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Incanti capresi

Scatole magiche e foto dipinte che raccontano una dimensione inedita dell’isola. 
Sono le opere di Vittorio Pescatori.

di Antonella Basilico

 

 

 

 

Milanese di nascita ma con origini parmigiane e toscane, con un bisnonno pittore ufficiale di Maria Luigia di Parma da cui, forse, ha ereditato la vena artistica, Vittorio Pescatori intrattiene ormai da più di trent’anni un rapporto di grande amore con Capri, dove trascorre lunghi periodi. Personaggio a più dimensioni, dapprima giornalista poi scrittore, artista e fotografo, Pescatori ben conosce il fascino dell’isola, le sue usanze e i suoi luoghi mitici in cui, tra l’altro, ha ambientato il suo primo romanzo Pensione Nirvana. Ma la Capri che egli racconta nei suoi scritti e nelle sue immagini, non è quella solitamente rappresentata in vedute illustrative o banalmente accattivanti ma quella più autentica e vera. Infatti, in una dimensione inedita, l’artista prende in esame l’aspetto quotidiano e marginale della vita dell’isola, che fissa con l’obbiettivo e poi colora con gli acquerelli, fermando la sua attenzione su particolari, su “istanti” che a prima vista sembrano marginali, ma che rimandano a qualcosa di più profondo e concreto. La sua è una concezione dell’arte che, liberata da ogni schema, tende a recuperare le radici più profonde dell’umano e si esprime in ogni forma artistica da lui praticata, con un linguaggio personale, sintetico, ma estremamente poetico. Un acuto senso di osservazione, sempre permeato da una sottile ma bonaria ironia, muove tutta la ricerca di Pescatori, a coBominciare dalle sue prime opere letterarie, La maschia, L’odalisco e L’animalo, in cui egli esprime una concezione dell’amore dolce ma al tempo stesso disperata. Anche in Uranopoli, l’ultimo suo romanzo in cui sono descritte le vicende di una comunità del Monte Athos e la conflittualità tra mondo spirituale e mondo terreno, l’artista dà prova di essere un finissimo scrittore che sa ben calibrare la propria scrittura. «Per la dolcezza, per l’ironia, l’intelligenza delle sue invenzioni che catturano, sotto forma di scatole magiche, il nostro cuore e i nostri segreti. Vere allegorie contemporanee», questa la motivazione con cui Pescatori, inserito su segnalazione di Vittorio Sgarbi, nel Bolaffi Arte Moderna 1985, ha visto consacrata anche la sua attività di scultore. Piccole ma vere sculture sono infatti da considerare le “scatole magiche” a cui si riferisce la citazione riportata. In queste bacheche sulle cui pareti sono incastonati vetri riflettenti, l’artista, affascinato dall’idea del riflesso e studiando il complesso confronto arte illusione, “imprigiona” i ritratti dei suoi personaggi, ritaglia le loro silhouettes che prendono corpo sulle pareti specchianti della scatola e, metaforicamente, ingigantiscono la loro presenza. è l’antico gioco illusorio degli specchi che si ripete, con il suo concetto di ambiguità tra illusione e realtà che amplifica la dimensione dello spazio, attirando lo spettatore nell’opera. Questi “ritratti allo specchio” iniziati, come racconta l’artista, quasi per gioco dopo aver osservato una foto che lasciata su un tavolo si rifletteva, quasi animandosi, in uno specchio, hanno trovato subito interesse e consenso, e anche personaggi famosi come Fellini, Moravia e molti altri hanno voluto essere protagonisti in questa sorta di ludica, ma significativa rappresentazione. Sono ritratti essenziali, certamente non estetizzanti, che colgono e definiscono il carattere e l’aspetto più intimo del personaggio, l’unica licenza estetica è data dall’immissione nella scatola di qualche elemento che l’artista ritiene sottolinei meglio la personalità del soggetto e da tocchi di colore stemperati a mano. Ma tornando all’interpretazione che Vittorio Pescatori dà di Capri, va sottolineata, ancora una volta, la scomparsa nei suoi lavori di ogni luogo comune, di qualunque inquadratura banale, cosa certamente non facile per un contesto, ormai da secoli, ampiamente rappresentato. Alla stregua di reportage, le sue immagini traducono con immediatezza il suo punto di osservazione attraverso il mezzo fotografico che, però, è usato dall’artista con assoluta spontaneità e senza particolari accorgimenti tecnici. Il suo occhio coglie con realismo pungente si tuazioni consuetudinarie, luoghi e personaggi a prima vista banali, cattura momenti casuali di cui sottolinea l’aspetto con un particolare, un segno, ricco di espressività esasperata, reso a volte drammatico da un tocco di colore che appare intimo, quasi segreto, se non fosse paradossalmente alla vista di tutti.

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