14Paesaggi d’artista

Dalla vedute di Capri agli scorci di Ischia. I luoghi del Grand Tour nelle tele di Jacob Philipp Hackert, uno dei protagonisti del vedutismo europeo di fine Settecento

di Ludovico Pratesi

 

 

 

 

Era nato con la matita in mano, in una famiglia dove l’arte era di casa. Infatti, nonostante il fatto che suo padre, ritrattista di rango che viveva a Prenzlau, nella marca di Brandeburgo, l’avesse mandato in seminario, il suo talento aveva impedito al giovane Hackert (1737-1807) di proseguire sulla strada della fede per abbracciare invece la sua unica e vera passione: la pittura. Così, a soli 11 anni Philipp aveva mostrato alla famiglia il ritratto ad olio di un generale a cavallo, accompagnato da una serie di disegni dedicati alla collezione di fiori che il padre coltivava con cura nel giardino di casa. Una prova tangibile dell’interesse per la natura che lo avrebbe accompagnato per tutta la vita, spingendolo a lasciare i paesaggi nordici, punteggiati di pini e laghi dalle acque cristalline, per raggiungere l’Italia, meta principale del Grand Tour, il viaggio iniziatico che ogni intellettuale che si rispettasse doveva fare a quel tempo.

 

VERSO LE METE DEL GRAND TOUR

Dopo aver passato qualche anno a Parigi, nel 1769 Philipp, accompagnato da suo fratello Georg, decide di lasciare la terra natale per raggiungere le mete principali del Grand Tour: Venezia, Firenze, Roma e Napoli. Pennelli e tele alla mano, nel corso del viaggio l’artista ritrae i luoghi che lo colpiscono di più, come le rovine dei Fori ma anche alcune intense vedute di Tivoli e della campagna romana, dipinte a fil di pennello con un’attenzione per i dettagli quasi ossessiva.

Non sarà però la città eterna a fare la fortuna di Hackert ma Napoli, la capitale del Regno delle Due Sicilie. L’artista la visita una prima volta per ammirare Pompei ed Ercolano, i due straordinari siti archeologici appena scoperti, i verdi paesaggi dei Campi Flegrei e l’impressionante cratere del Vesuvio. è una vera e propria attrazione fatale, che lascia segni indelebili nella memoria del pittore, che torna in patria con l’unico desiderio di tornare in Campania. E lo farà nel 1782, lasciandosi alle spalle una carriera ben avviata e i favori di molte teste coronate d’Europa, prima tra tutte Caterina II di Russia. è lei a mandarlo in Italia, ordinandogli una veduta della Reggia di Caserta, quel capolavoro di Vanvitelli talmente spettacolare da meritare il soprannome di “Versailles dei Borbone”, insieme ad un paesaggio campestre, ripreso dal villaggio di San Leucio, rinomato per le importanti seterie.

 

ALLA CORTE DEI BORBONI

«Mentre era impegnato a dipingere i campi, ogni giorno Hackert riceveva la visita del conte Andrej Razumovskji, ministro russo a Napoli. I cacciatori del re di Napoli li videro insieme, ed informarono il sovrano dell’esistenza di un pittore straniero, che lavorava per la corte russa» racconta Goethe, grande amico ed estimatore di Hackert. Incuriosito, Ferdinando IV di Borbone chiede di incontrare l’artista e ne rimane subito affascinato, tanto da proporgli il posto ambitissimo di pittore di corte, che Hackert accetta subito. E così la sua carriera prende il volo, tra cacce e cerimonie, banchetti e balli, sempre sostenuto dal favore del re, che lo ospita a Napoli, in un appartamento a Palazzo Francavilla dove, nel 1811, incontra Goethe che rimane impressionato dalla stima che i Borbone hanno di lui. «Hackert apparteneva a quella categoria di persone che in modo deciso sono gli artefici del proprio destino. I molti che amavano l’arte lo cercavano e lo pagavano, i numerosi dilettanti lo prendevano ad esempio» racconta Goethe. «Così il pittore fu stimato, ma non invidiato, e potè essere sempre se stesso senza nuocere ad alcuno».

Ma al di là dell’ottimo carattere, Goethe si rende conto che la carta vincente è il suo talento artistico. «Attende senza tregua a dipingere e disegnare, ma è sempre affabile, sa circondarsi di simpatia e farebbe di ciascuno un proprio discepolo. Anch’io ne sono rimasto conquistato: si mostra paziente di fronte alle mie lacune e insiste in primo luogo per la nettezza del disegno, poi per la sicurezza e la chiarezza della lumeggiatura» spiega lo scrittore. «Quando dipinge ad acquarello tiene pronte sempre tre tinte: comincia a lavorare il fondo usandole una dopo l’altra; ed ecco che, come per incanto, nasce il quadro». Una tecnica che gli permette di dipingere decine di capolavori, che sono stati riuniti di recente da Cesare De Seta nella mostra “Jakob Philipp Hackert (1737-1807). La linea analitica della pittura di paesaggio in Europa” allestita alla Reggia di Caserta.

 

LA VEDUTA DI CAPRI

Numerose le opere che testimoniano la capacità dell’artista di “ritrarre” il paesaggio grazie ad un’attenzione minuziosa per i dettagli della natura di luoghi magici come il Tempio della Concordia ad Agrigento, il Lago di Nemi, le cascate di Tivoli o la Villa Albani a Roma. Senza contare uno dei maggiori meriti di Hackert: quello di essere stato il primo artista a sbarcare a Capri, l’isola alla quale ha dedicato uno dei suoi dipinti più famosi. Parliamo della Veduta dell’isola di Capri, realizzata dal vero nel 1792, dominata dalla sagoma massiccia del Monte Solaro accarezzata dai raggi di sole di una giornata calma e serena.

È da quel momento che l’immagine dell’isola, ancora poco rappresentata dai pittori, cambia radicalmente e diventa meta privilegiata di artisti e intellettuali di varie nazionalità che vi trovano l’ambiente ideale per lavorare.

La scelta del luogo non è casuale, ma dipende dagli spostamenti del suo mecenate, Ferdinando IV di Borbone, che si recava sull’isola per cacciare le quaglie, mentre Hackert dipingeva gouaches e acquerelli di rara lucentezza cromatica. Ravvivati da una luce chiara e limpida, lontana dai tormenti del paesaggio romantico, tutto giocato sull’oscurità frammista a inaspettati bagliori. Nelle sue tele tutto è avvolto in un’atmosfera calma e stabile e il sereno è la condizione naturale dei suoi paesaggi. Dagli scorci di Ischia a quelli di Castellammare di Stabia, Sorrento e Cava dei Tirreni, tutti colti dal suo pennello con una tecnica degna di un grande maestro, senza mai dubbi o incertezze di sorta. Prove visibili del talento di un artista che non finirà mai di stupirci, tornato alla ribalta dopo decenni di oblio per confermare l’occhio di Ferdinando IV di Borbone, capace di vedere in quel pittore immerso nella natura uno dei più alti geni dell’arte neoclassica europea.

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