apertura_grottaLa Grotta della Paglia

Alla scoperta di un luogo difficilmente raggiungibile e dal fascino omerico

di Andrea Esposito • foto di Costantino Esposito

 

Se a Capri vorrete raggiungere quel luogo arcano indicato talvolta come “Grotta della Paglia” non potrete far conto su mappe e sentieri, perché la documentazione in tal senso vi si mostrerà controversa e frammentaria: avrete bensì da perdervi in un afflato di suggestioni e richiami di natura prettamente omerica. Questo dovette essere forse l’oblio in cui venne a smarrirsi tale Friedrich Preller, apprezzato pittore tedesco della folta schiera romantica calata nel Sud Italia sull’onda emotiva dei viaggi di Goethe: il rapporto osmotico e quasi ancestrale esistente tra Capri e il Mito trova in lui uno dei più convinti assertori, se, come è vero, egli dedicò parte consistente della sua attività all’onirica trasposizione su tela di un’Odissea ambientata tutta tra le rocce e gli anfratti dell’isola. Il ciclo di ben sedici litografie è tutt’ora visibile nella sala comunale di Capri, dove giunse su donazione del museo di Weimar, e contempla molti dei più noti episodi legati all’eroe omerico. Ebbene, il nostro scelse proprio questo remoto e misterioso antro come la grotta entro cui viveva Polifemo, dal cui interno poi il gigante avrebbe scagliato all’indirizzo del fuggitivo Ulisse quei massi enormi conosciuti ora con il nome di Faraglioni. Appare ipotizzabile che, all’epoca di tali realizzazioni pittoriche, questo angusto pertugio collocato ad est dell’Arco Naturale fosse assai più conosciuto che ai giorni nostri, attesa quella che è l’etimologia del nome stesso, da ricercare nella funzione cui esso presumibilmente assolveva, quella della seccatura del fieno: in effetti la grotta vanta una ottima esposizione al sole e, contrariamente alla gran parte delle caverne isolane, si presenta come un sito asciutto e relativamente privo di umidità, tant’è che al suo interno non sono visibili stalattiti. A ulteriore conforto della tesi poggia la circostanza per cui la zona sovrastante la grotta, la collina di Tamborio, era in tempi antichi adibita dagli allevatori locali ai pascoli dei loro armenti. A dirla tutta, appare oggi francamente improbabile che un’operazione ripetitiva e periodica come la seccatura del fieno possa essere stata svolta in un sito così difficilmente accessibile. La grotta, in verità poco più che una fenditura nella montagna, rimane infatti ubicata lungo una parete rocciosa quasi verticale che da Tamborio declina verso la baia della Sementella. A conforto della tesi opposta, giunge tuttavia quel tesoro di racconti e resoconti della tradizione orale reperibile presso la comunità di anziani dell’isola, più o meno concordi nell’identificare in quel pertugio il luogo deputato alla messa a punto del prezioso foraggio per gli ovini. Raggiungere la Grotta della Paglia richiede un buon esercizio fisico e una discreta dose di coraggio, attesa la difficoltà e la pendenza del percorso. Il sentiero si dipana in prossimità dell’Arco Naturale, ove oggi sorge un manufatto in calcestruzzo oggetto di diverse dispute legali, da superare per poi immettersi nel bosco; giunti presso una radura si potrà ammirare la grotta quasi verticalmente sul proprio capo e per i più arditi v’è a questo punto la scalata nella fitta macchia mediterranea e sui pizzi aguzzi fin dentro la grotta. Un eroico ceppo di fico d’India, abbarbicato proprio sullo sperone roccioso più ostico da superare, vi si mostrerà come il sacerdote supremo preposto alla custodia del tempio, che ormai vi si dischiuderà allo sguardo e sembrerà guidare inesorabilmente i vostri passi.

Visto dal suo interno, l’antro rivela tutto quel fascino ancestrale e omerico che dovette rapire la fantasia del pittore di Weimar, come una sorta di vagina calcarea dalle venature sanguinee: la presenza di ferro nella roccia dona infatti alla grotta quel colore amaranto di cui parla anche Neruda a proposito della roccia di Capri e che visto da lontano sembra scadere nel giallo paglierino, quasi a confortare l’epiteto di “Grotta della Paglia”.

Tra lo stormire dei gabbiani e il librarsi nell’aria dei falchi, tra il profumo di rosmarino e gli effluvi di mirto e lentisco, sostare in questo luogo donerà la sensazione di essere sospesi tra terra e cielo.

 

Le imprese di Ulisse

Il pittore e disegnatore tedesco Friedrich Preller illustrò il viaggio dell’eroe di Itaca nell’armonia del paesaggio caprese. Le sedici litografie che rappresentano l’Odissea caprese di Ulisse, dono del museo di Weimar, sono esposte nella sala consiliare del Comune di Capri. | Ulysses’ exploits. The German artist Friedrich Preller illustrated the journey of the heroes from Ithaca against the harmony of the Capri landscape. The sixteen lithographs depicting Ulysses’ Capri Odyssey, a gift from Weimar museum, are on display in the council chamber of Capri town hall..


The Grotto of Straw

Discovering a hard-to-reach spot with a Homeric fascination

by Andrea Esposito • photos by Costantino Esposito

 

If you want to get to that mysterious place on Capri sometimes called the “Grotta della Paglia” (Grotto of Straw), it’s no good relying on maps and paths because that kind of documentation soon turns out to be disputed and fragmentary: instead, you should lose yourself in a creative flow of inspiration made up of ideas and references of an authentically Homeric kind. Perhaps it was this kind of oblivion that a certain Friedrich Preller lost himself in: he was an admired German painter and one of that host of romantic artists that descended on the South of Italy, borne on the emotional wave of Goethe’s travels. The osmotic, almost ancestral relationship that exists between Capri and Legend found in Preller one of its most fervent advocates, and indeed he dedicated a substantial part of his activities to the visionary transposition onto canvas of an Odyssey set among the rocks and ravines of the island. His cycle of sixteen lithographs can still be seen in the Capri town hall, having been donated to Capri by the Weimar museum, and it deals with many of the best known stories associated with Homer’s hero. And Preller, in fact, chose this remote and mysterious cavern as the grotto that was home to the giant Polyphemus, and from the interior of which the giant hurled those enormous rocks, now known as the Faraglioni, in the direction of Ulysses. It may be the case that at the time these paintings were executed, this narrow opening to the east of the Arco Naturale was much better known than it is today, when you consider the etymology of the name itself, which may be traced to the use that was presumably made of the cave, that is, for drying the hay. The grotto does indeed boast an excellent exposure to the sun and, unlike most of the island’s grottos, it is a dry spot with relatively little humidity, to the extent that no stalactites can be seen inside it. This thesis is also supported by the fact that the area above the grotto, the Tamborio hill, was used by local farmers in ancient times for pasture for their herds. To be honest, it now seems highly unlikely that a recurrent, regular activity like drying the hay would be carried out in a spot so difficult to access. The grotto is actually little more than a fissure in the mountain, situated along an almost vertical wall of rock that slopes down from Tamborio towards the bay of Sementella. But running counter to this is a wealth of stories and accounts from oral tradition that can be found in the community of elderly people on the island, who more or less agree in identifying that opening as the place assigned for preparing the precious fodder for the sheep. To reach the Grotta della Paglia requires considerable physical exertion and a fair amount of courage, given the difficulty and steepness of the route. The path sets off from close to the Arco Naturale, where there is currently a concrete structure subject to various legal disputes; after passing this, the path leads into the woods. You soon come to a clearing where you can admire the grotto almost directly above your head, and from here the most daring excursionists can climb up through the dense Mediterranean scrub and over the sharp peaks until they reach the grotto. The trunk of a heroic Indian fig, clinging to the very spur of rock that is most difficult to climb, appears like a high priest appointed to guard the temple that now reveals itself to your gaze, seeming inexorably to guide your footsteps.

Seen from the inside, the cave reveals all that ancestral and Homeric fascination that must have seized the imagination of the Weimar artist, as a sort of limestone birth canal with blood-red veining: indeed, the presence of iron in the rock gives the cave that reddish-purple colour that Neruda also speaks of with regard to the Capri rock, and that, seen from a distance, seems to fade into straw-coloured yellow, as though to reinforce the epithet of “Grotto of Straw”.

With the wheeling of the seagulls and the falcons soaring through the air, amid the scent of rosemary and the fragrance of myrtle and lentisk, lingering in this place will give you the sensation of being suspended between heaven and earth.

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