foto14Uno scrittore “amaro”

È Maksim Gorkij, l’esule russo che a Capri scrisse alcune delle sue pagine più belle

di Giuseppe Mazzella

 

 

 

 

Aleksej Maksimovi Peskov, detto Gorkij, l’Amaro, appellativo che si era dato lui stesso dopo una gioventù precaria e durissima, quando arrivò a Capri nel 1906 era già uno scrittore famoso non solo in Russia, dove era nato a Novgorod nel marzo del 1868, ma in gran parte dei paesi occidentali. Dopo anni di sofferenza, miseria e lavori pesanti sofferti in compagnia di zingari, prostitute, ladri e vagabondi di ogni genere, si scoprì improvvisamente scrittore. Le sue “università”, come chiamerà in seguito questo periodo di intensa esperienza umana, gli avrebbero dato materia per racconti e romanzi. Attratto dalla povera gente, in difesa della quale si opponeva con coraggio anche al regime duro degli zar, aderì naturalmente ai nascenti movimenti rivoluzionari. E finì per andare in prigione, dalla quale però fu subito liberato a furor di popolo, grazie alla grande notorietà di cui godeva. Per sfuggire all’assedio della polizia zarista, emigrò negli Stati Uniti d’America, dove fu accolto freddamente, a causa della sua relazione con l’attrice Maria Andrejeva, con cui conviveva senza essere sposato, dopo essersi diviso dalla moglie Ekaterina Peskova, da cui aveva avuto un figlio.

Ritornato in Europa, uguale freddezza lo accolse in Inghilterra. Decise allora di trasferirsi nel sud Italia, a Capri, dove si trovava una consistente colonia russa. Vivere nella pace dell’isola gli avrebbe dato quella serenità necessaria per scrivere e, grazie al clima, la possibilità di curare la tubercolosi cronica che lo affliggerà per tutta la vita, conseguenza di un tentativo di suicidio: un maldestro colpo di rivoltella gli aveva infatti attraversato il polmone sinistro.

Era appena sbarcato a Napoli il 26 ottobre del 1906 dal piroscafo “Principessa Irene” e pochi giorni dopo si era già installato a Villa Blaesus, di proprietà del padre del futuro scrittore caprese Ettore Settanni che avrà modo di osservarlo da vicino per quattro anni.
Nei primi mesi, Gorkij si tuffò subito in un’intensa attività letteraria, scrivendo in poche settimane il suo capolavoro, La madre. Dopo il lavoro, che lo teneva al tavolo per quasi l’intera giornata, amava riposarsi ascoltando i brani preferiti di Grieg e Beethoven che la compagna Maria eseguiva al pianoforte. Per rendere più confortevole l’abitazione, lo scrittore fece aprire una grande finestra dello studio al secondo piano, affacciata sul mare e i Faraglioni. La casa, benché non grande, possedeva anche un bel giardino e un belvedere a picco sulla scogliera.

Solo dopo alcuni mesi, Gorki cominciò ad esplorare l’isola e a frequentare gli abitanti, verso i quali ebbe subito grande benevolenza, specialmente quelli più umili, che gli ricordavano i tanti compagni di vita della sua cruda giovinezza. Nel giro di poche settimane i suoi connazionali cominciarono ad assediarlo.

Come una potente calamita attraeva a Capri fuorusciti, artisti, o semplici derelitti che si affollavano ad ogni ora alla sua casa e ai quali offriva generosa ospitalità. I dopo cena poi, che si protraevano fin quasi al mattino, erano ravvivati da discussioni letterarie e politiche alternate da canti e balli accompagnati da Adolfo Schiano che, barbiere il mattino si trasformava la sera in estemporaneo e dotato chitarrista. Tra gli amici che frequentarono con maggiore assiduità lo scrittore vi furono Bodganov, Regacewski e Lunaciarski. Con loro fu avviata la “Scuola di tecnica rivoluzionaria”, finanziata da Gorki con i proventi dei diritti d’autore e della sua attività di editore.

A trovarlo, arrivavano dalla Svizzera a volte anche la moglie e il figlio. Ecco allora scatenarsi una guerra silenziosa tra le due donne, della quale lui faceva finta di non accorgersi. Altre volte a creare nervosismo nelle sue giornate operose era la polizia che seppure sobriamente teneva d’occhio quel via vai di persone. Alle “lezioni” Gorki preferiva però i viaggi a Napoli, città che adorava, o lunghe battute di pesca con i pescatori dell’isola con i quali riusciva a comunicar senza conoscere una parola di italiano. Loro per contraccambiare quella simpatia, raccoglievano per lui e la sua compagna i molluschi attaccati agli scogli, di cui erano ghiottissimi, e che in suo onore chiamarono “patelle di Massimo Gorki”.

Il periodo caprese coincise con una straordinaria attività letteraria. Così scriveva entusiasta al suo amico Leonid N. Andreev: «Il golfo di Napoli – e soprattutto Capri – è più bello e più profondo dell’amore e delle donne. In amore scopri subito tutto, qui non so neppure se sia possibile scoprire tutto».

Tra i ricordi personali che l’allora giovanissimo scrittore Settanni ci ha lasciato, spiccano le descrizioni del caratteristico incedere dello scrittore «con le spalle curve, con i passi di un vagabondo divoratore di infinite distanze» e la sua voce «sibilante e molle insieme, a raffiche e a soffi, che accarezzava e frustrava».

Nella calma di Capri Gorki lavorò incessantemente creando opere immortali come La madre, Fiabe italiane, un omaggio all’Italia e alla sua anima gentile alla quale resterà sempre legatissimo e drammi di grande forza come I bassifondi o I villeggianti. Intercalando la sua attività con brevi viaggi in Toscana e in Liguria e una ininterrotta corrispondenza con connazionali sparsi in tutto il mondo e con scrittori italiani come Grazia Deledda e Edmondo De Amicis.

Una sera di un freddo gennaio sbarcò sull’isola anche Vladimir Ilic Ulianov, più noto come Lenin. Dopo un viaggio burrascoso, fu ospitato da Gorki, ma non volle accettare che una tazza di the e dei biscotti. Chiese invece che gli si leggessero alcune pagine dell’opera alla quale lo scrittore stava lavorando. La lettura andò avanti per tutta la notte e solo alle prime luci dell’alba il futuro rivoluzionario lasciò Capri per lanciarsi nella sua grande avventura.

Negli ultimi tre anni di permanenza a Capri Gorki si trasferì prima a Villa Behring e poi a Villa Pierina, più grandi e adatte ad ospitare il numero sempre crescente di rifugiati russi. Rientrato in Russia nel 1913, a seguito di un’amnistia, lo scrittore si impegnò in una incisiva attività politica a sostegno della rivoluzione. L’attrazione per l’Italia era però troppo forte e decise di tornarvi. Scelse allora di trasferirsi in una grande villa di Sorrento, Il Torrito, dove visse e operò dal 1924 fino al maggio del 1933. Una permanenza serena e produttiva, anche se resa fastidiosa dai continui controlli della polizia fascista, che sorvegliava la sua corrispondenza e i movimenti di denaro. Per tutti i nove anni che trascorse a Sorrento, amici e ammiratori da ogni parte del mondo continuarono però a scrivergli e a cercarlo a Capri, dove il mito del grande scrittore si era ormai indelebilmente fuso con la magia dell’isola.

 

 

UN PREMIO DI NOME GORKIJ

È Aldo Nove il vincitore della Prima edizione del Premio Gorkij che con la raccolta di racconti Superwoobinda si è aggiudicato il primo posto della sezione “Autori”. Il premio per la sezione “Traduttori” è andato invece a Margherita Crepax per La scuola degli sciocchi di Sasha Sokolov. Il concorso letterario riservato ad opere di narrativa e di traduzione letteraria italiane e russe è nato con l’ambizione di gettare un ponte culturale tra i due paesi ed è articolato in due sezioni, in una concorrono scrittori russi e italiani contemporanei le cui opere siano state tradotte nell’altra lingua, la seconda interessa invece i traduttori. La cerimonia di premiazione di questa prima edizione si è svolta a Capri, le successive avranno luogo, ad anni alterni, a Mosca e a Capri. 

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