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Da prodotto di moda a tradizione consolidata. Qual è il segreto del successo del limoncello?

di Luciano Pignataro

 

 

 

 

 

Impossibile sapere il nome del comune mortale a cui Zeus regalò il segreto del limoncello, il più importante dono del signore dell’Olimpo dopo il fuoco. Sicuramente, però, sappiamo dove è successo: nella Terra delle Sirene. Cosa sarebbero queste spiagge e questi scogli senza i limoni? E le tavole senza il limoncello? Le origini dunque sono misteriose e come sempre accade le ipotesi tante. Due o tre su tutte, tanto per gradire. Alcuni ricordano l’uso dei pescatori-contadini di bere un po’ di liquore di limone al mattino per combattere il freddo, altri parlano di monaci laboriosi intenti a conservare il bello della vita tra una preghiera e l’altra quando le strade erano insicure e il mare popolato di saraceni predoni. Sicché oltre ai dolci, le conserve e quant’altro di buono circolava nei secoli bui anche gli infusi più diversi, ottenuti con le fragole, il mirto, il mandarino, la noce di Sorrento, il limone appunto, erano produzione comune nei conventi costruiti tra le rocce e il mare. I monaci certosini cacciarono le Sirene dalla loro terra ma ne conservarono le abitudini più sane, come bere il limoncello. Sia come sia, nelle case è sempre stata diffusa l’abitudine di conservare nella credenza qualche bottiglia di fragolino, nocillo e limoncello. Quando Capri cominciava a costruire la propria favola moderna all’alba della società di massa, Ignazio e Arturo Cerio, Fersen, Munthe, Krupp e tanti altri sfaccendati ricchi e famosi presero l’abitudine di bere quello fatto da Vincenza Canale che gestiva la pensione Mariantonia. Qual è il segreto del suo recente successo? Sì, davvero recente. Non dimentichiamo affatto come il fine pasto, anche nella Terra delle Sirene, fosse costituito dalla sambuca o da qualche amaro, poi negli anni Ottanta la grappa mascalzona capace di allontanare i profumi del mare e oscurare la luce del sole mediterraneo sbaragliò tutti i concorrenti grazie all’idea di distillare monovitigni e trasformare le bottiglie creando piccoli capolavori. Fu così che il fuoco contadino del Nord conquistò le ambite ed eleganti tavole meridionali. E dunque, come è nato il successo del limoncello, quale il segreto? Semplice, il frigorifero. Provate a bere un rosso freddo o un bianco a temperatura ambiente, degustateli poi a temperatura di servizio ed ecco come lo stesso vino cambia completamente i profumi e il sapore. Poco più di dieci anni fa qualcuno, non sappiamo bene chi ma abbiamo fondati sospetti, infila una bottiglia di liquore di limone nel frigo del suo ristorante e la offre alla fine del pasto. Il successo è immediato perché si ha la sensazione di bere in un sorso tutto il territorio più bello del mondo. è, insomma, tutta questione di gradi e il liquore di limone diventa limoncello: a bassa temperatura la sensazione dolce viene avvolta dalla freschezza che esalta l’aroma aggrumato e che costituisce proprio la tipicità irripetibile. Nessuna aggressiva e sofisticata campagna di marketing, solo il passa parola che comincia nei primi anni Novanta, da Capri e dalla Costiera la moda arriva ben presto a Milano, dove lo chiamavano limoncino, poi scende a Roma (er limonello) e infine, poco dopo il G8, anche a Napoli quando i bar del centro cominciano ad esibire orgogliosamente le allegre bottiglie piene di oro giallo liquido. Così l’Italia è di nuovo unita alla fine del pasto: il whisky torna in discoteca, l’amaro in convento e la grappa si ritira al Nord, povere nuove minoranze alcoliche. Prima il boom, poi la moda, ormai una tradizione consolidata e che difficilmente potrà essere scalzata nonostante numerosi tentativi: nessun liquore come questo ottenuto per semplice infusione incontra i favori unanimi delle papille gustative di tutto il mondo. Dixit di Peter Arnett: fu limoncello la prima parola italiana che ha imparato. La prima misura del successo è sicuramente essere imitati, come è accaduto con la mozzarella di bufala, anche in questo caso la grande industria alimentare si è lanciata nel mercato favorita dalla totale assenza di normativa. Ma non basta: nel 2000 l’Istat inserisce il limoncello nel paniere usato per calcolare l’incremento mensile dell’inflazione, la consacrazione. Tutti lo bevono, ma sicuramente un intenditore non ha difficoltà a distinguere la qualità, il prodotto artigianale da quello industriale, e questo vale per tutti i prodotti tipici, anche per il limoncello. Come è possibile? In fondo parliamo di bucce di limone lasciate in infusione nell’alcol a cui si aggiunge uno sciroppo di acqua e zucchero. In questo caso la differenza è fatta dal limone, uno scatto in più molto importante anche per la salute perché per fare questo liquore, ottenuto appunto dalle scorze, è indispensabile essere sicuri della provenienza degli agrumi che in alcun modo devono essere trattati con prodotti chimici antiparassitari. E questo può essere garantito solo dai laboratori artigianali della Terra delle Sirene impegnati nella trasformazione dei limoni della zona. Non solo. La differenza è anche nel gusto, determinato dalle cultivar utilizzate: “Femminiello” di Massa Lubrense (forma ovale, buccia liscia, molto succoso), “Ovale” di Sorrento (con buccia a punti in rilievo), “Sfusato” di Amalfi (forma affusolata, grandi dimensioni, buccia gialla e spessa, quasi privo di semi) sono le varietà di limoni utilizzate per la produzione del liquore che si caratterizzano per l’intenso aroma degli oli essenziali, ereditati dall’ambiente. L’unicità di questi agrumi, infatti, è determinata dal microclima, dalla vicinanza al mare e dalla protezione dai venti freddi grazie all’impiego delle tradizionali “pagliarelle” poste a copertura su pergolati di pali di castagno. Per indicarlo sulle etichette delle allegre bottiglie si usano infinite denominazioni, visto che quella originaria è un marchio registrato da Canale a Capri: nettare o infuso di limoni, limonino, limonello e mille altre. Tuttavia, la sostanza non cambia quando si usa la materia prima proveniente della Terra delle Sirene e questo è garantito unicamente dalla Indicazione Geografica Tipica riconosciuta alle cultivar della Penisola Sorrentina. Già, ma come si fa? I limoni, meglio quelli prima fioritura perché più ricchi, raccolti preferibilmente all’alba quando i profumi sono più concentrati, vengono lavati e pelati ricavandone bucce sottilissime facendo attenzione ad eliminare il pane che conferisce al liquore un fastidioso sentore di amaro in bocca. Queste restano in infusione nell’alcol puro per un periodo che va dalle 48 alle 72 ore. Quindi si aggiunge uno sciroppo di acqua e zucchero e si filtra. Alla fine la gradazione alcolica del limoncello è, a seconda delle proporzioni di acqua e zucchero, compresa tra i 30 e i 50 gradi. E, infine, quando e come berlo? Sulla pasticceria classica napoletana, spesso aromatizzata con limone o crema di limone, è sicuramente l’ideale abbinamento. Ma un piccolo sorso in barca fuori dai pasti certamente non ha mai fatto male a nessuno.

 

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