a rubarle l’anima». 
Oggi, il figlio Roberto continua l’attività di famiglia, rinnovando la tradizione dopo una brillante carriera in America come pilota di aerei. «Se non avessi avuto lui – conclude il maestro – avrei smesso da più di dieci anni. Mio figlio segue le mie orme ma ha un talento tutto suo. Lavoriamo insieme ed io sono il suo maestro». 
Nel 1997 Zora ha rappresentato l’Italia al Convegno internazionale degli artigiani fabbri, organizzato in Finlandia. A Capri ha realizzato creazioni di utilità sociale e donato un leggio che sostiene il libro d’onore degli ospiti nel Salone delle cerimonie del Municipio di Capri. Le sue opere più rappresentative fanno bella mostra in via Tragara, in alcune storiche ville capresi e in alberghi come il Punta Tragara, La Scalinatella e l’Hotel Luna.

 

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