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Un secolo di funicolare

Da cento anni le rosse vetture raggiungono in pochi minuti il cuore dell’isola

di Claudio Angelini

 

 

 

 

Qualcuno “capalbiamente”, le preferisce il fascino maremmano- chic della Toscana meridionale o l’esotismo ormai sbiadito dei Caraibi e delle Seychelles, ma l’isola di Capri continua ad essere la regina del mare per chiunque l’abbia assaporata soprattutto nei periodi morti, quelli amati dai suoi esuli, come il barone Fersen, Norman Douglas, Compton Mackenzie. Difficile elencare tutti i “gioielli” di questa piccola terra cara ai dandy di ogni epoca. Ci sono i Faraglioni, c’è la Grotta Azzurra e l’Arco Naturale. E un’infinità di anfratti, siti, passeggiate a contatto con il Dio che creò, con l’aiuto del vento, della roccia e del mare, tutte queste bellezze.
Ma c’è qualcosa creato anche dall’uomo.
Non alludiamo alle villette che crescono, facendosi spazio a gomitate, ogni inverno, ma alla Funicolare, che dell’isola è un simbolo ormai centenario. Certo non fu accolta con gli onori e i mugugni suscitati il 6 maggio 1880 dall’altra funicolare, quella del Vesuvio, che prima fu definita «una profanazione…come togliere la poesia al monte», poi diventò poesia e canzone essa stessa. E quando il musicista Luigi Denza e il paroliere Peppino Turco videro i suoi due primi vagoncini salire faticosamente, quasi sudando, sul Vulcano, composero quella Funiculì, funiculà che è una delle leggende musicali di Napoli e fu perfino un po’ scopiazzata da Richard Strauss.
No, la funiculare di Capri nacque nel 1905, in sordina, tanto che l’inaugurazione vera e propria avvenne soltanto dopo due anni. Ma non la vollero soltanto i turisti, la pretesero gli isolani, stanchi di andare da Marina Grande a Capri città a piedi o a dorso di asinello, mentre i villeggianti se la “spassavano” su eleganti carrozze. Nel 1892 fu creato un comitato promotore e in poco tempo (almeno per quel periodo) la funicolare venne costruita da una società italoamericana creata per l’occasione, la Sippic (Società imprese pubbliche e private Ischia e Capri). Funzionava di giorno e partiva ogni mezz’ora. Quella macchina creò subito un mezzo miracolo sociale: capresi e forestieri, dentro le sue cabine, cominciarono a conoscersi meglio e a fraternizzare. Poi due altri piccoli miracoli, uno energetico, l’altro educativo. L’elettricità che spingeva la funicolare, grazie a una centrale autonoma, si diffuse rapidamente nell’isola. Ne beneficiarono gli alberghi e le case dove gradualmente sparirono i lumi a gas e le candele. In nome del progresso, un parroco, Don Giuseppe De Nardis, chiamò a Capri le suorine di Santa Elisabetta che portarono l’educazione: insegnarono a piccoli e grandi a leggere, scrivere e a parlare un dialetto un po’ meno astruso. Crebbe il turismo, crebbe un piccolo lusso che fece di Capri l’isola più invidiata del Golfo.
Siamo alla fine dell’Ottocento quando vi giungono separatamente tre inglesi che hanno voglia di cambiare aria dopo la condanna di Oscar Wilde per omosessualità. Sono William Somerset Maugham, Edward Frederick Benson e John Elligham Brooks.
Poi arriva anche Lord Alfred Douglas, l’amico di Wilde. Nel 1897 lo raggiunge lo stesso Wilde, uscito di prigione. Capri è l’oasi del piacere dove nulla è peccato. Nascono i club e i clan degli esuli britannici, tedeschi e francesi che staccano sempre più l’isola dalla terraferma. E nel ’98 sbarca Fritz Krupp, magnate dell’industria bellica. Ma non cerca la guerra, organizza orge e festini che i capresi non osano condannare perché l’industriale è ricchissimo e generoso. Dona denaro a tutti e una strada bellissima all’isola azzurra, finché le voci diventano notizie. La Germania si infiamma e bolla di accuse infamanti Krupp, che lascia Capri e si uccide. Però l’isola è ormai un crocevia di peccatori. Vi costruisce una villa sontuosa e maledetta il barone Fersen, ricordato da Peyrefitte nel romanzo L’esule di Capri. Anche lui, dopo una vita dissoluta e chiacchierata, si toglie la vita, con cinque grammi di cocaina. Il suo suicidio estetico assolve questa terra da ogni diversità, la rende simile a un Olimpo dove tutto è permesso, poiché gli dei peccano per poter assolvere più serenamente l’umanità.
Ma la funicolare comincia a portare famigliole borghesi. Oggi Capri non è l’isola della trasgressione, è l’isola dei bambini e delle vacanze costumate. Più che il fragore della risacca senti il frignare dei bebè. Anche quando viaggi nella sua “funiculì-funiculà”. A proposito, è bello viaggiarci, soprattutto quando piove, perché la pioggia è per quest’isola la prova del nove. Come una bella donna colpita da un’improvvisa indisposizione mostra nei giorni del malessere atmosferico la sua vera bellezza, non il fascino acerbo di una giovinetta. E appena la pioggia si attenua, il cielo si accende di squarci che sembrano gli occhi accecanti di una sirena. Una sirena di calcare e arenaria ancorata a diciassette miglia da Napoli e a pochi istanti dall’impero romano. Vista dalla funicolare, Capri è più bella, è più isola di ogni altra isola.

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